S’ avvicinò alla biglietteria, il vecchio con lo sguardo stanco e annacquato le chiese dove volesse andare, specificando che solo l’ indomani mattina sarebbe passato il prossimo treno.
Rosalia chiese: ” E unni va?”
Questi rispose: ” E’ diretto a Catania ma si ferma anche in molte altre piccole stazioni.”
Rosalia disse: ” Fatemi ‘ n biglietto sulu andata.”
Una volta fatto, disse ad alta voce:” Beni Rusalia, fatti fù orza, semu nati pi penare, nun jè accussì chi diceva sempri Totuccia?”
L’ uomo sentendo aggiunse: ” E figghia mea, jè propriu accussì, e ancù ora siti nica quannu arrivati a la meo età sarannu ancora cchiù duluri.”
Rosalia lo guardò con tenerezza, pensando che quell’ uomo così anziano, invece di essere a casa nel suo letto, doveva ancora lavorare, lo salutò con un cenno e si avviò lungo i binari.
Le ultime ombre della notte s’ allontanavano, lasciando solo uno spicchio di luna mentre il cielo s’ inteneriva di rosa. Segno che da lì a poco sarebbe spuntato il sole. Rosalia sentì il fischio del treno che s’ avvicinava e si affrettò verso il binario.
Stava per salire quando sentì qualcuno che diceva: ” Ma chi coincidenza Rusalia, macari vuatri partite?”
Rosalia si voltò incredula pensando: ” No… nun po’ essiri ma Maronna ci l’ avi cu me?”
Cercò di mantenere le distanze, non voleva dare troppa confidenza a quell’ uomo che con il suo modo di fare avrebbe finito per farla parlare della sua vita e gli si rivolse con freddezza: ” Jè si… u munnu è nicu, quannu nun ci si voli far viriri cc’è sempri qualcuno chi appari do’ nenti.”
Nino capì che la ragazza era seccata e un po’ risentito rispose: ” Nun vi vogghiu disturbari, fate bon viaggiu.”
Entrambi salirono sul convoglio ma occupando scompartimenti diversi.
Ora Rosalia doveva decidere se fermarsi a Catania o in qualche luogo limitrofo, lei abituata alla vita tranquilla di paese, aveva paura di affrontare quella di città, tuttavia pensò: ” Si unu deve annegare megghiu rintra pi ‘ n mari ranni chi pi unu nicu.”
Arrivò che era quasi sera, in quanto il treno si era fermato in ogni posto dimenticato da Dio e confusa, appena scesa vedendo la grande stazione piena di gente che arrivava e partiva, si guardava in giro senza sapere dove andare poi intravide Nino e anche se non avrebbe voluto, gli si avvicinò dicendo: ” Scusate si sunnu iu chista vuota chi vi disturbo, ma sapete si ca vicinu cc’è ‘ n pensione a picca prezzo, unni pozzu ruormiri e mancià ri?”
Nino avrebbe voluto risponderle di arrangiarsi ma la nipote di Totuccia gli era sempre piaciuta e quando andava da loro per raccogliere le arance, faceva di tutto per incontrarla anche se lei non lo vedeva nemmeno.
Una volta poi l’ aveva sorpresa in atteggiamenti amorosi con Saro e da quel momento aveva smesso di pensarci, fino a quando l’ aveva rivista ed il suo cuore aveva ricominciato a battere.
Quindi le aveva risposto: ” Vè ni cu me.”
Aveva tralasciato di proposito il “ voi” che di solito si dava per rispetto alle donne, voleva farle capire che anche se era umile non poteva essere trattato come “ Unu cannavazzu” (straccio).
Le stava accanto muta, alzando ogni tanto lo sguardo verso di lui ma Nino camminava deciso per le strade affollate, senza darle attenzione, infine imboccò un lungo viale fino a giungere nella parte più antica della città. Rosalia ammirava stordita la bellezza di quegli edifici dallo stile barocco, pomposi e stravaganti, era tutto così diverso dalle piccole case del suo paesello.
