In questo modo, Rosalia venne a sapere i risvolti più oscuri della vita di sua madre e inevitabilmente anche della sua nascita. Ripensava anche al nonno, mastro Ninni, il quale non ci aveva pensato due volte ad accettare il denaro della baronessa in cambio del silenzio. Infatti, doveva nascondere al mondo che la figlia aveva subito violenza da parte del marito e soprattutto che aspettava un bambino dal figlio Vincenzo. Il nonno tuttavia, non era a conoscenza di tutti i dettagli sulla morte improvvisa di Don Ugo e quindi, suo malgrado si stava rendendo complice di un delitto anche se colposo.
Ma la vera notizia che la turbava e non poco, era il fatto che il padre da sempre aveva saputo della sua esistenza e che in tutti quegli anni, l’ aveva seguita a distanza, come quella volta nel bosco. Non si trovava lì per caso ma intenzionalmente. E adesso pensava a come avrebbe fatto a vivere, facendo finta di niente, ossia di non sapere di essere figlia del barone e che questi aveva provocato la morte del padre.
Provava un senso di ribellione, verso tutte quelle persone senza scrupoli, che a dispetto di tutti i principi morali avevano calpestato le dignità. Adesso era arrivato il momento di prendere in mano la sua vita e di pensare al suo futuro ed a quello di sua figlia.
Dopo il racconto straziante di Totuccia, Rosalia anche se era una giornata gelida, decise di fare una passeggiata, aveva bisogno di restare da sola e di riflettere cosa fare e soprattutto se era il caso di affrontare apertamente Don Vincenzo. Disse: ” Vaiu fù ora haju bisù ognu ri ‘ na boccata d’ aria e stari sula, badate vuatri a la picciridda, nun fazzu tardu.”
Le due sorelle avrebbero voluto dissuaderla ma non se la sentirono, solo le raccomandarono di non allontanarsi e di stare accorta.
Rosalia si coprì per bene e prese il sentiero del “ Brigante”, così chiamato perché nei tempi passati era stato il luogo preferito dei malviventi che rapinavano i passanti. Era ricco di vegetazione, anche se adesso gli alberi spogli le permettevano una maggiore visuale. Camminava assorta nei suoi pensieri e non si accorse che era arrivata nella pineta che portava al mare. Quel luogo, come molti altri, le ricordavano Saro ed i loro incontri segreti, la passione che li travolgeva, la loro incoscienza nel non aver paura di poter essere visti o scoperti da occhi indiscreti. Ciò che importava in quel momento era solo il loro amore, pur se sbagliato. Arrivò sulla battigia, il vento dal mare sferzava ancora più forte, le onde spumeggianti si infrangevano con forza sugli scogli. Rosalia guardava incantata il flusso dell’ acqua, mentre gli spruzzi le bagnavano il viso, mescolandosi così alle sue lacrime che inondavano i suoi bellissimi occhi tristi. Il rumore delle onde si intrecciava al verso dei gabbiani che volavano a pelo d’ acqua, per procurarsi il pesce. Non si accorse che qualcuno era arrivato alle sue spalle e la cingeva da dietro, abbracciandola, avrebbe riconosciuto quelle braccia e quel profumo anche fra mille anni. Saro le sussurrò: ” Ti prego, resta accussì a taliari u mari… iu nun ci a fazzu a vivì ri sì enza ri te, tu si a vituzza mo.”
Rosalia provò a svincolarsi ma la sua stretta era così forte, sentiva il suo viso poggiato al suo, poi lui allentò la presa e le permise di girarsi, i loro sguardi erano più eloquenti di mille parole, erano così vicini che le loro labbra si unirono in un bacio appassionato, i loro corpi fremevano dal desiderio. Saro provò a slacciarle la camicietta e le sfiorò il seno, ma fu solo un attimo di smarrimento, Rosalia reagì come lui non si sarebbe mai aspettato. Le sferrò uno schiaffo violento sul viso da farglielo arrossare, lui si portò la mano sulla guancia e le disse: ” Mi si sempri piaciuta macari pi chistu, si ‘ na fimmina do’ sancu cà vuru…”
Gli occhi di lei brillavano di rabbia per aver ceduto al suo bacio e le urlò: ” Si provi a toccarmi navutra vù ota t’ ammazzu…”
Saro non si dette per vinto: ” Tu ami a mia, u capisci? Sì enza ri me nun sarrai mai filici. La sorti ci avi uniti, vvoi o nun vooi.”
” E cu tu disse, iu u misi chi trasi mi fazzu zita…”
A quella frase gettata così, per impeto seguì il silenzio glaciale di Saro, il quale sentì come se qualcuno gli avesse conficcato un coltello nel petto. Sbiancò in volto e le disse: ” Nun jè vì ero… jè accussì, no Rusalia? Jè ‘ na fesseria, l’ hai rittu sulu pi fà rimi mali… rici a mia chi jè accussì?”
