Ho sempre una sottile paura nel dire che “ va tutto bene”, perciò aggiungo sempre “ per ora, ringraziando Dio!”.
È passato un anno dal primo lock down e stiamo ancora combattendo, adesso con maggiori difficoltà e con molti più morti, anche a noi vicini, contro un virus che sembra non voler lasciare l’ umanità e la falcidia senza distinzioni di età, di sesso, di condizioni sociali, di collocazione geografica.
Zone rosse, divieti e restrizioni di ogni sorta, posti letto all’ esaurimento quasi dappertutto e in particolare nella nostra piccola regione, dove una classe dirigente incapace e corrotta, sta mettendo in ginocchio i Molisani dal punto di vista sanitario come mai era accaduto prima.
La gente muore e non si sa come né perché, non si sa se i deceduti hanno ricevuto le cure giuste, se si poteva fare qualcosa per salvarli.
Non si possono celebrare i funerali, salutare un’ ultima volta i propri cari, onorarli secondo i rituali a cui, in particolar modo noi meridionali, siamo così legati.
Non possiamo vestirli, collocare accanto ai loro poveri corpi gli oggetti che amavano di più in vita o di cui avevano bisogno ogni giorno, magari gli occhiali, il portapillole, una figurina di Santi a cui si rivolgevano nelle loro preghiere serali, se erano anziani. Soprattutto non si può dar loro un ultimo bacio, così irrinunciabile proprio perché abbiamo la consapevolezza che sarà l’ ultimo, e non importa se le labbra avvertono il freddo delle loro fronti bianche come cera. Non si possono accarezzare i loro capelli, che continueranno a crescere per qualche giorno nel buio della bara. Non si possono sfiorare le loro mani gelide, strette con il rosario tra le dita. Ricordiamo bene che quelle stesse mani ci hanno risollevato tante volte da terra, quando da bambini cadevamo, e ci hanno sostenuto da adulti, quando le nostre cadute erano altre, ben più dolorose per noi e per loro.
Dobbiamo lasciarli andare così, cercando di far sentire loro il nostro amore da lontano, chiusi nella nostra angoscia. Possiano soltanto immaginare la loro fine nella più triste solitudine, possiamo chiudere gli occhi e figiurarci nel pensiero quell’ ultimo attimo di luce nei loro occhi, il battito del loro cuore che si spegne, la vita che li abbandona, esalando l’ ultimo respiro, impercettibile nel brusio di una camera d’ ospedale.