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Si spense la candela dell’ amore sull’ altare maggiore della chiesa di S. Chiara, bastò un piccolo soffio di vento proveniente dall’ antica sacrestia dall’ odore aspro di muffa e la fiamma cessò di vibrare nella cera. Nemmeno una piuma dell’ angelo dell’ amore rimase a volteggiare nell’ aria profumata d incenso; Scappò per altri cuori il putto, non sopportava gli inganni, i sensi di colpa e nemmeno le gocce di pioggia che fuoriuscivano dagli occhi per la perdita e la disperazione di un passato che ritornava senza bussare alla porta.
Volò via l’ amorino, scappò tra nuvole di desideri da appagare, dietro nel tempo, tante preghiere lo richiamavano a soddisfare i desideri di innamorarsi. Perdesti così l’ occasione di ascoltare la musica, il suono che proveniva dell’ organo del cuore e il ticchettio disperato degli innamorati per le ore che mancano all’ appuntamento.
Nella chiesa un dipinto di Michelangelo Merisi, il ghigno di un uomo con un coltello tra le mani pronte a colpire la santa e l’ abito rosso da lei indossato, illuminava il dentro di una luce tenue e intensa, ardeva la mia coscienza e con essa la conoscenza di un antico nuovo dipinto già visto dal sentimento, questo, catturava all’ ingresso nella piccola basilica persino gli occhi dei ciechi. Uscii dalla chiesa con passo incerto, colpa della cervicale, una donna mi cercò con grazia un fiorino d’ amore stendendo la mano, la sacca del mio cuore era vuota, gli sorrisi, lei, ricambiò, andò a cercare monete di sentimento altrove, era affamata del nobile sentiemento, implorai Cupido di accontentarla.
Tutti stendono la mano: Il mendicante per una moneta, il bambino per un gelato. Gli uomini e le donne per un fiorino d’ amore.
L’ amore è un uccellino
che scappa dalla ragione.
Una nota che vola via da un pianoforte,
una farfalla che sfugge al retino.
L’ amore è il sogno che sfugge al sonno,
libero, vola senza misure e senza catene;
Vola senza mete per il piacere di muovere le ali.
In alcuni giorno mi mescolo con il cielo terso,
l’ aria pungente e fredda snellisce la mia anima,
leggero il corpo diventa,
e la mia mente vaga
nel freddo vento.
Di celeste,
come il cielo mi vesto,
divento chiaro,
uguale, simile al trasparente giorno.
Come selvaggi cavalli sulla spiaggia
corrono i pensieri, si arrampicano alle parole,
lucidi, penetrano il mantra del mistero.
L’ amore è un gioco a due.
e ‘ o juoco de tamburelle,
invece ‘ e lancià ‘ a palla,
se lanci ‘ o cò re ...
Cò re, ca’ salta felice
tra na’ tamburella ‘ e nata.
E’ comm’ è nà palumbella,
fa rummò re, zompa, vola.
Io to vò tto ‘ a te, stù cuore,
e tu, mò vutta ‘ a me.
Felice ... comm’ ‘ e piccirilli,
Ppè legge ‘ e natura,
stù core cà palla è addivenute,
nù n ‘ addà mai cadè,
si no fennesce o juoco.
Valicai dopo aver prcorso circa cento metri i gradini di marmo bianco della chiesa del Gesù Nuovo, ma prima che entrassi, mi soffermai sulle piradime del muro di cinta, i triangoli sembravano tasti di un antico pianoforte suoanato da un alchemico maestro musicale, forse un antico massone gesuita aveva collaborato all’ edificazione, nell’ orecchio avvertivo ancora il suono antico, nel naso la polvere lavica delle pietre, la fatica dei pietraioli nel mettere a posto le tessere. Lavoro perfetto gridai dentro di me, un’ onda di orgoglio per l’ opera scoperta attraversò il recinto dei miei pensieri: I tasti di pietra sulla parete erano collogati come le note musicali. Entrai nella chiesa barcollado, l’ odore del tempio è sempre uguale a quelle delle scatole chiuse che preleviamo dopo tempo dal ripostiglio o dalla cantinola, se non fosse per il profumo dell’ incensore la muffa di chiuso arriverebbe diritta al naso creando non pochi problemi per le allergie del caso, dopo di che, bisogerebbe andare di sicuro da un allergolago, scienza inutile e dannose. Dopo avermi guardato attorno e osservato la magnifica volta, il piano dell’ altare, gli angeli di pietre gonfi nella pancia e nel sedere, paffuti nelle gote per le proteine e per piacere dei pasti del paradiso, le cappelle con le relique, mi inoltrai di soppiatto nella sala di un medico quasi di paese:" S. Giuseppe Moscato" osservai il suo letto, la camera ancora intatta, ma quello che mi colpì furono i suoi occhiali da intellettuale presbico e la loro custodia di pelle rosicchiata, ammuffita e polverosa dalla scomparsa del loro tempo in una vetrina opaca, e polverosa, poi, strumenti chirurgici arruginiti dal non uso e la coroncina del rosaio sul comodino vicino al triste letto a una piazza, una foglia autunnale ingiallita che cadde dal soffitto della stanza preparata a dovere per l’ effetto scenico dalle sorelle dal velo bianco. All’ uscita notai molte persone che chiedevano pregando