Chico nacque in un tiepido giorno di primavera, in un nido vicino al fiume, da un uovo covato con amore e con cura da mamma papera.
Qualcuno mormorerà:” Che caso strano! Un ornitorinco? Che nome difficile! E che razza di animale è? E come è possibile che sia nato in un nido di papere?”
Ma allora è una papera? Ma no! Ha solo il becco e le zampette palmate da papera, il resto potrebbe essere... Bah! Chissà cos’è!
In realtà, ben poche persone al mondo sanno a che genere appartenga il nostro cucciolo. Qualche scienziato, forse. Del resto, il suo aspetto è talmente strano che forse è stato proprio questo a procurargli tanti guai.
Comunque, la storia di Chico comincia con le papere per puro caso.
Il nido in cui il suo uovo venne deposto venne fu assalito dai predatori in un momento di assenza della mamma e il piccolo si salvò solo perché l’ uovo che lo conteneva, nella confusione del momento, rotolò a qualche metro di distanza e rimase nascosto nell’ erba alta.
Purtroppo però, rimase coperto anche alla vista della mamma, che al suo ritorno trovò soltanto i gusci vuoti dei piccoli, che aveva lasciato per andare a nutrirsi. Ebbene, non trovando alcun uovo da covare, mamma ornitorinco molto dispiaciuta, si allontanò per andare a preparare un altro nido, non immaginando neanche di lasciare così l’ unico uovo rimasto intero, in balia del mondo.
Fortuna volle che nei pressi aveva fatto il nido anche una famiglia di papere, e dopo poco tempo, passando da quelle parti, mamma papera scorgendo l’ uovo abbandonato, pensò bene di portarlo con sé e di accudirlo, covandolo insieme agli altri che già aveva deposto.
E venne il giorno della schiusa.
Per primo venne al mondo Chico, accolto con tanto affetto e cure dalla mamma. Affetto e cure che il pulcino si godette felicemente per qualche giorno da solo, in quanto le altre uova ci misero un po’ più tempo a schiudersi.
Mamma papera non s’ accorse nemmeno della stranezza e della bruttezza del pulcino o forse, l’ amò ancor di più per via della sua diversità e quando dopo pochi giorni nacquero i paperotti, la sua felicità arrivò alle stelle.
Ci vollero solo pochi giorni prima che i pulcini fossero in grado di seguirla fino alle sponde del fiume. Anche Chico, credendosi un papero, si metteva in fila e camminava, sforzandosi di sbatacchiare la minuscola coda un po’ di qua e un po’ di là nel tentativo di imitare i fratellini.
Ma giunti sulla sponda iniziarono i guai. I paperotti, seguendo gli insegnamenti della mamma e, dopo i primi comprensibili tentennamenti, scesero con accortezza nell’ acqua e, seppur goffamente, cominciarono a galleggiare, pinneggiando con le zampette palmate.
Per Chico, invece, fu un vero dramma. L’ istinto gli suggeriva che non era quello che gli stava mostrando la madre il modo adatto per lui di entrare nell’ acqua, ma la papera insisteva e Chico avrebbe tanto voluto accontentarla. Il piccolo provò e riprovò a immergere le zampette nell’ acqua, ma il corpo sembrava bloccato e i tentativi fallirono.
Quando la papera tentò di convincerlo con le maniere forti, Chico che era ormai terrorizzato, s’ impuntò, pianse e si disperò, così che la madre fu costretta a rinunciare.
Mamma papera rimase un po’ delusa da quell’ atteggiamento, ma si avviò decisa con il resto della piccola truppa, che la seguiva senza mai perdere di vista il pennacchio della codina materna.
L’ ornitorinco rimase solo sulla riva e pur continuando a provare e a riprovare, per quel giorno non riuscì mai a galleggiare come gli altri paperotti.
Le cose andarono avanti così per alcuni giorni, finché Chico finalmente riuscì con gran fatica a galleggiare, anche se solo per pochi attimi.
