"Maria sbrigati, che e’ tardi, l’ autobus passa tra dieci minuti, e se lo perdi dovrai aspettare mezz’ ora, se sei fortunata". Ogni mattina la stessa solfa, "corro, corro sempre". "Correvo per andare a scuola..., a piedi s’ intende" , cosi i soldi dell’ autobus li avrei usati per la merenda, e ora corro a lavorare in mensa. Lavo i piatti sporchi di chi in questa grande azienda guadagna millecinquecento euro già al primo stipendio, lavo pentole più alte di me e mi spello le mani con acidi e detersivi che insieme allo sporco si portano via la mia pelle. Non mi tiro mai indietro, qualsiasi lavoro ci sia da fare io ci sono.
"Maria corri c'è da preparare il coffee break, Maria hai preparato i secondi freddi? E i formaggi? E la frutta? Maria domani devi fare gli straordinari"...
Millecinquecento persone affamate, ma di una fame stupida, quella fame che gli fa disprezzare cose che altri divorerebbero; uomini e donne che si avvicinano al cibo con aria quasi disgustata, e che ti dicono “ signora ma oggi non c'è proprio niente di buono”,
io li guardo sbalordita, ma come? Qui c'è ogni ben di Dio.
Dall’ isola dei primi..., già l’ isola, un modo chic per pamperizzare i nostri clienti, sale un profumo che stuzzica le papille, sei primi caldi uno diverso dall’ altro, e loro dicono che oggi non c' è niente di buono. E io devo pamperizzare, questo termine secondo lo psicologo della mia azienda sta a significare che noi al commensale gli dobbiamo fare di tutto pur di renderlo felice. Sorridi Maria, Sii gentile Maria, sempre più gentile Maria, metti il pannolone al cliente Maria, pamperizzalo purché sia felice. Spesso mi capita, quando esco di casa, la mattina verso le sei e mezza, di guardarmi intorno, c'è sempre la solita gente in giro, assonnata come me, stanca della mia identica stanchezza, volti vuoti, con l’ anima ancora a riposo, almeno quella. E siamo li sempre gli stessi,
ad aspettare il bus. Seduta accanto al finestrino guardo la strada che spesso mi ipnotizza, si snoda davanti a me come un serpente sinuoso e il suo respiro diventa il mio, molti dormono e io penso, che vita, che fatica. Anche oggi come tutti i giorni scende dalla sua auto un giovane impiegato, e lo accompagna il padre, ogni mattina. Potrei ripetere ad occhi chiusi i loro movimenti, tanto sono precisi e studiati, il figlio alla guida, il parcheggio nella zona disabili, gli sportelli dell’ auto si aprono, il padre scende e apre il portellone dietro, lui prende le sue gambe, una alla volta e le sposta verso l’ esterno, arriva la carrozzina... lui sale, si chiudono le portiere, e via al lavoro dietro la sua scrivania, mentre il padre se ne va. Lo guardo e penso, certo lui e’ davvero sfortunato, e un po’ mi vergogno per essermi sentita sfortunata anche io. Ma la fatica c’è, tanta davvero e ciò che maggiormente mi avvilisce è che non ho nessuno che almeno mi consoli, qualcuno che mi abbracci quando tornata a casa sfinita e riesco a malapena a star dritta in piedi.
Non che io viva sola, per carità ho un compagno, ma sto scoprendo solo ora il suo disagio nei confronti del mio lavoro.
Ho capito, anzi ho letto nei suoi occhi una certa vergogna quando qualche volta mi è venuto a trovare o a prendere al lavoro, chissà forse perché lui è un impiegato, in pratica uno di quelli che sta dall’ altra parte del bancone della mensa.
Mi avvilisce questa situazione, sentirmi parte della casta degli invisibili, e sentirmi invisibile anche agli occhi di chi dovrebbe amarmi.
Poi penso a chi sicuramente sta peggio di me.
Però penso anche a quanto si senta carne da macello chi come me per campare deve quasi essere schiavizzato, e a volte come è capitato, deve tuffarsi nell’ immondizia per cercare l’ anello d’ oro che una stupida impiegata ha perso nel purè di patate, mentre chiacchierava con le colleghe.
La vita è così strana, e noi siamo strani, noi che nonostante tutto ci sentiamo a casa in quel luogo che ci toglie dignità,
eh si perché se è vero che il lavoro nobilita l’ uomo, è anche vero che in certi posti di lavoro ci sono uomini che rendono pezzenti altri esseri umani, anche solo con i loro sguardi. Che vita ho scelto di vivere, così dura e triste, che posso definire certamente una punizione alla quale però ho deciso di dire basta.
Da domani si inizia un nuovo percorso, ho così tanto coraggio ora e così tanto da costruire. Sarò costruttrice del mio futuro, portando giorno dopo giorno cemento e mattoni al mio cantiere.
Nessuno mi attraverserà più con lo sguardo, la mia voce sarà alta e possente, e la mia figura benché minuta sarà visibile al mondo intero.
La fortuna ha volto finalmente lo sguardo su di me e domani affronterò un colloquio di lavoro in una onlus che si occupa di bambini indigenti, e di donne maltrattate o abusate.
Ho deciso di riprendere a studiare, e nessuno mi guarderà più con sufficienza, e soprattutto non accetterò più di avere al mio fianco chi si vergogna di me.
Ci sono esperienze che ti distruggono, ma dalle quali si può rinascere, senza più timori nè debolezze, ma con una consapevolezza nuova di se e degli altri, si rinasce capaci di difenderci dall’ arroganza altrui, consci del nostro valore e finalmente fieri di noi stessi.