“ Le droghe non funzionano. Sono filtri che modificano la percezione della realtà.”.
CAPITOLO UNO: Lo sconosciuto.
6 agosto 1776
Nella taverna un uomo solitario si stava perdendo nel mare che solo una tazza di rhum sa nascondere tra le sue onde.
Lì viveva un ragazzino, grande abbastanza da accettare cosa gli girava intorno, piccolo da non capire appieno la vita. E sì che quel mondo era il suo, che quegli odori facessero ormai parte di lui, ma aveva pupille grandi, quel ragazzo, dilatate più della media e molte volte, il suo sguardo sembrava perso chissà dove, quasi trasognato, quasi ospite della sua stessa esistenza. Che età avesse non lo sapeva, forse tredici o quattordici anni, forse meno, forse più. Ma non era importante, nessuno glielo aveva mai domandato e lui non si era mai dato una risposta. Sapeva solo che l’ età non c’ entrava con quello che aveva appreso, tanto o poco che fosse, e che soprattutto le persone che lo circondavano non si facevano tante domande a riguardo e quindi, forse, non era importante. Faceva il garzone in quella taverna.
Adottato da due persone che gli dicevano essere i suoi genitori e padroni della stessa, sapeva di non essere il loro figlio naturale, perché il prete glielo aveva detto in una notte di tempesta di maestrale, dopo aver bevuto troppo. Era un orfanello, lasciato da chissà chi davanti alla porta della chiesa e il prete, appunto, lo aveva affidato a quelle due persone che cercavano un figlio da tempo ma che, per volere divino o meno, non avevano mai avuto la possibilità di averne uno.
Gilliam era il nome del ragazzo, schivo ma sorridente, gentile, timido e soprattutto, dote apprezzata da tutti, decisamente interessato solo ai propri affari. D’ altronde, non era né periodo né luogo per essere curiosi. Le notizie o gli avvenimenti accaduti, li apprendeva semplicemente gironzolando e servendo tra i tavoli della taverna. Non era un mondo semplice, ma era ricco di misteri e di racconti che rasentavano il surreale, che narravano di sirene e mostri marini, d’ isole lontane ed esotiche. Ed era difficile immaginarlo visto che in quel buco di culo di porto non c’ era altro che pioggia, bestemmie e sudore degli scaricatori di porto, dei pescatori e degli abitanti.
Avrebbe avuto voglia di scrivere, ma non ne era capace, allora disegnava, nel miglior modo che sapeva. La scrittura era destinata ai facoltosi e ai preti, ma la fantasia, quella era destinata a pochi in quel periodo, e a lui non mancava.
Lavorava in taverna per aiutare i suoi genitori, ma quando poteva andava sulla scogliera e scrutava l’ orizzonte e cercava di immaginare come sarebbe stato essere laggiù. Chissà cosa c’ era oltre quella linea che univa terra e cielo, oltre ai soliti pascoli verdi della Scozia che conosceva.
Una volta, mentre andava a comprare il rhum per la taverna insieme a suo padre, aveva visto un castello diroccato in cima a una collina, contornato dal verde dei prati, e sorvolato da uccelli che vedeva infilarsi tra le pietre dove forse, avevano i loro nidi. Chissà chi l’ aveva costruito, chi ci aveva vissuto e quale fosse stata la storia di quelle rovine consegnate al passato. Suo padre gli aveva detto che una volta, molto tempo addietro, quel castello era di un nobile signore, benvoluto dalle genti del posto, ma che era partito per le crociate e che da quel momento non se ne era saputo più nulla. I famigliari lo attesero a lungo ma poi vendettero il castello e tutto andò in rovina col tempo. Gilliam ne era affascinato e le sue pupille si dilatavano e la sua mente viaggiava in epiche storie di cavalieri e armature.