Esultarono tutti! Tuttavia, a parte quell’ insignificante risultato, non ci furono altri miglioramenti e la mamma, preoccupatissima, cercò consiglio presso le sue amiche più anziane e sicuramente con più esperienza.
« Babetta» le suggerì una papera nell’ osservare con una smorfia di disgusto il piccolo « Dovresti abbandonare quel mostriciattolo al suo destino. Con quel corpo così goffo non imparerà mai a stare a galla.» sentenziò con sufficienza.
« Avresti dovuto lasciarlo alla nascita!» esclamò un’ altra con disprezzo.
La più anziana, che tra l’ altro sembrava anche la più sensibile, si limitò a osservare con attenzione il pulcino che, crescendo metteva in mostra spiccate differenze rispetto agli altri paperotti.
« Non sembra nemmeno figlio tuo, Babetta!» le disse infine. In realtà, mamma papera non aveva confidato a nessuno che quel piccolo era un trovatello.
“ Ormai a che serve dirlo!” pensò tra sé, mentre con un moto di stizza si rivolse alle amiche presuntuose: « I figli non si abbandonano mai! Nemmeno se sono creature… differenti.» concluse esitando. Non riusciva nemmeno lei a trovare un termine per definire quel suo figliolo adottivo.
«È un essere piccolo e indifeso. Se agissi come suggerite voi, potrebbe rimanere vittima di qualche predatore.» mormorò infine con profonda tristezza.
« No! Non lo abbandonerai, ma forse potremmo chiedere un consiglio a Mastro Gufo sul modo migliore di allevarlo.»
Era l’ ultima speranza e mamma papera, ringraziando l’ amica per il suggerimento, si mise subito alla ricerca del gufo.
Il gufo in questione, da tutti considerato un grande saggio, abitava su un albero del bosco nelle vicinanze e forse, avrebbe potuto trovare una soluzione.
Mamma papera si diresse con il suo cucciolo presso l’ albero indicatole e lanciò più volte un richiamo.
È risaputo da tutti che il gufo è un animale che di giorno preferisce dormire, perché in genere le ore notturne le passa cacciando, cosicché, infastidito dai richiami insistenti, rispose bubbolando un borbottio di protesta.
Mastro gufo se ne stava appollaiato su un ramo vicino, invisibile, perché ben mimetizzato tra le fronde; dalla sua postazione poteva tenere tutto sotto controllo, senza essere notato. Dunque fu solo la curiosità che lo indusse ad aprire un occhio e soltanto per sbirciare l’ importuno che procurava tanto fracasso, ma alla vista del cucciolo fu costretto a spalancarli entrambi per la sorpresa.
In tutta la sua vita non gli era mai capitato di vedere un animale tanto strano, eppure tentò di dissimulare il suo sconcerto e con voce burbera e altera domandò:
« Allora papera, perché mi disturbi?»
Babetta, un po’ intimidita dal tono e dall’ aureola d’ importanza che aleggiava attorno a quella figura, con voce timida espose il suo problema.
« Sono venuta da te per via di questo mio figliolo. Non vuole saperne di nuotare come fanno tutti gli altri della nidiata e io non so più cosa fare. Ho bisogno di aiuto.»
« Il tuo figliolo? Uhm… questa cosa è alquanto strana. Non ti assomiglia affatto!»
« Lo so che non mi somiglia, ma questo non importa. Chico, ormai, è uno dei miei paperotti e io lo amo come amo gli altri» rispose, stringendolo al fianco.
L’ ornitorinco se ne stava buono in ascolto e cercando di capire il più possibile. Ma era ancora troppo piccolo per intuire il senso dei discorsi degli adulti. Riusciva soltanto a percepire il grande affetto che la sua mamma provava per lui e questo gli colmava il cuore di gioia e gratitudine.
