DONNE ARTISTE DOPO LA RIVOLUZIONE FRANCESE
Per le donne artiste, come per le donne in generale, la rivoluzione francese portò con sé un po’ di bene e un po’ di male. Aprì qualche porta ed altre ne chiuse, fu in teoria esaltante ma sovente, in pratica, elitaria e repressiva. Mentre alcuni Philosophes, soprattutto Condorcet, aprirono la strada al femminismo rivoluzionario, altri come Jean-Jacques Rousseau misero bene in chiaro che la “vocazione” naturale della donna è il matrimonio e la maternità.
Condorcet aveva per primo tentato, nel 1787, di inserire nell’ideologia politica liberale dell’illuminismo la battaglia per l’uguaglianza civile delle donne. Egli sosteneva che se le donne pagavano le tasse dovevano poter votare; che l’autorità domestica andava condivisa; che alle persone di sesso femminile andava aperto l’esercizio delle professioni, e, più importante di tutto, l’accesso all’istruzione. In sostanza Condorcet si fece portatore di una teoria politica che rendeva valido per tutti, senza distinzioni di sesso, il principio dell’uguaglianza di fronte alla legge, includendo così le donne, per la prima volta nella storia, nel termine generale di genere umano.
Infatti durante la rivoluzione apparvero opuscoli femministi e varie proposte di miglioramento delle condizioni delle donne, e queste ultime cominciarono a mandare delegazioni al governo e a servirsi come piattaforma dei club politici. Nel 1791 Olympe de Gouges, una delle femministe di punta della rivoluzione francese, formulò la sua “Dichiarazione dei diritti delle donne”: “...Tutte le donne sono nate libere e nei diritti sono uguali agli uomini... La legge è espressione della volontà generale: tutte le donne e tutti i cittadini maschi hanno il diritto di partecipare alla sua formulazione sia personalmente sia tramite i propri rappresentanti”. Richiedeva inoltre uguali opportunità nel pubblico impiego, il diritto di intentare causa per paternità e in generale la fine del predominio maschile. Eppure, nonostante l’attivismo straordinario di femministe come Olympe de Gouges, Etta Palm e Théroigne de Méricourt, e un programma femminista (un po’ frammentario, è vero) di trasformazione educativa, economica, politica e giuridica, le donne finirono per essere sistematicamente escluse da tutti o quasi i benefici della rivoluzione, compreso il diritto di voto. Nell’autunno del 1793 venivano messi fuori legge persino i loro circoli politici.
Prese il sopravvento l’idea roussoniana della donna che è custode “naturale” della casa. Indicativo dell’ostilità della rivoluzione al progresso delle donne è il primo atto della Société Populaire et Républicaine des Arts (che subentrò alla Commune des Arts) istituita nel 1793, che escluse le donne dalle riunioni. I membri decisero di chiudere la porta alle donne artiste perché le donne sono “diverse dagli uomini sotto tutti gli aspetti...” . Poiché la società, si affermava, aveva lo scopo di coltivare le arti più che la politica, e poiché la legge proibiva alle donne di riunirsi a deliberare per qualsiasi ragione, ammetterle sarebbe stato andare contro la legge.
In risposta a un membro che debolmente protestava perché la società giacobina aveva ammesso una donna, un altro sociétaire dichiarò fermamente che tra i repubblicani le donne dovevano assolutamente rinunciare ai lavori destinati agli uomini. Pur ammettendo che per soddisfazione personale gli sarebbe piaciuto vivere con una donna dotata di talento artistico, sapeva tuttavia che si sarebbe trattato di un comportamento contrario alle “leggi di natura”.
Alla “cittadina Le Brun” (Mme. Vigée -Lebrun) che dava prova di grande talento artistico e aveva quindi offerto esempio a un esercito di donne desiderose “di impicciarsi di pittura mentre dovrebbero occuparsi solo di ricamare cinturoni e berretti alla polizia” La proposta di ammettere solo cittadine di talento riconosciuto e di personalità esemplare fu respinta semplicemente con il puro e semplice divieto di ammissione delle cittadine. Eppure nonostante il divieto di accesso, fin quasi alla fine dell’Ottocento, sia dall’Ecole des Beaux-Arts sia al prestigioso corso di Belle arti dell’Institut, benché dovettero compiere studi separati dai colleghi maschi, le donne artiste fecero tuttavia progressi, collettivamente e individualmente, negli anni successivi alla rivoluzione. Alle mostre pubbliche dei primi dell’Ottocento, le donne parteciparono sempre più numerose. Tra queste artiste, alcune arrivarono a specializzarsi anche se, nell’ambito di soggetti di scarso prestigio, come il ritratto. Tanto che la critica riconobbe all’inizio del secolo, la “felice fecondità” delle ritrattiste. Altri soggetti erano scene domestiche di toccante serenità o di straziante se pur oscura tragedia, da cui sovente traspaiono toni moraleggianti.
Va comunque detto che senza dubbio all’inizio dell’Ottocento donne artiste come Marguerite Gérard, Pauline Auzou, Costance Mayer, Eugénie Servières, Elisabeth Claudet, Antoinette Haudebourt -Lescot si conquistarono parecchio terreno in questo territorio popolare anche se non molto considerato.
Si è qui entrati nella condizione femminile nei riguardi della Royal Academy perché è paradigmatica, con variazioni di scarso rilievo, di situazioni che si verificarono altrove nello stesso periodo. Da questo punto di vista gli Stati Uniti, o almeno la Pennsylvania Academy, furono relativamente progressisti, nonostante le svariate difficoltà che le studentesse dovettero superare per accedere al modello nudo. Ma ancora dopo nel 1882, e oltre, il consiglio direttivo dell’Accademia riceveva lettere irate da propugnatori della decenza che inorridivano perché “i sentimenti di virginale pudore” delle studentesse venivano violate dal contatto con la persona delle donne degradate dalla vista dei nudi maschili nel calore soffocante della classe di pittura dal vero”. Secondo una leggenda, proprio per aver tolto il perizoma a un modello maschile nella classe femminile Thomas Eakins fu costretto a dare le dimissioni dall’incarico di professore all’Accademia.
Anno 2010. Qualcosa in tutti questi anni è davvero cambiato nella condizione della donna nell'arte. Da donna artista, non posso che esserne fiera. Gli ultimi avvenimenti da me vissuti, infatti mi incoraggiano ad andare avanti in questa difficile ma meravigliosa carriera. Appena nel mese di novembre 2010, ho partecipato ad uno dei più importanti appuntamenti artistici in Italia: la quinta biennale che si è svolta nella bellissima città di Ferrara e con mia grande sorpresa, ho trovato i miei dipinti collocati nel posto più in vista del grande salone del Palazzo Racchetta, il matroneo[1]. E ciò che mi ha stupito è che l'allestimento è stato guidato dal Direttore della Mostra e collezionista Vincenzo Cignarale, supportato da un'altra importante figura del mondo dell'arte contemporanea, la storica e critica Sabrina Falzone. E sebbene tra i partecipanti, vi fossero alcuni bravissimi artisti maschi, io donna, ho avuto questo privilegio.
[1]Il matroneo è un balcone o un loggiato posto all'interno di un edificio e originariamente destinato ad accogliere le donne (derivante appunto da "matrona")
Nelle chiese medievali i matronei persero la funzione di accoglienza e divennero esclusivamente elementi architettonici, posti sopra le navate laterali e con la funzione strutturale di contenere la spinta della navata centrale, formati solitamente da campatesovrapposte a quelle delle navate laterali.