Giunsero davanti ad un vecchio palazzo, entrano e salirono tre rampe di scale, fino ad arrivare all’ ultimo piano, l’ uomo bussò alla porta consunta dal tempo e dall’ incuria ed una voce di donna chiese: ” Cu jè a quest’ ora?”
Nino rispose: ” Aprite fimmina Lucia sunnu Nino.”
Questa vedendolo esclamò: ” Ninu chi bellu, figghiu miu vederti, comu mai da chiste parti, trasa… trasa, ma viriu chi nun si sulu cu jè chista bì edda carusa, a to zita?”
Lui rispose: ” No, no ù ora vi spiego, chista jè Rusalia e cerca ‘ npuostu unni ruormiri e manciari, vi volevo spiari (chiedere) si putiti ospitarla pi ‘ na dì li vostre stanze:”
Rosalia fissava la donna anziana così diversa dalle sue zie, aveva il viso truccato pesantemente, i capelli tinti ed era piena di ciondoli e collane da sembrare più una circense che un’ affittacamere.
Donna Lucia si rivolse a Rusalia e le disse: ” Ma muta si? Vè ni… chi cu me bisogna parrari…”
Così dicendo li fece accomodare in una sala da pranzo e continuò: ” Allura dimmi, quantu po’ paari, haju stanze ri divì ersu prezzo.”
Rosalia rispose: ” Più ora nun pozzu permettermi tantu, a cchiù economica chi aviti.”
A quel punto la donna invitò la ragazza a seguirla e dopo aver attraversato un lungo corridoio scuro, le fece vedere la camera. Un letto, un armadio, un piccolo tavolo erano gli arredi, sulle pareti nude, solo una tela della Madonna Addolorata e poi c’ era una finestra che dava sul tetto del palazzo accanto, da dove si poteva ammirare la città, estendersi in tutta la sua grandezza. La donna continuò: ” Si vvoi stari ca, i regoli i fazzu iu, nenti genti estranea a casa, cc’è ‘ n orario pi pranzare e si mancia chiddu chi jè previsto pi u jornu, si arricogghia nun cchiù tardu di la manzannù otti e u bagnu, ‘ ssennu pi comune, si usa sì enza durmirici, semu intesi?”
Rosalia l’ ascoltava senza capire quello che stava dicendo, non le importavano le sue regole, quello che contava in quel momento, era avere un tetto sulla testa, inoltre, si stava chiedendo: come avrebbe reagito Lucia se avesse saputo del suo stato?
La donna vedendo che la ragazza non le rispondeva e insistette: ” Allura aviti capitu? Che fate accettate?”
Rosalia rispose: ” Va beni resto.”
Nino chiese a donna Lucia se fosse libera la solita stanza, dove alloggiava lui quando veniva in città, Lucia rispose: ” Chidda purtroppo no ma pi tia cc’è sempri postu, ma ditemi aviti manciatu? Chista sira vogli a fari ‘ n ‘ eccezione, vi preparo qualcuosa ri frescu e lestu.”
E in pochissimo tempo preparò un’ insalata alla Norma, tipica di Catania, pomodorini, cipolla, ricotta salata ed un paio di foglioline di basilico, un filo d’ olio accompagnata da pane cunzato, una ciambella di pane con acciughe, peperoncino, salsiccia e funghi.
Rosalia e Nino stavano seduti di fronte, ciò nonostante non si scambiarono nemmeno una parola, ogni tanto i loro sguardi si incrociavano, ma erano così affamati che non avevano voglia di interrompere la cena con discorsi inutili e fuori luogo. Donna Lucia esclamò: ” Carusi mia para chi nun manciati da jorna, va be chi anch’ io a la vostra età sentivo l’ appetito ‘ invicchiannu, poi nun si senti cchiù a necessità ri tantu cibo, nun si sprecanu tanti energie…”
E così dicendo strizzò l’ occhio alludendo a qualcosa di intimo. Nino rispose: ” Fimmina Lucia, jè tuttu accussì bonu chi sarrissi ‘ n piccatu chi rimanesse, rumani andrebbe jittato.”