Il gufo scrollò la testa, quindi gonfiando il petto, assunse un atteggiamento professionale e come un oracolo, disse:
« Lascia a me questo cucciolo, studierò che cosa è portato a fare e agirò di conseguenza.»
Mamma papera sgranò gli occhi: « Lasciartelo? Ma io…» balbettò confusa e spaventata dall’ idea che anche il gufo le stesse suggerendo di abbandonare il suo piccolo.
« Se vuoi che me ne occupi, devi proprio sacrificarti. Ma comprendo bene che per te e per lui possa essere molto doloroso separarvi, tuttavia non vedo altro modo.»
Babetta, con il cuore ormai stretto in una morsa, attirò Chico sul suo petto sussurrandogli tante paroline dolci e tentando di mitigare, in qualche modo, il momento straziante della separazione.
Ma non ci fu verso. Chico intuì al volo le intenzioni della madre e si disperò.
Fu un’ altra tragedia che durò per parecchi minuti, finché al gufo, stanco degli strepiti e delle urla, venne la buona idea di raccontare una delle sue storie misteriose e intriganti.
Nell’ ascoltare col becco aperto e lo sguardo sognante la novella del gufo, Chico dimenticò tutto il resto, cosicché mamma papera ebbe modo di allontanarsi non vista.
Non fu certo facile, ma per il piccolo ornitorinco cominciò una nuova vita con il volatile, che gli insegnò parecchie cose sulle piante e sugli abitanti del bosco.
Chico imparava presto e bene, ma cominciava anche a fare tante domande al suo maestro, che dopo poco tempo pensò che forse era il caso di affidare a un’ altra famiglia quel cucciolo così intelligente e intraprendente.
Mastro Gufo si ricordò di un’ allegra combriccola di lontre che aveva costruito la sua tana poco lontano e, quello stesso giorno con il piccolo Chico, si diresse verso il fiume.
“ Bene!” si disse, vedendoli sguazzare tutti insieme, gioiosamente nelle acque “ Almeno li trovo ben disposti!”
Aspettò con pazienza che qualcuno si accorgesse della sua presenza; in un’ altra occasione, non l’ avrebbe mai fatto, ma qui si trattava di risolvere con astuzia e con prudenza un caso che riteneva difficilissimo. Era quindi meglio mostrarsi umili e gentili.
Finalmente papà lontra si accorse di loro e si avvicinò alla riva.
Lo strano cucciolo attirò subito la sua attenzione e fu naturale che anche papà lontra si domandasse a che genere appartenesse.
Mastro Gufo prese la parola, salutando cordialmente:
« Salute a te, mastro Lontra! Ti porto una notizia che ha dell’ incredibile!»
La lontra guardò con sospetto quel pallone gonfiato di un gufo, che in genere sosteneva sempre un atteggiamento arrogante verso gli altri e che, in quel momento, sembrava una creatura estremamente garbata.
« Uhm… Non m’ inganni affatto con quel fare cortese, per cui bando ai rigiri di parole e vieni subito al sodo, mastro gufo.»
Il pennuto trasalì, ma continuò, sperando di essere più convincente:
« Oh, sì! Hai ragione! Non ha senso sprecare tanto fia… ehm… fare tanti convenevoli.» si corresse. « Ebbene, ho trovato questo cucciolo straordinario, ma orfano, che tanto vi assomiglia, e ho pensato di portarlo da voi, perché possiate accoglierlo nella vostra tana, accudirlo e insegnargli a nuotare.»
Papà lontra non ebbe tempo di ribattere che non sembrava poi molto rassomigliante alla loro specie quel cucciolo, perché nel frattempo anche mamma lontra si era avvicinata a Chico per annusarlo. Ma l’ odore emanato dall’ ornitorinco non doveva essere proprio gradevole, perché una smorfia di disgusto si disegnò subito sul bel musetto della femmina.
« Ma questo cucciolo puzza da matti! Da quanto non lo lavate?»
