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Una sera come tante, ero seduto al tavolo di un bar, avevo appena preso un caffè, mi fermai un attimo per dare una occhiata al giornale, le solite notizie, mai una piacevole. Alzai gli occhi e la vidi, bella donna sui cinquanta, aveva classe, unica, in quel contesto, non avevo mai visto una donna così affascinante, emanava una scia di profumo che in un attimo l’ ambiente era saturo di lei, una fragranza piacevole. Era vestita in modo elegante, una gonna a tubo che faceva risaltare i fianchi, le calze a rete, scure, una camicetta bianca sopra un giacchino aperto. Stava per sedersi al tavolino a fianco al mio, si muoveva in un modo sinuoso, mi diede una occhiata superficiale, poi un attimo i suoi occhi incontrarono i miei, le feci un cenno con la testa, lei mi sorrise. Non avevo più intenzioni di andarmene, volevo sapere chi fosse, ordinai un altro caffè, forse aspettava qualcuno, non l’ avevo mai vista prima. Si sedette, aprì la borsetta e tirò fuori un taccuino e un cellulare, si mise a cercare qualcosa, forse chiamava il suo uomo. Erano appena le sei di quel pomeriggio senza senso, eravamo in primavera, l’ aria era tiepida, si avvicinò un cameriere e gli chiese: prende qualcosa signora?, lei ordinò un aperitivo, feci segno al cameriere che l’ avrei offerto io, sembrava un po’ nervosa, feci coraggio e gli chiesi se per caso aveva bisogno di qualcosa, nel caso poteva disporre di me, per un attimo t’ acque poi aprì quella bocca amorevole, una dentatura bianca, perfetta, mi rispose, veramente aspettavo un amico, ma ha avuto un piccolo contrattempo, vuol dire che torno a casa, grazie ma chiamo un taxi. Era la mia occasione, non aspettavo altro, ancora un attimo e poi mi offrii di accompagnarla, le dissi: se lei permette e si fida potrei darle un passaggio fino a casa, in che zona abita, mi spiegò che la zona non era distante, io calcolai circa un chilometro, accettò, con mia grande meraviglia, non me lo sarei aspettato di certo. La feci accomodare in macchina mi scoprii diverso, aprendogli la portiera e facendola accomodare, non l’ avevo fatto mai con nessuna, rimase sorpresa e mi ringraziò, quel gesto fece breccia, disse che ero un cavaliere d’ altri tempi. Per fare quel tragitto impiegammo una mezzora il tempo sembrava fermo, eravamo già sotto casa sua, nessuno dei due si decideva ad articolare parola, era un momento di stasi, ci studiavamo, volevo trovare le parole giuste da dire. Poi finalmente aprii la bocca e parlai, scusi non mi sono neanche presentato, per i nomi sono una frana per ricordarmeli mi ci vuole una settimana, mi chiamo Giorgio piacere, mi scuso di non averlo fatto prima, sono un militare, presto servizio in questa città, ma non sono del posto, sono arrivato da poco, allungò la mano e mi disse il suo nome, io sono Roberta, tra me pensai che quel nome non l’ avrei più dimenticato. Bene, disse che doveva andare io abito qui al terzo piano, sono la direttrice dell’ istituto “ Santa Chiara “, quello di via Colombo, lo conosce vero? io annuii, certo lo conoscevo, era un istituto per ragazzi con disagi familiari, lo conoscevo bene perché avevo accompagnato alcuni ragazzi, tante volte, assieme all’ assistente sociale. Lei fissava il portone di casa armeggiò un attimo nella borsetta per cercare le chiavi, che trovò, sembrava aver fretta forse era l’ imbarazzo, la rassicurai, non si preoccupi dissi non ho nulla di importante da fare, mi piacerebbe conoscerla, sapere qualcosa di lei, mi sento solo, non conosco nessuno, lei ha qualcosa di familiare, poi fa un lavoro interessante che ammiro, mi piacerebbe sapere cosa fanno i ragazzi nell’ istituto, come passano le giornate, oltre allo studio, come trascorrono il tempo. Mi parlò un po’ del suo lavoro, mi disse che avevano una palestra attrezzata, una piscina coperta, avevano l’ infermeria, la mensa, la scuola con cinque classi elementari e tre di medie. Lei parlava io ascoltavo e guardavo le sue labbra, il tempo volò via, eravamo fermi da circa una mezzora, riproponendo di rivederci ci scambiammo i numeri telefonici, a qual punto gli chiesi possiamo darci del tu, cosa che accettò, certo ci mancherebbe, tra l’ altro eravamo coetanei non c’ era una grande differenza di età, forse due tre. Essendo entrato in una sorta di confidenza gli chiesi, Roberta tu domani quando sei libera, gli dissi i