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Stavo passando un periodo non molto positivo, anche se sarebbe più giusto definirlo di merda. L’ incidente fu la ciliegina sulla torta. Le settimane di ospedale, l’ operazione dall’ esito incerto e la conseguente fisioterapia sommata alle altre cose quotidiane mi fiaccarono di brutto, ero fisicamente e psicologicamente prostrata. Ricordo poco, solo qualche sprazzo di quella notte orrenda, pioveva e grandinava, la strada era praticamente un greto di fiume. Procedevo piano, si vedevano le sagome indistinte delle cose, mancavano pochi metri a casa, quando dal senso unico di Via Raiola, una macchina mi centrò con tutta la forza di uppercut, mi cappottai per l’ urto, poi sbiaditi frammenti di tempo. I vetri in frantumi, un ronzio costante, fumo bianco dal motore. Urla e domande, sirene e freddo. Prima di perdere i sensi, una figura indistinta mi prese in braccio e mi distese sotto un portone. " L’ ambulanza sta arrivando, tieni duro ".
Aperti gli occhi, dolore, flebo e fasciature, la gamba sinistra chiusa come dentro un sarcofago, cominciai a piangere. Nella stanza alcune composizioni floreali, un paio di peluches, ma le sedie erano vuote, non sapevo che giorno fosse, mattina o sera, pomeriggio o notte, mi sentivo persa e dimenticata. Provai a mettermi di fianco, ma l’ ingessatura mi bloccava, una fitta penetrante, da mozzare il fiato, ottundeva i pensieri, altre lacrime. Fissai il vuoto in cerca di pace. Un paio di infermiere, forse, vennero a vedere come stavo, ma era tutto molto distante e distorto. Nei momenti di lucidità sempre più durevoli, cominciavo a muovere qualche passo con il deambulatore nella stanza, almeno non ero rilegata sul letto a massacrarmi il coccige. Venne un martedì, durante la mattinata, mi fecero visita un paio di avvocati, un agente di polizia ed alcuni parenti. Wow, ero famosa, il giornale locale, parlava dell’ incidente: " l’ altro guidatore un rumeno di 26 anni, D. L non in condizioni di guidare, positivo ad alcool e sostanze stupefacenti... divieto d’ accesso, mancato stop... morto nell’ impatto per le ferite riportate. Un anonimo, giunto sul posto, trasse fuori dal veicolo ribaltato la signorina Maddalena Grossi....poco prima che l’ auto prendesse fuoco...." Porco zio! Bene, un salvatore sconosciuto mi aveva sottratto alla morte, ma se quel maledetto delinquente non mi avesse centrato, non sarei stata qua. Ero viva, questo bastava, però porca puttana.... Uscita da qui, mi aspettavano parecchie gatte da pelare... e difatti... quattro mesi di odissea, non erano male. Lavoravo da casa, ma giuro, sentivo nostalgia della scrivania. Il caffè della macchinetta: imbevibile, le sigarette e le colleghe, l’ odore forte di varechina dei bagni che Marisol usava senza remore. Mi mancavano pure le lamentele della gente. Mia sorella venne trasferita, i molti amici che credevo di avere, si dileguarono come ombre a mezzogiorno. Ero sola. La casa da mandare avanti, una fisioterapia fastidiosa e tempi di ripresa siderali, una depressione si stava avvicinando minacciosa. Ogni tanto mordicchiava la caviglia; era nascosta nel ricordo di quella notte, nelle ferite ancora visibili e nel silenzio di ore troppo lunghe da passare.
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I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.
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