« Lavarlo?» domandò il gufo imbarazzato. « Veramente no… il cucciolo non sa nuotare e da quando lo conosco non è mai entrato in acqua.»
Mamma lontra alzò gli occhi al cielo, con un’ espressione spazientita. « Povero piccolo!» esclamò, pensando a quanto fosse stato sfortunato ad avere un tutore come il gufo.
Nel frattempo, i piccoli di lontra avevano circondato quel cucciolo bizzarro, che se stava impacciato e intimorito ad ascoltare in silenzio.
Si sa bene che i cuccioli hanno sempre una grande voglia di giocare e ben presto Chico si ritrovò coinvolto in folli corse e vorticosi girotondi ma, quando le piccole lontre si buttarono in acqua per nuotare, rimase sulla riva a guardarli con aria triste.
A mamma lontra, che non aveva mai smesso di osservarlo, fece tanta tenerezza, quindi bastò scambiare un’ occhiata con il suo compagno e il piccolo ornitorinco entrò a fare parte di quella nuova famiglia.
Mastro Gufo gongolò tra sé nascondendo a stento la soddisfazione di essere riuscito a piazzare il cucciolo e a liberarsene. Salutò la famigliola fin troppo calorosamente, promettendo che sarebbe presto tornato a vedere i progressi del piccolo.
Iniziò un periodo molto sereno per Chico che non solo aveva trovato due genitori affettuosi, ma anche tanti fratellini e sorelline, giocosi e simpatici.
Seguendo gli insegnamenti di mamma lontra e gli incitamenti dei fratellini, non fu nemmeno difficilissimo entrare nell’ acqua e dopo un po’ non fu difficile nemmeno immergersi, mentre la cosa che rimaneva complicata era riemergere.
Ogni volta e a turno, ogni appartenente alla famiglia si trovò costretto a sospingerlo verso l’ alto, altrimenti Chico correva il rischio di annegare.
Ma tutto questo accadde i primi giorni.
Col passare del tempo e crescendo, l’ ornitorinco diventò il più abile nuotatore dei dintorni. Nessuno degli abitanti del fiume lo batteva in velocità e agilità. Chico imparò anche a pescare, per sé e per gli altri e quanti bei bocconcini portava all’ intera famiglia conquistandosi sempre un po’ di più la stima e l’ affetto di tutti e nessuno più fece caso al suo aspetto esteriore.
Ma un giorno, accadde una cosa incredibile. Nei pressi del fiume transitò una famiglia di ornitorinchi al completo.
Chico rimase stupito a scrutare le figure degli animali dalle sembianze tanto familiari. Ci pensò solo un attimo e poi incredulo, andò di corsa a specchiarsi nelle acque del fiume.
“ Incredibile! Loro sembrano me, e io sembro loro!” si disse, rimirando il proprio riflesso.
Mamma lontra, poco distante, sorrideva e già si stava avviando a salutare i nuovi arrivati.
Furono naturalmente i benvenuti, e vennero invitati a restare tutti insieme per un picnic. Mamma lontra raccontò loro tutta la storia del piccolo Chico e la famiglia degli ornitorinchi si commosse talmente, che si offersero subito di adottare il cucciolo.
Non si può davvero descrivere la felicità di Chico nel ritrovare finalmente una famiglia con tutte le sue caratteristiche e poi tanti fratellini e sorelline, con cui condividere nuovi giochi nell’ acqua.
Ebbene, da un inizio sfortunato, nacque poi una vita avventurosa e densa di avvenimenti tra i più incredibili.
La favola del piccolo ornitorinco cresciuto con le papere, vissuto con Mastro Gufo, adottato dalle lontre e che infine ritrova i suoi simili, sta ancora facendo il giro del pianeta e Chico se ne va in giro scodinzolando orgogliosamente, con la sua coda a spatola, così come aveva visto fare a mamma papera.