Ma lei non rispose, lo guardò con aria di sfida anche se sentiva il cuore scoppiarle nel petto vedendo la sofferenza che gli stava procurando, poi continuò: ” Jè vì ero, si mi fazzu zita…”
” Jè cu sarrissi? Cu jè chistu curnutu chi si voli maritari ‘ na fimmina sula cu ‘ na figghia? ‘ N fessu?”
” Ama a mia cchiù di la so stissa vituzza, jè ‘ n omo bonu e sarrà ‘ n bon patri pri la picciridda.”
Saro la prese dalle spalle e la minacciò:” Stay accorta Rusalia, stay jucandu cu u focu, sunnu capaci ri fari pazzie.”
Così dicendo la stringeva di più, sembrava impazzito dalla gelosia.
Rosalia gli urlò: ” Mi devi lassari iri, tuni ci l’ hai già ‘ na mugghieri.”
Riuscì a liberarsi e fuggì via lasciandolo impietrito sulla spiaggia a guardarla mentre spariva nella pineta.
Correva, voleva allontanarsi il più presto possibile da Saro, dal suo amore tormentato, dalle sue stesse emozioni. Il freddo le aveva intorpidito il viso e le mani sembravano due pezzi di legno. Correva fra i pini giganti, evitandoli come una cerbiatta impaurita seguita dai cacciatori. Si fermò nei pressi della cascina per calmarsi un po’, non poteva presentarsi così sconvolt a casa, riprese fiato, si appoggiò ad un tronco e chiuse gli occhi, in quel momento desiderò di non essere lì ma il più lontano possibile da tutto e da tutti. Rientrò a casa che era quasi l’ ora di cena, si era attardata troppo e sicuramente avrebbe dovuto ascoltare l’ ennesima romanzina da parte della madre.
Ma incredibilmente nessuno le disse alcunchè, anzi, sembravano stranamente tranquille, Assuntina era ai fornelli che preparava la zuppa con i tenerumi, cioè le foglie di una zucchina sottile, molto lunga di colore verde chiaro che stranamente cresce solo in Sicilia, era un piatto di cui Rosalia era molto ghiotta, si faceva con gli spaghetti spezzati, i tenerumi, pomodoro fresco tagliato a picchi pacchi come si diceva in dialetto siciliano, caciocavallo a tocchetti, aglio, olio, sale, peperoncino e basilico. Siccome non era la stagione adatta per le zucchine, queste venivano essicate in estate come il basilico così si poteva prepare la zuppa anche nei mesi invernali.
Rosalia sentiva il buon profumo che invadeva tutta la cucina e disse: ” Pensaste a mia? C’è ‘ n cià vuru chi fa resuscitare macari i morti.”
Poi notò la tavola apparecchiata con un posto in più e disse: ” Vi siti sbagghiate c’è ‘ n chiattu pi cchiù.”
Assuntina: ” Nuddu sé sbagghiatu, vinna ‘ n cristianu cu ti vuleva, e siccomu veni da luntanu resta ca a mancià ri. Nun fussi mai chi unu veni a scurmu nostru e si ni va a panza vuota. Uora e ri a cu to matri.”
Rosalia non capiva chi potesse essere la persona che era venuta a cercarla così lontano, se era Nino la zia lo conosceva, visto che aveva lavorato per tanti anni nei suoi aranceti… Mentre si stava domandando ciò, sentì la voce dell’ uomo e lo riconobbe subito nonostante si erano incrociati solo due volte.
Entrò nella cucina con Totuccia e la bambina, Rosalia gli domandò: ” E vuatri chi ci fate ca?”
Bruno: ” Mi scusassi, ma vulia sapiri comu stati vuatri e a picciridda…”
Rosalia gli chiese:” Cu vi avi rittu unni stavu?”
Lui imbarazzato per l’ atteggiamento freddo di Rosalia, non sapeva se andarsene o restare, poi prese coraggio e le disse: “ Haju parratu cu Annuzza e mi avi rittu chi eravu a Catania da fimmina Lucia, sunnu andato e parlai cu Ninu e iddu mi disse tuttu. Ma si importuno me ni vaiu macari ù ora.”
Rosalia non sapeva cosa rispondere ma dopo tutto quell’ uomo aveva salvato la sua bambina da una morte certa.
Gli disse che non c’ erano problemi e poi aggiunse: ” Pi nuatri lo stranieru jè sacro e poi chistu jè pi arringrazziari, pi aviri savvau mo figghia.”
La madre e la zia sorprese nell’ ascoltare le parole di Rosalia le chiesero cosa volesse dire, lei gli rispose: ” jè ‘ na longa storia dù oppu ‘ n jornu vinni parru, ù ora assittamuci chi manciamu.”