Dopo cena ognuno si ritirò nella propria stanza.
Rosalia sistemò le poche cose e poi si mise a letto, era talmente stanca che s’ addormentò vestita. L’ indomani fu svegliata molto presto da rumori che provenivano dalla stanza contigua, qualcuno si stava preparando per uscire, non sapeva chi fosse, ma lei aveva urgenza del bagno, uscì dalla stanza e spiò nel corridoio, vedendo che non c’ era nessuno, si sentì sollevata, ma quando stava per aprire la porta si scontrò con qualcuno che le disse: ” Ma quanta fretta, chi jè stammatina chi mi voli investire?” Rosalia guardò il bel ragazzo che gli stava di fronte, aveva il più bel sorriso che avesse mai visto disse: ” Scusatemi pensavo fussi libero.”
“ Videmu, tu devi è ssiri a nuova ospite, Rusalia si nun mi hannu riferito mali, iu sugnu u figghiu ri Lucia… Biagio.”
Rosalia lo liquidò in un secondo: ” Piaciri, ni videmu.”
E s’ infilò nel bagno. Nei giorni seguenti non lo incontrò più, ma lo sentiva uscire sempre molto presto, Lucia non parlava mai né di suo figlio, né della sua vita passata, ma scavava curiosamente in quella degli altri. Di Rosalia sapeva solo quello che la ragazza le aveva somministrato con cura, avvertendo prima Nino di non dire nulla del paese da dove proveniva e delle sue zie, le disse che era rimasta sola dopo la morte dei genitori ed ora era in cerca di lavoro.
Un lavoro difficile da trovare, soprattutto per una donna, aveva gironzolato nel quartiere chiedendo ai negozianti, senza ottenere alcun risultato ed intanto stavano per finire i pochi risparmi e non sapeva come pagare la pensione. Quando oramai aveva perso le speranze, Lucia le disse:” Rusalia, visto chi nun hai attruvatu ancù ora nenti, io avirrì a bisù ognu ri qualcuno chi mi lavi i scale do palazzu, inoltre haju parratu ri te cu alcune meo amiche, arristamu chi mi faranno sapiri.”
Rosalia esclamò felice: ” Grazzi assai, fimmina Lucia, mi aviti salvato, cì ertu chi accetto, subito. Ditemi vuatri quannu haju accuminciari.”
Lucia rispose: ” Calma… calma ragazzina, rumani ni parliamo.”
Rosalia una volta in camera si accarezzò la pancia, era già al quarto mese e sentiva il piccolo scalciare, disse tra sé: ” Nicarì eddu miu, vedrai che ci a faremo, a to mamma nun ti abbandonerà mai…”
Finalmente per lei iniziò un periodo più sereno, donna Lucia le aveva trovato tanti altri lavoretti da fare nel palazzo ed anche se la sera era sfinita, poteva finalmente guardare al futuro.
Nino, per lavoro ritornava alla pensione due volte al mese, ma la loro amicizia non andava mai oltre le frasi di cortesia. Lei aveva innalzato un muro con gli uomini e non voleva più essere usata, ora aveva qualcuno di più importante a cui pensare. Ma come ripeteva zia Assuntina: ” Chiddu chi jè destinato nun po’ mancari:”
Il sabato donna Lucia andava a giocare a carte da alcune sue amiche e gli altri di solito uscivano per un giro e credendo che non ci fosse nessuno, inavvertitamente lasciò la porta della sua camera aperta e mentre si stava svestendo per la notte, si guardava allo specchio, la pancia che di giorno nascondeva per bene sotto i vestiti larghi stava crescendo ogni giorno di più, accarezzandosi disse ad alta voce: ” Navutra picca nun potrò cchiù nasconderlo e allura comu farò?”