un obolo di serenità sedute su panche di legno, inginnocchiate su una tavola di ciliegio levicata. Mi chiesi della pietà che cerchiamo fuori noi, della fragilità dell’ uomo, della vita che è così difficile per comprenderla. Mille pensieri assaltarono la menta, non riuscivo a trattenerne uno solo, tutti mi sfuggivano caoticamente, troppe nuvole di richieste dentro alla chiesa inalzavano polvere di speranza. Mi precipitai non so come, barcollando come una barca nel mare senza direzione fuori dalla casa cristiana, colpa della mia cervicale e dei perenni mal di di testa. All’ uscita della chiesa frettolosamente mi affrettai a ritornare a casa percorrendo la strada antica e sempre molta affollata della Pignasecca, "zona natia" tra le urla dei negozianti e i passi felpati e disorganizzati della gente, l’ odore del cibo, in particolare dei coppetielli con fritto di pesce che entrava nel naso senza permesso, una autobulanza quasi mi urtò per la fretta di arrivare all’ ospedale dei Santi Pellegrini con la sirena accesa al massimo, correva in quella viuzza che a stento passano le persone, via dell’ Abbondanza a Pompei era certamente più sicura ai suoi tempi " 70 D. C. " marciapiedi alti e canali scorrevoli per l’ acqua piovana, per non parlare dei passa pietra per non bagnarsi i piedi, questi, frapposti tra i due marciapiedi. Pensando all’ antica Pompei e ai pompeiani, alle loro vesti lunghe che mai si bagnavano per la pioggia scroscese, chiusi gli occhi, mi liberai del passato e del futuro che a breve mi avrebbe invaso. Tempi impropri per ogni coscienza mi dissi. Cambiai passo nel divenire, nulla cambiò; Strappai la pelle di serpente che aderiva al corpo, sputai veleno dalla lingua di fuoco resa tale dal sentimento di rabbia per non comprendere la cattiveria degli uomini e altre dimensioni celesti; Rimasi nudo in attesa del nuovo, come un Adamo spogliato per la prima volta senza foglia di fico, senza petalo di nessun fiore sul sesso. Digiunai dell’ amore per lungo tempo, mi cibai solo di bacche selvatiche e delle mani che accompagnavano ritmatiche il percorso del piacere; Dopo tre lune di tempo e tre giri di terra attorno al sole, mi ritrovai disteso sul divano di pelle di casa mia consumato per l’ attrito del mio culo seduto su di esso da anni. Mi colse il dolore dell’ essere nuovo, anche il nuovo è una separazione dal vecchio, ci ricorda il primo inganno, la prima bugia atavica, avremmo preferito sapere prima di venire alla luce del mondo, divenni dopo tutto questo, quello che in questo momento sono e certamente non lo sarò domani al di là del tempo del cielo, del freddo o del caldo, certamente sarò un’ altra persona in bene o in male, nessuno lo saprà mai finanche io. E’ passato un giorno ed eccomi nuovamente a descrivere immagini che vedo nel cervello cercando di renderle scrittura; sono cambiato da ieri..? si certamente, ho perso cellule del mio corpo durante la notte, ma il corpo le ha rimpiazzato con delle nuove, si muore e si rinasce ogni giorno. Mi affrettai a prendere la cumana alla stazione di Montesanto per andare a fuorigrotta camminando in fretta, una calca di persone era in attesa dell’ arrivo del treno, dovevo stare attendo al borsello e in particolare al portafoglio, i luoghi affollati sono trappole per le persone distratte, le mani dei ladri sono leste come il soffio del vento. Riuscii a prendere il treno tra spintoni e urla, era affollata ogni carrozza, l’odore aspro e pungente del sudore della gente esalava come vapore caldo, la multietnicità della città era lampante,: Nigeriani, africani, marocchini, giapponesi, egizziani, una zuppa umana impastata con salse diverse e da lingue difficile da comprendendere. Fortunatamente do po due fermate arrivai a Fuorigrotta, il mio quartiere residenziale, respiravo sicurezza..! Pochi odori di cibo, e strade larghe, senza viuzze tante affollate e senzaodori acri che entravano nel naso. Finalmente arrivai alla torre, così chiamano il palazzo dove abito, presi l’ascensore e salii in cielo, casa mia. Finalmente respiravo tra le piante del terrazzo di casa osservando l’epomeo di Ischia, la piccola isola di Nisita e la collina di Posillipo. Jobim con le sue canzoni mi confortava e Luis Miguel addolciva la mia anima stanca come pochi cantanti sanno fare. La sera, mio tempo prediletto arrivò presto, una luna brillante apparve nel cielo accompagnata da varie stelle, un sentimento di pace invase la mente, le luci nelle case si accesero piano, l’immagini del presepe di Cucciniello a S. Martino era reale dalla finestra di casa mia, scorgevo persino i pastori, certo che ci vuole tanta immaginazione, ma basta saper vedere oltre e la vita ci appare meravigliosa a tratti di tempo.
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