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Quanne Ciuciù ‘ a castagnare vendeva palluottele ‘ e allesse, ll’ addore arrivave pè tutto ‘ o vicariello de Ventaglieri, quartiere avvocata; M’ accatava spisso ‘ o cuppetiello chine ‘ e castagnelle cavere cavere, chiuse dinta a scorza e legna ca finestrelle ‘ a centro addò ‘ se vedeva ‘ o frutta giallo comme ‘ o sole: ‘ a castagnella. Mi piaceva comprarle quando il vento freddo dell’ inverno tagliava il viso, quando si doveva camminare con il bavero del cappotto alzazo sul collo, il coppetiello costava venti lire, quando si mangiavano le castagne il fumo delle calde usciva dalla bocca evaporando verso il cielo. Ciuciù vendeva di tutto, non solo il frutto Autunnale, anche noci sbucciate e fichi in estate, si metteva sul marciapiede do vicariello ‘ e dava la voce pubblicitaria: ‘ E cavere cavere” mentre dall’ altro lato del marciapiede Tittina ‘ a cafona vendeva pizze calde ‘ a oggi ‘ a otto, in poche parole, mangiavi la pizza ‘ e la pagavi dopo otto giorni, trascorsi tali ne prendevi un ‘ altra,: A saluta vostra donna Tittina. La pubblicità era inventiva! Il vicolo una famiglia allargata, tutti conoscevano tutti, una comune familiare. Tempi belle ‘ e na vota!
No amici, non sono un nostalgico dei vecchi andati tempi, sto solo raccontandomi, raccontandovi le immagini che girano come una pellicola proiettata su di un telo bianco, in questo caso, la mia mente; sento l’ odore delle noci, delle castagne, il sapore dei fichi ‘ d’ india, del fumo caldo delle allesse nel grande contenitore di alluminio che bollivano galleggiando dentro una schiuma di color marrone che sembrava cioccolata sciolta, sento il grido del vento freddo che urlava nel vicolo, dei passi svelti della gente che rientrava a sera tardi a casa, la voce delle mamme che chiamavano i figli ‘ e il fischio di mio padre che implorava la ritirata. Poveri ‘ e felici … sembra il titolo di un film di De Sica, certo, non ci stava tutta sta opulenza, il televisore a colore, il telefonino, il computer, non esisteva la scelta soprattutto, chelle era... o’ chelle ‘ o niente, ma vi posso garantire che i sentimenti erano genuini, ll’ ammore ammore, ognuno aveva una finestra aperta nel cuore, le parole date erano sacre e la serietà degli uomini un baluardo. Tiempe belle ‘ e na vota, bastava na castagnelle, nu sorriso, ‘ e ire quasi felice.
Il dentro perpetuo.
Il vento ... spazza via ogni cosa, solo i sogni restano legati alla speranza. Il vento è come il tempo, soffia forte, strascica e passa; Veloce a volte, altre, lento, come la risacca del mare, porta via con folate granelli di vita, piano, trascina via chi siamo stati e chi eravamo, soffia forte sulle pagine del libro che stiamo scrivendo; Veloce, sfoglia ogni riga scritta, solo la speranza resiste alla sua forza legata all’ ultimo respiro di ogni scritto. Siamo vele e il vento ... il vento nostro amico. Ci libera, ci trasporta altrove come vele in mare aperto spinte da un vento che non ha nome. Lento a volte il suo respiro, altre, forte con folate ci trascina, ci conduce dove non sappiamo, in isole assolate, in burrasche e temporali. Il vento è il nostro destino.
L’ io, un fragile timoniere
Certo, il vento è fastidioso anche se nostro amico, porta via ricordi, polvere di amori, desideri e storie; in cambio ci lascia il passo breve o lungo del percorso. Col bavero del cappotto alzato sfido il vento riesumando ricordi e amori, persone che ho amato e affetti, vedo con gli occhi dei pensieri le storie, i sorrisi sulle loro labbra, le smorfie e i passi della loro vita; sento l’ odore, la traccia del loro passaggio nel mio cuore, i profumi dei giorni andati, delle primavere trascorse e i battiti dei loro cuori. Sfido in poche parole il nulla colorando le scene, le immagini, i suoni, ma soprattutto i rumori delle loro emozioni che ancora echeggiano in me, e mi chiedo se mai veramente sono andati via trasportati dal vento nel nulla, oppure amalgamandosi nella mia anima ancora vivono attraverso il cuore mio. Donne Amedeo aveva una piccola bottega al centro del quartiere avvocata,: Vico Ventaglieri; vendeva pane e barattoloni in alluminio di dolcissima cioccolata,: cremosa, liquida, color marrone come il legno dei pini bagnati dalla pioggia, profumata, colava, gocciolava come una fontana quando la cucchierella ne prendeva una parte per espanderla nello sfilatino di pane anch’ esso caldo proveniente del forno di Don Patrizio ‘ o panettiere, soprannominato il notturno, da non confondersi con Nettuno il dio del mare, altra cosa... una delizia era pane cioccolata, la lingua di legno della cucchiaia rideva dal piacere quando spargeva il liquido profumato nella pancia del pane: sfilatino Napoletano “ Renato il figlio, era simpaticissimo, lo stesso era Enrico il fratello con il suo sorriso smorzato, come quasi qualcosa gli impedisse allo stesso, di espanderlo, spezzava sempre parole e sorriso. Diventammo amici, credo, interessati loro due a vendere cioccolata, io a riempiere la dolce mollica dello sfilatinio di pane con la crema dolce cioccolato. Anche il padre, donn’ Amedeo era simpatico, era un corteggiatore di donne del quartiere, bruno, alto, pronto alle battute dal doppio senso. A poco distanza dalla loro bottega c’ era la cantina di don Franco ‘o cantiniere, lo chiamavo miezo litro ‘ e na’ gassosa, ogni mezzodì mio nonno mi chiedeva di andargli a prendere il succo dell’ uva rossa in un contenitore di alluminio dalla giusta dimensioni di un quarto di litro, che risate con la figlia del vinaio, la ragazza si chiamava Rosaria, spero, che la chiamano ancora... ancora Rosaria, rideva senza un perché alla vista della mia persona, da premettere che ero uno stuzzicadenti, gambe secche come i ramoscelli degli alberi di ulivo, braccia a cerino senza zolfo, magro come un grissino senza scorza di pane, solo farina, senza crescita.
Gire ‘ o strummariello tirato ‘ a na’ funicella ‘e cera. Gira primma rinta l’ aria, pò cade ‘a terra, veloce, na trorrola ‘ ncopp ‘ e prete. Gire accussì o’ core mie quann’è felice. Mm’ sente allere, quanne gira ‘ o penni penni, nun fà rummò re comme ‘ o tartariello, è silenziuse. Ma quann finnè scie ‘ a corsa ‘ o’ strummariello’ e perde ‘e gire co stummele ca gira chiù forte, è na tristezze allo vedè stise n’ terra pronto ppè essere azeppate.
’ O viente.
E’ di terra ‘ e di mare, di ponente e di occidente, spazza polvere nell’ anima, spinge onde sulla riva, non ha corpo ma si avverte, grida forte, urla, passa forte e se ne và, porta via gioie e dolori, pulisce il cielo dalle nuvole più scure, asciuga il tutto, saluta, poi ritorna, freddo e caldo, tagliente come una lama, soffice come una piuma. Il vento è nostro amico porta via dolori, il vento è nostro nemico porta via le gioie; spazza tutto, saluta, poi ritorna per fortuna e per sfortuna.
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