Nino era lì, ammutolito, quella pancia era inequivocabile, Rosalia era incinta. I pensieri si aggrovigliavano, ora era tutto chiaro, Rosalia era fuggita, sedotta e abbandonata e chi poteva essere stato se non quel farabutto di Saro?”
Fece appena in tempo a sottrassi dalla porta, prima che Rosalia lo potesse vedere. Quella notte per lui, fu una delle più lunghe, si girava e rigirava e non riusciva a prendere sonno, pensava a lei ma a dispetto dei benpensanti lui non la giudicava, avrebbe voluta aiutarla ma non sapeva ancora come fare.
La mattina seguente essendo domenica, donna Lucia preparò una colazione più abbondante: cappuccino con panzerotti alla crema, cornetto ripieno e l’ iris, un panino fritto e riempito con crema bianca e cioccolato. Gli ospiti erano già tutti a tavola, Rosalia, Nino, Donna Agata, Calogero e Raimondo, in quel momento, arrivò anche Biagio, la mamma gli lanciò un’ occhiataccia dicendogli: ” Stainnata pioverà visto c’ amu u piaciri ria viri miu figghiu a colazione.”
Biagio seccato: ” O mamma ricominci? Chi mi farai pì erdiri l’ appetito.”
Lucia rispose: ” Chi nun fussi mai, che poi mi deperisci.”
Dopo questo scambio di battute continuarono a mangiare in silenzio, quando Biagio lanciò la proposta: ” Rosalia chi fai stainnata? Vvoi vì eniri cu me chi ti fazzu vì riri ‘ npuostu trù oppu beddu, visto chi tu nun si ri chiste parti e si sempri pi casa.”
Tutti i presenti si guardarono aspettando la risposta della ragazza, Nino sperava che lei rifiutasse invece la sentì rispondere: ” Mi pozzu firari? Nun jè chi jè truò ppu luntanu?”
Biagio rispose: ” Macché a due passi da Catania, ‘ n paesino unni fannu a sagra do’ lumia.”
Quando stavano per uscire Nino sentì donna Lucia parlare con il figlio: ” Biagio accura cu Rosalia nun jè comu i altre, jè ‘ na carusa a cui vogghiu assà i beni, talia comu ti comporti si no chista vù ota farai i conti cu me.”
Bastarono queste poche parole ad impensierire ancora di più Nino, non gli piaceva quel ragazzo e non voleva che Rosalia soffrisse di nuovo.
Ma Nino non sapeva che Rosalia si era già pentita della sua decisione e non credeva a se stessa come aveva potuto accettare: “ Ma cù osa mi jè saltato pi mente ri accettare, sunnu veramente nisciuta pazza…”
Poi sentì la voce di Biagio: ” Rusalia si pronta? Si no perdiamo a corriera.”
Seduti accanto come due bambini, si guardavano sorridenti godendosi il breve viaggio, la corriera si allontanò dalla città e risalì su per i pendii collinari. Il piccolo paese era abbellito da semplici luminarie, l’ atmosfera era festosa, i bambini correvano felici fra le bancarelle di dolciumi e giocattoli.
Era stato allestito un piccolo teatrino di pupi ed il puparo abilissimo nel muovere le marionette, imbastiva battute divertenti, a cui seguivano le risate dei presenti. Rosalia e Biagio si fermarono per un po’ ad assistere, quando fu afferrata per un braccio da una zingara la quale le disse: ” Aù bì edda nico rammi a mano chi ti leggo a sorte.”
Rosalia si ritrasse dicendo: ” No t’ arringrazziu ma nun vogghiu sapiri cù osa mi aspetta rumani, megghiu vì viri a la jurnata.”
