Infastidito da quella che io interpretavo come indifferenza, quasi urlando, le dissi: "hai mai vissuto il rovinoso precipitare entro la forra del disgusto, dell'angoscia, del pianto?".
Attesi una sua reazione, che non giunse. Di rimando solo uno sguardo quasi inebetito che esprimeva tutto quanto in lei io non capivo e non riuscivo ad accettare.
Proseguii: "Cos'è, come potresti definire quel tarlo, quel picchiettio costante che pervade l'anima al cospetto del disfacimento delle illusioni, lo svaporare delle speranze, l'assottigliarsi della nostra esistenza spersa in mille rivoli di dolore, annerendola e oscurandola?"
Tacque ed abbassò lo sguardo. Era il suo modo alquanto singolare per evitare coinvolgimenti in discussioni che lei riteneva senza costrutto e prive di senso. Ero esasperato e non volli, come altre volte, cedere.
La incalzai: "Proviamo a capirci, se mai sarà possibile, almeno stavolta. Il dolore non è una fantasia che, in assenza di ragioni reali e concrete che contribuiscano a generarlo, autonomamente s'installa nel profondo di un'anima. Raccontami, finalmente, se puoi, quale sentimento potresti provare tu per la perdita di un figlio, per la morte di un affetto, per la scomparsa di una presenza cara che vive in te? Indifferenza, assenza di emozioni? La morte di un caro dipinge sul tuo volto un condiscendente sorriso che lascia il tuo animo sereno, privo di turbamento, oppure avverti anche tu un ago acuminato che sevizia e martoria il cuore? Lo svanire di un amore, il suo irreversibile consumarsi, lascerebbero in te un sapore amaro di sconfitta, il senso del tragico, della caduta, o, ancora una volta, l'indifferenza e la commedia s'imporrebbero nel tuo animo? Sarebbe un'atarassia indomita quella che s'impossesserebbe di te in questi accidenti della vita? Se così fosse, lascia a me le lacrime, lascia che avverta il dolore, lascia che maledica, lascia che mi sostenti con la rabbia."
Mi guardò stupita, mai le avevo parlato in quel modo, mai avevo osato irrompere in maniera così autoritaria nel suo mondo nebuloso, chiuso dentro una cassaforte, ben protetto e per me del tutto inaccessibile. Si fermò, mi prese una mano, la portò alla guancia e la baciò. Fu un gesto tenerissimo che fece sbollire d'un fiato la mia irritazione.
Con la solita dolcezza, nel suo italiano stentato, rispose "Quando scompare un amore, o un affetto svanisce nell'aria, quando si consuma o si spegne quel lume di calore che riempie una vita, noi entriamo in un mondo privo di tutto e ricco di assenze, dove tutto il nostro essere viene avvolto da nebbie ghiacce e il cielo della nostra anima si offusca, offuscando anche i nostri sentimenti e le nostre emozioni. Questo oscurarsi del cuore intorbida parti di noi, per cui perdiamo di vista il mondo e la Vita che ci abbracciano comunque. L'amore non è amore verso l'altro, ma è amore di ciò che di noi vediamo nell'altro... quel che scompare è la scomparsa di parti, di frammenti di noi, del nostro essere. Noi non amiamo il prossimo, amiamo noi stessi nel prossimo, ciò che il prossimo ci rinvia in immagine di quanto amiamo."
Queste frasi da allora mi si sono impresse nella mente, non le scorderò più. Non amiamo gli altri; amando, amiamo noi stessi; chi non ama in primo luogo se stesso, non può amare il prossimo. Forse per questo Gesù non hai mai predicato l'ascetismo. Era proprio bella e radiosa, in quel momento. Una lamina di luce le impreziosiva il volto da africana. Il suo dolce sorriso rimandava lampi di riverbero che parevano cingerle il viso in un abbraccio splendente.
"Ho visto la mia gente martoriata dalla fame, dalla siccità, da altri uomini del mio stesso colore. Ho sentito il sibilo delle bombe e dei proiettili. Ho udito il pianto dei mie fratelli e delle mie sorelle, le urla per lo strazio di mia madre e visto il corpo di mio padre lacerato dal becco dei rapaci. Ho attraversato deserti e mari, incontrando gente di tanti colori, più disperata e impaurita di me e uomini rozzi, crudeli e assassini a cui nell'angoscia più cupa ho consegnato la vita e tutte le mie residue speranze. Ho tremato, pianto e avuto paura e rabbia. Ho deciso che non ne avrò più.
Io devo andare. Voglio entrare nella mia terra, da dove son venuta fuori, in essa voglio confondermi. So bene che il mio male progredisce, lo sento che ogni giorno va ad occupare una sempre più ampia area del mio corpo. Ma è il destino, è la Vita ad esigere un prezzo che bisogna sempre essere pronti a pagare, perché la Vita è un dono gratuito, ed è ancor più gratuito poter nascere in un luogo anziché in un altro. In questo non c'è merito e non c'è colpa, anche se a me, ospite spesso sgradita, questa colpa mi è stata imputata. Ma non ho risentimento, solo gioia serbo nel cuore, perché la Vita mi ha negato tanto ma un dono magnifico non me l'ha voluto rifiutare, forse per compensare: non avrò tempo per far l'amore, ma ho imparato ad Amare, e questo mi basta, perché mi sento ricca."
Era bello sentirla parlare in quella strana lingua: un misto fra italiano e africano, con inflessione swahili, così mi disse quando l'estate prima l'avevo conosciuta in un angolo di strada mentre, sorridendo, guardava il cielo azzurro. Le strinsi la mano e l'accompagnai al porto per l'imbarco. Con la commozione che erompeva dal petto per l'imminente perdita, la ringraziai per la stupenda lezione e le promisi che in ogni bambino o bambina avrei rivisto lei e il suo magnifico sorriso da tredicenne che non aveva conosciuto le bambole: un saluto, Amina, piccola donna mai stata bambina. |
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