La cena si svolse tranquillamente, Bruno era molto simpatico e non fece fatica ad acquistare l’ affezione di tutti. Ogni tanto il suo sguardo si posava su Rosalia, forse a cercare conferma che la sua visita a dispetto della prima impressione le aveva fatto piacere. Lei non era completamente indifferente al fascino che Bruno esercitava sulle donne, il suo sguardo profondo e penetrante faceva trasparire una qualità che per lei era importantissima, la sincerità. Questo era quello che percepiva dal suo comportamento, un uomo di saldi principi pronto ad aiutare chiunque si trovasse in difficoltà.
Si era fatto molto tardi e Bruno decise che era meglio avviarsi per il paese in cerca di una pensione dove poter passare la notte, anche perché fuori si era scatenato l’ inferno, dal cielo veniva giù una pioggia di fulmini che illuminavano a giorno l’ intera vallata. Le donne si scambiarono un’ occhiata d’ intesa, anche se non era accettabile che un uomo sconosciuto dormisse nella stessa casa con loro, gli proposero di restare per quella notte e poi se ne sarebbe andato l’ indomani. Assuntina aggiunse: ” C’è u capannu unni vannu i braccianti a ruormiri quannu arricuogghiunu i arance, si i va sta beni…”
Bruno non aveva nessuna intenzione di andarsene, anche perché era salito con il carro di Sciabè e non conosceva la strada, d’ altro canto la ragione per cui era venuto a trovare Rosalia, era che da quando l’ aveva vista il suo cuore ogni volta che la pensava, iniziava a battere all’ impazzata.
Si era reso conto di essersi innamorato di quella creatura così fragile e forte nello stesso tempo, quindi non ci pensò due volte ad accettere la proposta. La zia chiese a Rosalia di accompagnarlo al capanno e di portare una torcia perché con quel tempo c’ era la possibilità che l’ energia elettrica se ne andasse.
Bruno la seguì, cercando di capire di che umore fosse, in quanto Rosalia non lasciava mai trasparire all’ esterno quello che provava. Lei gli camminava accanto, in una totale confusione di emozioni. L’ incontro con Saro l’ aveva destabilizzata, ancora sentiva il sapore delle sue labbra e il calore delle sue braccia attorno al suo corpo, poi il suo viso rabbuiato quando le aveva detto che si sarebbe sposata e la sua espressione così triste le era rimasta davanti agli occhi. L’ intenzione era proprio quella di fargli del male e adesso che aveva raggiunto il suo scopo, anziché gioirne, si sentiva svuotata. Il capanno si trovava poco distante dalla casa, dietro un piccolo orto dove coltivavano le verdure di stagione, ora era completamente allagato dalla forte pioggia e pieno di fango scivoloso, tant’è che Bruno le disse di appoggiarsi a lui per non cadere.
Rosalia seppure titubante dovette suo malgrado acconsentire, lo sentiva tremare e infatti gli chiese se avesse freddo, lui non voleva confessarle che in verità non erano brividi di freddo ma era la sua vicinanza che gli procurava questo tremore. Accennò un si vago, lei allora lo rassicurò dicendo che dentro c’ era anche una stufa a legna e l’ avrebbero accesa appena arrivati, inoltre gli disse che nonostante venisse usato solo stagionalmente, era molto confortevole.
Bruno constatò che Rosalia aveva ragione, c’ era una piccola cucina arredata con mobili in massello di pino, la stufa a legna, un divano in legno rivestito con una cuscinatura a fiori dai colori vivaci e poi un’ altra stanza adibita a camera da letto molto grande per ospitare più persone. Rosalia si apprestò subito ad accendere la stufa mentre Bruno prendeva la legna accatastata accanto al capanno.
Il fuoco iniziava a scoppiettare, mandando un leggero calore, si avvicinarono entrambi per riscaldarsi le mani, e i loro sguardi si incrociarono in un imbarazzante silenzio che fu interrotto subito da Rosalia, la quale gli disse che era ora di ritirarsi e poi aggiunse: ” Si aviti bisù ognu ri quà lchi cù osa chiamati, i cupì erte sunnu rintra armarì u, bona notti.”
Arrivò a casa che era esausta, non vedeva l’ ora di andare a letto e coccolare un po’ la sua bellissima bambina. Così fece, salì in camera sua e rivolgendosi alla piccolina quasi come se la potesse capire le disse: ” Figghia mo, chi haju a fari? A mo vituzza jè tuttu ‘ n grà nne patiri, mi sentu cu u chiaccu vriutulu (intrecciato) o cù oddu. Pi ù rtimu nun vogghiu chi tu patisca comu me… uora durmimu chi a notti jè longa.”