Ma la zingara insistette: ” Pi poche lire ti dicu si chiddu chi stai fannu jè giustu o sbagghiatu…”
Poi divenne seria in volto, prese la mano di Rosalia: ” Credimi ni hai bisù ognu, chiddu chi viu nun mi piaci, si trù oppu bona Rosalia e navutri si approffitano ri te, stai attenta hai qualcuno vicinu chi ti po’ far soffrire e nun picca.”
A quel punto Biagio irritato disse: ” Vattinni via zingara nun avemu sordi pi tia, vè ni Rusalia amuninni…”
Questa lo guardò come se lo volesse incenerire dicendo: ” Chi tu fussi maledetto serpi…”
Rosalia turbata per le parole della zingara si allontanò con Biagio, il quale ridendo le chiese: ” Ah Rusalia nun jè chi credi a chidda, sunnu tutte fesserie, nuddu sa cù osa ci aspetta nta futuru.” Nonostante le parole del ragazzo, Rosalia non riuscì a smettere di pensarci, anzi, man mano che passavano le ore, le parole della zingara riapparivano prepotentemente nella mente.
Rientrarono a Catania che era quasi buio. Davanti al portone di casa Biagio si avvicinò a Rosalia e improvvisamente afferrandola la baciò. Sorpresa dal gesto inaspettato del ragazzo, restò senza reagire per qualche secondo, poi impulsivamente gli diede uno schiaffo sulla guancia, dicendo: ” Pi cu mi pigghiasti, nun ti permettiri cchiù, iu nun sunnu a disposizione né ri te e né ri nuddu…”
Biagio rispose: ” Ma chi furia, pi ‘ n semplice bacetto…”
Nel frattempo donna Lucia li aspettava rabbuiata nella cucina, si rivolse al figlio: ” Ti para giusto arrivari a quest’ ora? Rusalia rumani deve travagghiari.”
Biagio rispose: ” Matri pì ‘ na vù ota chi chista carusa jè nisciuta, lassala rispirari.”
Rosalia aveva uno strano presentimento, c’ era qualcosa che le sfuggiva, Lucia non voleva che il figlio la frequentasse, tuttavia non ne capiva il perché. Ancora non sapeva nulla della sua condizione e lei fino ad allora era stata molto brava a nasconderlo. Ma non era la sola ad essere contrariata, Nino dandosi dell’ imbecille, era stato in ansia tutto il giorno: ” Iu nun sunnu nenti pi Rusalia, haju finirla ri pinsari a idda, rumani me ni torno o paì si, haju allontanarmi pi n’ anticchia.”
Rosalia più tardi sentì litigare Biagio con la mamma: ” Nun vogghiu cchiù chi esci cu Rusalia, ci semu capiti? A devi lassare pi pace, le nun jé ‘ na di li toi tanti mali femmine.”
Biagio furioso rispose: ” E tu quannu ti fai i fatti toi? Nun rù mpiri…”
Alla fine della discussione udì la porta sbattere violentemente, mentre donna Lucia urlava: ” Biagio vè ni ca, un haju finito… Biagio.”
Ma fu inutile.
Nei giorni a seguire Rosalia pensò spesso a quella giornata speciale, che per un momento le aveva fatto dimenticare la situazione difficile in cui si trovava, si accorgeva che il suo pensiero era rivolto soprattutto a quel ragazzo impertinente. Disse fra sé: ” Possibile chi mi vaiu a cacciare sempri pi relazioni impossibili, si vede propriu chi ma vaiu a circari.”
Il giorno lavorava tanto e quel poco che guadagnava lo metteva da parte per il piccolo e anche perché sapeva, o meglio, credeva che appena partorito, donna Lucia l’ avrebbe cacciata di casa. Cercava di non pensarci, tuttavia con il passare dei giorni l’ angoscia aumentava, poi accadde quello che mai si sarebbe aspettata.