Al ritorno da quei viaggi alla ricerca di rhum, la mente volava sempre a quelle rovine. Da qualche tempo si riprometteva di andare a curiosare ma per i più svariati motivi non ne aveva avuto modo. In quegli anni i bambini diventavano uomini precocemente e il tempo ludico era davvero poco. Bisognava aiutare in casa, nei campi, con gli animali e trovare un ritaglio per il gioco era difficile.
Una sera di burrasca, mentre il vento faceva ululare il sartiame delle imbarcazioni e il mare vomitava il suo malessere sulle scogliere, guardando fuori dalla finestra di camera sua battuta dalla pioggia, Gilliam si mise a disegnare. Immaginava velieri che in balia del mare, rollavano tremendamente al traverso, inclinandosi in maniera paurosa per poi riportarsi in posizione verticale e quindi, inclinarsi dal lato opposto. La sua fervida immaginazione e la sua capacità innata di mettere su carta le immagini che gli si materializzavano nella mente, creavano a vere e proprie piccole opere d’ arte. Non a caso, malgrado l’ austerità della taverna, un paio di quelle erano finite ad adornarne le pareti. I vecchi marinai, guardando quei disegni, immancabilmente rievocavano le mille avventure e disavventure marinaresche. Gilliam ne era affascinato e quando poteva, si soffermava un poco per poter sognare ad occhi aperti. Avrebbe voluto potersi imbarcare e partecipare a questi viaggi di pura adrenalina. Ad un tratto, al di là dei vetri, lungo il molo illuminato dai lampi, vide un’ ombra claudicante che stava girovagando senza meta. Un brivido gli percorse la schiena e, distolto lo sguardo, s’ infilò sotto le coperte, cercando di dimenticare quell’ immagine e si addormentò con il suo foglio e la matita ancora in mano.
Quando i colpi alla porta si fecero più forti, il padre di Gilliam scese le scale alla luce di una candela e andò a vedere chi fosse che disturbava il sonno nel cuore della notte.
« Chi è là?»
« Aprite!» disse l’ uomo. « Per l’ amor di Dio, aprite per favore.»
La voce era stremata e roca e non sembrava giovane. Il padre, dopo un attimo di esitazione aprì e quell’ ombra fradicia di pioggia, gli crollò addosso. Per evitare che cadesse a terra, il padre lasciò la presa della candela e prese tra le braccia il mal capitato. Lo portò all’ interno e chiusa la porta, lo fece accomodare davanti al camino, sempre acceso in quelle lunghe notti invernali. Gli portò una tazza di rhum che bevve sorseggiando. L’ uomo tremava e non si capiva se di freddo o di paura o di entrambi. Il taverniere gli tolse il pastrano e lo mise a fianco al fuoco per farlo asciugare e cercò una coperta da mettere sulle spalle del malcapitato.
« Cos’è successo? Chi siete?»
Non sembrava un uomo con cattive intenzioni, ma non poteva fidarsi completamente.
« Il mio nome è James, James Mc’ Field. Sono originario del Galles, sono un mercante senza dimora, girovago per tutto il paese. Questa notte sono stato aggredito da dei banditi. Mi hanno derubato del mio carro e de miei due cavalli. Sono scappato a perdifiato dalle loro grinfie e mi sono ritrovato qui. Grazie per avermi accolto.»
« Mi spiace per la vostra disavventura, potete restare qui finché farà giorno e la buriana si sarà placata.»
Il fuggitivo cominciò a calmarsi lentamente, i vestiti cominciavano ad asciugarsi col tepore del fuoco e con loro i brutti pensieri di James. Si sentiva al sicuro e sicuramente non era stato seguito da quei bruti visto che avevano già in mano il loro bottino. La sua vita non era cosa preziosa.
« Avete detto che venite dal Galles.” Riprese George, il padre di Gilliam. « Ci sono stato una volta, molti anni fa, con mio padre. Avevamo dei parenti laggiù, zii di mia madre. Credo siano morti tutti, Dio li abbia in gloria.»
