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Pane e molliche

Dramma

Che fosse motivo di vanto me ne ero accorto, anzi ora penso forse che chiunque se ne sarebbe accorto dei nonni ancora in vita.

I nonni dalla parte di mio padre, effettivamente i suoi genitori.

Ci pensate! Cosa c’è dietro questa constatazione avvincente? Sì va bene, l’affetto verso questa figura doppiamente genitoriale, e fino qua…

Forse i tuoi genitori non devono andare sempre dal dottore e la mamma non è costretta a passare ore dal parrucchiere a provare la nuova tinta di capelli per annullare le insidie del tempo. C’è dell’altro.

Forse chi ti è intorno ha la pelle sul viso senza barba e fa ragionamenti improvvisati e fuori luogo. Questi ero forse io? Qualcuno prende anche le botte, qualcuno deve esserci a rompere le uova nel paniere, ma non basta, c’è dell’altro.

C’è il motivo per il quale ci si sente sollevati ogni qualvolta si ripensa a quei tempi. Forse il denaro che assomigliava a semplici figurine delle quali se ne faceva incetta. O forse il caldo ed il freddo che sembravano i protagonisti dei cartoni animati divorati la sera in tv prima delle previsioni del tempo. Ero basso, non mi vedevo poi mica tanto bene, però accipicchia, con una stizza potevo far muovere i giganti, che potere! A volte le buscavo, ma erano di più le occasioni a mio favore nelle quali potevo godere appieno del privilegio di essere un bambino. Ricordo una scena di quale film non saprei dirvi, io mi sedevo sulla sedia con l’immancabile pane e pomodoro, e mentre tutti sudavano fra isteria e sconforto, io ero bello fresco e con gli occhi spiritati intenti nel godermi lo spettacolo. Era una festa sì, i canoni sembravano inequivocabili. Era puntuale, un vero spettacolo, tutti zitti, silenzio, il tempo pareva fermarsi. Altro che borsa di Milano e tutti gli indici del mondo. Qui si stava consumando un rituale religioso fra il frastuono ed i silenzi di anime ignare, mentre la conta inevitabile e metodica del guadagno giornaliero si svolgeva senza interruzione alcuna, a parte un dettaglio.

A dirla tutta c'era stata un'interruzione, sì! Una vita si era interrotta; non mi potevo più vantare. La sua vita si era spenta a seguito di una estenuante malattia. La nonna, la mia nonnina, la mia nonnona ci aveva lasciati, mentre tutto il parentado era in zona avvertito dell’imminente probabile evento tragico. Se di evento tragico poi si poteva parlare. Un po’ ciò che accade in qualche cultura tradizionalista in varie parti della terra, la quale non è foriera a mio avviso di insensatezza, ma apre la mente ad una soluzione artistica e magicamente leggera sul significato della nostra dipartita. Sì, l’apoteosi si stava per compiere, l’apoteosi delle attività culinarie. E che c’entra tutto ciò, qualcuno obietterà?

Uomo di poca fede, c'entra c'entra, eccome se c'entra, piano piano c’entra tutto dentro a quelle bocche, ah ah!

Mentre la porta di casa mezza socchiusa annunciava il triste evento, passato il corridoio d’entrata, ci si immergeva nella sala prospiciente la cucina, dove a lavorare ai fornelli a turno erano impegnate le figlie, le nuore, le pronipoti e anche qualche donna di passaggio trovatasi lì per caso. Le parole erano superflue. Si parlava a bocca piena. Mugugni quindi. Più che altro a parlare erano i piatti, col loro tintinnio, sempre colmi di ogni leccornia, accompagnati da fiumi di bevande, non per ultimo l’immancabile vino pugliese. E si mangiava, si mangiava, chiunque veniva a dare le condoglianze veniva inchiodato ad una sedia e con una paletta imboccato, perché forse magicamente si era compreso che tante chiacchiere effettivamente non servivano proprio a niente. Le poche frasi pronunciate invece vertevano su consigli culinari, sulla giusta dose di sale, nonché di pepe e su ammonizioni a poter migliorare la cottura dell’una come dell’altra pietanza. Erano abolite le cipolle, non si sa mai. Guai a piangere, la costernazione veniva esplicata a pancia piena di tormenti nel cortile fuori stante alla cucina. Io rimanevo allibito, eppure guardando il cielo non vedevo nuvoloni…

Non c’è da aggiungere altro, mia nonna non c’era più, ma per l’ultima volta insieme a lei e a suo onore si era consumato un lauto pasto a ciclo continuo, degno della sua proverbiale eterna ed insaziabile fame. E le risate scendevano copiose a rallegrare anche il suo triste sudario.

Ancora un’altra fetta di pane…

<< Dai dai inchi la vucca, statti cittu mancia quai >> ( dai riempi la bocca stai zitto mangia )

Ancora altre molliche da spazzare per domani.

Alfredo Mercutello 19/01/2011 17:58 1240

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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Pagine: 200 - € 14,00
Anno: 2009 - ISBN: 978-88-6096-494-6


Libri di poesia

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Alfredo Mercutello
 I suoi 7 racconti

Il primo racconto pubblicato:
 
Pane e molliche (19/01/2011)

L'ultimo racconto pubblicato:
 
Azzurra (21/09/2011)

Una proposta:
 
L'albero (21/03/2011)

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