Aveva appena finito di pulire sei rampe di scale, del palazzo di fronte, quando una fitta le attraversò il basso ventre, durò poco ma le sembrò di morire. Era ancora al settimo mese, era troppo presto disse: ” Nicarì eddu miu stai bonu, nun jé ancù ora u momento uri arrivari pi chistu munnu ri sofferenze.”
Ma i dolori durarono per tutta la sera e nella notte si trovò in un mare di sangue, gridò e gridò a più non posso: ” Fimmina Lucia aiutatemi vi prego, ù me picciriddu, salvatelo.”
Poi prima di perdere conoscenza sentì delle voci concitate che urlavano: ” Maronna Santa Rusalia!”
Si svegliò in ospedale, nel reparto di ginecologia, le altre mamme avevano i loro piccoli mentre accanto a lei c’ era una culla vuota. Cominciò ad agitarsi: ” Dov’è ù me nicarì eddu? Dov’è ditemi chi nun jé mortu, vituzza meo, nun mi po’ aviri lassatu sula…”
Entrarono i medici dicendole: ” Si calmi signorina, fa mali agitarsi accussì…”
Le fecero un calmante, poi il medico più anziano le disse: ” Purtroppo ci sunnu stati di li complicanze e u vostru picciriddu nun ci l’ avi faciuta, avia u cori dè bbuli e poi mi dispiace dirvelo, ma po’ ì essiri jè megghiu accussì, ‘ na carusa sula, chi futuro i potevate rari.”
Stordita dal farmaco voleva urlare tutto il suo dolore e la sua rabbia, ma le forze l’ abbandonarono facendola piombare nel sonno. Si svegliò l’ indomani e donna Lucia le era accanto, ma non la guardava con disprezzo, anzi, iniziò a parlarle con tenerezza: ” Tu ù ora devi pinsari a stari beni, nun si sula, si tu vvoi ti pozzu aiutari.”
Rosalia con un filo di voce, le chiese: ” Ditemi era ‘ n mà sculu o ‘ na fimmina?”
Donna Lucia rispose:” ‘ Na fimmina…”
Rosalia disse qualcosa per poi pentirsene subito dopo: ” Po ì essiri havi raggiuni quel medico, jè statu megghiu accussì e poi era macari fì mmina, navutra povera disgrazziata comu me…”
L’ amaro di quelle parole dettate più dal dolore che dal convincimento la fecero scoppiare in un pianto senza fine, era stato crudele, anche solo quell’ attimo di pensiero, lei amava già quell’ esserino che stava crescendo dentro di lei.
Il corpicino giaceva nella piccolissima bara bianca sigillata, Rosalia non aveva nemmeno potuto vederlo.
Camminava dietro il piccolo corteo funebre, pallida e pietrificata dalla sofferenza, le aveva dovuto dare un nome, aveva scelto il suo, Rosalia, perché con la sua morte era morta anche lei. Donna Lucia aveva chiamato a partecipare alcune donne al lutto, per piangere la piccolina. Queste vestite con pesanti abiti neri e lunghi veli, piangevano disperatamente.
Rosalia urlò: ” A meo piccolina nun havi bisù ognu ri chista sceneggiata cc’è a mamma so’ cu tuttu u suo duluri chi ci basta a piangerla.” A queste parole donna Lucia fece cenno alle donne di smettere di piangere e loro si accodarono in silenzio.
Una sola rosa bianca poggiata sulla bara da Nino, il quale si era precipitato a Catania dopo aver saputo la notizia, le camminava accanto reggendola, lei era molto debole e faceva fatica a camminare.
Il piccolo feretro fu seppellito nella terra, quando l’ ultima zolla lo coprì, Rosalia disse: ” Figghia mea adorata, mamma to nun si dimenticherà mai cchiù ri te, si l’ amore miu … cu te resterà u’ me cori ferito.”
Il cielo si scurò all’ improvviso e grosse gocce d’ acqua caddero allagando in un attimo i loculi deserti.
Rosalia si strinse lo scialle nero addosso, sentiva freddo… molto freddo.