"Mi raccomando, lavorazione accurata! " Erano queste le parole che immancabilmente mio padre, negli anni Cinquanta, si sentiva rivolgere da un suo datore di lavoro (il proprietario di un negozio di abbigliamento maschile nella centrale via Toledo, allora via Roma, di Napoli), quando andava a procacciarsi delle commesse di pantaloni.
Nei primi tempi mio padre portava da solo a Napoli quella produzione, con il trenino locale, e poi, quando l'attività si ingrandì un poco, si serviva di un corriere, un ometto garbato e mite, lo ricordo bene, con un cognome di chiara origine ebraica (il nome del capoluogo di provincia più meridionale delle Marche): spendeva tutti quei pochi soldi che riusciva a guadagnare con il suo modesto e faticoso lavoro per pagare le rette del convento in cui sua figlia si trovava per diventare suora. (A volte, per cancellare qualche cosa ritenuta poco dignitosa - un proprio difetto, una pecca della famiglia di origine, o addirittura degli avi -, si esagera in senso opposto, ed ecco che il figlio di un ebreo convertito diventa sacerdote cattolico, che il fratello di un omicida ripudia le armi, che il nipote di un ricco e gaudente industriale sceglie una vita ascetica...)
Io ero un bambino, ed osservavo mio padre lavorare sempre con la preoccupazione di rendere accurata al massimo la sua produzione (anche se poi quel datore di lavoro non era mai contento), e di conseguenza portai quel valore nella scuola, da alunno: cercavo di non perdere nessuna parola del maestro e poi dei professori, di svolgere sempre tutti i compiti a casa, di scrivere le parole con una grafia chiara e comprensibile (almeno fino al primo anno della scuola superiore, quando la professoressa di Italiano, correggendo un mio compito, non riusciva a rendersi conto del perché avessi scritto la parte superiore di una "f" leggermente curvata; dovetti spiegarle che l'avevo fatto per non farla combaciare con la parte inferiore di una "g" sovrastante...)
Anche se col tempo l'influenza del concetto di "lavorazione accurata" si è per me alquanto attenuata, tuttavia cerco di applicarlo ancora quando è necessario: controllo tuttora tante parole sul vocabolario prima di pubblicare qualcosa in questo sito, e a scuola, da docente, a costo di farmi venire dei forti mal di testa correggevo fino all'ultima virgola gli elaborati di francese dei miei numerosi alunni, anche se non so con quanto beneficio per loro che, in maggioranza, erano piuttosto refrattari allo studio della mia disciplina...
Negli anni Ottanta, poi, nella mia cittadina ebbi una chiara dimostrazione dei danni che possono essere causati da una lavorazione poco accurata. Il grande stabilimento automobilistico, inaugurato nel 1972 e quindi con soltanto una decina di anni di vita, attraversò un periodo di profondissima crisi (cfr., ad esempio, "Sindacato e forza lavoro all'Alfasud", di Dario Salerni, ed. Einaudi, 1980): allora esso era stato praticamente statalizzato, e l'esagerato numero di assunzioni, spesso clientelari, vide la fabbrica riempirsi di operai non solo poco specializzati, ma molte volte anche lavativi (difesi dai sindacati, ottenevano facilmente lunghi congedi per piccoli o inesistenti motivi di salute, percependo tranquillamente lo stipendio ed arrotondandolo sovente con lavori in nero corrispondenti alle attività che essi svolgevano prima di diventare operai: barbieri, sarti, falegnami, piccoli commercianti, eccetera) . (E la mia nonna pesarese aveva già quasi previsto tutto ciò quando, alla fine degli anni Cinquanta, diceva spesso e volentieri: "I n'a voja d'lavrè, 'sti giovne d'ogg! "; aveva ben presente l'esempio del marito, mio nonno, un operaio quasi stachanovista, che nel primo dopoguerra, a Milano, fu malmenato, molto probabilmente da un gruppetto di persone appartenenti al nascente movimento comunista, perché aveva espresso il desiderio di lavorare, se retribuito, anche il primo maggio.)
Si minacciò di chiudere lo stabilimento e, quando la maggiore industria automobilistica italiana poco tempo dopo accettò di farsene carico, arrivò immediatamente e giustamente l'ordine della "qualità totale" per tutti i dipendenti. Lentamente la fabbrica si riprese: ora non ha neppure la metà dei dipendenti di allora, ma la qualità è davvero migliorata!
La "lavorazione accurata" ha uno svantaggio: non va d'accordo con la quantità. Per fare bene una cosa ci vuole tempo, oltre che organizzazione (a volte basta a stento una vita, come successe a Proust per scrivere il suo unico, anche se lunghissimo, romanzo, la "Recherche") , e le altre cose (per le quali si è poco portati) dovrebbero essere abbandonate, come io abbandonai da ragazzino il gioco del calcio (che pure mi piaceva) quando mi accorsi che facevo solo innervosire i miei compagnucci di squadra, che portavo sovente alla sconfitta a causa delle mie pessime doti, come rinunciai, dopo pochi tentativi, ad andare a ballare perché mi sentivo molto a disagio in mezzo alla pista, come lasciai perdere l'autocompilazione della dichiarazione dei redditi quando mi arrivò una multa piuttosto salata per avere omesso sbadatamente la stesura di una voce...
Ognuno, nel mondo, è capace forse di una sola "lavorazione accurata", diversa da quelle del proprio prossimo: se ciascuno sapesse bene individuarla e coltivarla per tutta la vita, stare nel mondo sarebbe probabilmente più facile, più soddisfacente e più bello per l'intera umanità.