miei orari, potevamo sentirci prima di vederci, ci saremmo messi d’ accordo sul posto. Mi salutò allungando la mano poi scese, attesi che aprisse il portone poi andai via. Non gli avevo detto nulla di me, della mia famiglia, lei altrettanto, eravamo interessati a conoscerci a scrutarci, non sapevo se fosse sposata, impegnata, devo dire che neanche mi interessava saperlo, non vedevo l’ ora che arrivasse la mattina per richiamarla, per rivederla, per sapere di lei, per conoscere chi fosse. La mattina seguente verso le nove la chiamai, Roberta sono Giorgio, sei libera verso mezzo giorno per un aperitivo, accettò, ci demmo appuntamento in centro, ci incontrammo, non riuscivo a stare fermo, con le mani che mi sudavano, non potevo fare a meno di parlarle, ci sedemmo, chiacchierando un po, io parlai un po’ di me senza entrare in particolari, lei mi parlò del suo lavoro, delle responsabilità che aveva, era una donna impegnata. Ci incamminammo a fare due passi, entrammo nella villetta comunale, c’ era un tiepido sole, l’ aria era gradevole ci sedemmo su una panchina, lei mi guardava, mi fissava sempre negli occhi quando parlava, io altrettanto, mi piace fissare le persone quando dialogo, gli presi la mano nella mia, la fissai e gli dissi: Roberta tu mi piaci molto, sei impegnata? lei mi rispose di no, vuoi sapere di me? non volle sapere nulla, io neanche parlai della mia situazione familiare, ero ipnotizzato da quella donna, mi sembrava una calamita non riuscivo a staccarmi, una cosa incredibile. Gli sfiorai le labbra con un bacio, le dissi che mi piaceva tantissimo, era bella mi piaceva, Dio com’è che era arrivata solo ora. Ci frequentammo per un lungo periodo, la sera facevamo tardi, quasi l’ alba, quando eravamo liberi andavamo sempre fuori, pranzavamo sempre nei ristoranti, mi innamorai di lei, lei di me, talmente che non potevamo fare a meno l’ uno dell’ altro. Poi un giorno mi svegliai come da un torpore, lei mi disse di andare a casa sua, mi avrebbe presentato la mamma i fratelli, a quel punto il mondo sembrò crollarmi addosso. Dovevo parlargli di me, della mia condizione, della mia famiglia, ero sposato avevo una famiglia che mi aspettava. Gli dissi: ascolta Roberta tu non mi hai chiesto nulla, io non ho parlato di me, ho sbagliato, dovevo parlartene subito, dovevo dirti che sono sposato, ma è stato più forte di me, non ne ho avuto il coraggio non volevo perderti volevo conoscerti a tutti i costi. Lei restò in silenzio, non fiatò, per un attimo un silenzio irreale, poi due lacrime gli solcarono il viso, io l’ abbracciai, lei mi disse, ti amo e non mi importa nulla né di niente, fintanto che mi vorrai io sarò la tua donna, quando ti stancherai di me, o io di te, siamo abbastanza adulti per sapere cosa vogliamo, tu sei l’ uomo che ho sempre cercato e non ti lascio andare. Mi assalirono un milione di dubbi, non sapevo cosa fare, Roberta mi piaceva, la volevo ero innamorato pazzo, era la mia donna, andavamo d’ accordo su tutto, parecchie volte si era offerta di aiutarmi economicamente, io non ne ho mai approfittato. Avevo una moglie una famiglia, a casa c’ erano due figli piccoli, gli dissi che non avrei mai potuto far soffrire nessuno, non volevo privare i figli del loro padre, nel contempo non volevo far soffrire mia moglie e non volevo che lei soffrisse. Come fare, avevo un conflitto interiore, dentro di me si scontravano due forze, due persone diverse un innamorato voleva vivere una storia, nel contempo un marito, un padre che aveva degli obblighi familiari. Apprezzai molto quel suo gesto, disse, Roberto mi costa molto rinunciare a te, ma non voglio essere la causa di un divorzio, non mi va di vedere una famiglia divisa, un padre che non vede i suoi figli, ci lasciammo. L’ ho risentita a distanza di anni, circa un anno fa, parlammo di noi, lei mi disse di essersi sposata e separata, ricordammo i tempi trascorsi, lei mi disse che era malata, doveva sottoporsi a un intervento difficile, non riusciva a parlare, aveva problemi nel linguaggio, articolava male le parole, un giorno la chiamai e mi rispose la sorella, disse di non chiamare più perché Roberta non era in grado di parlare e ogni volta che telefonavo soffriva e piangeva, non poteva dire quello che desiderava, balbettava parole incomprensibili, un tumore gli impediva l’ uso della parola. |
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