« Sono desolato.» Rispose lo sconosciuto.
« E per cosa? Erano persone ormai anziane a dire il vero, la loro vita era comunque al capolinea, vuoi un po’ per l’ età, vuoi un po’ per i duri trascorsi.»
James si rilassò ulteriormente e si accomodò quasi a volersi sdraiare sulla sedia, inclinando la testa all’ indietro e socchiudendo gli occhi. Solo allora George si accorse che affianco al mercante, appoggiata a terra al lato della sedia, c’ era una borsa in pelle. Non l’ aveva notata prima, nel trambusto della vicenda.
« Mi spiace, non ho una stanza da potervi offrire per poter riposare più comodamente.»
« Non abbiate pena per me, vi sono già infinitamente grato per quello che avete fatto. Va benissimo qui. L’ alba non è lontana e appena la luce del sole comincerà a spuntare, toglierò il disturbo.»
« E dove andrete? Cosa farete? Non avete più niente con voi.» disse il padre di Gilliam.
« State tranquillo, sono abituato alle disavventure e a cavarmela. Non ho bisogno di molto, visto che comunque, non ho mai avuto molto. Quello che mi serve è qui», e indicò la testa, il cuore e la borsa.
« Va bene, allora se non vi dispiace, io torno in camera ancora un paio d’ ore. Spero di trovarla ancora qui al risveglio. Magari un piatto di bacon e un uovo potranno giovarla per la ripresa del suo cammino.»
Il viandante ringraziò con un largo sorriso e si rimise a riposare, mentre la sua mano penzoloni teneva ben salda la sua borsa.
Le prime luci dell’ alba fecero capolino da dietro la sommità delle colline alle spalle del paese. Una nebbiolina uniforme si stava alzando dai campi bagnati dalla pioggia e riscaldati dal sole. Gillian, al solito, era già pronto al lavoro. Si vestì e con gli occhi ancora stropicciati dal sonno, si diresse al piano inferiore, in taverna, per fare colazione. A metà scala, il suo sbadiglio si interruppe, vedendo uno sconosciuto che era seduto al tavolo, al fianco del padre e col quale stava interloquendo.
« Buongiorno Gilliam,» disse il padre, « avvicinati, voglio presentarti questo signore».
Il ragazzo obbedì e avvicinandosi James batté due pacche sulla spalla al giovanotto.
« Ah, quindi sei tuo suo figlio. Sono James Mc’ Field, felice di conoscerti e tuo padre, a quanto pare è molto fiero dite.»
« Piacere mio signore, mi chiamo Gillian», rispose con un accenno di sorriso.
« Tuo padre dice che sei volenteroso e che aiuti molto in taverna. Mi ha fatto vedere anche i disegni che hai fatto, questi appesi. Notevoli, davvero notevoli. Ne hai altri?»
« Si, ne ho alcuni, di sopra in camera mia.”
“ Mi piacerebbe vederli, se ti va naturalmente.”
Quell’ uomo trasmetteva strane sensazioni a Gillian. Aveva capelli scuri e mossi che gli cadevano sulle spalle, una barba rossiccia incolta ma non troppo lunga, che terminava con una punta quasi perfetta all’ altezza del mento e sfumava in un bianco quasi cangiante all’ altezza delle basette. I suoi occhi erano perfettamente simmetrici e di un grigio chiaro penetrante. La loro forma esprimeva bontà, ma in fondo, in qualche angolo recondito, si celava qualcosa di misterioso e triste.
« Dopo portali e mostraglieli,» interruppe il padre, « adesso fai fare colazione in pace al nostro ospite».
Così Gillian si congedò e diede inizio alle sue mansioni quotidiane.
In cucina, sul retro, la madre era già affaccendata nella preparazione della zuppa che avrebbe servito a pranzo, accompagnata da un agnello al forno per cui era famosa in tutta la cittadina.
Hole Bay era un piccolo villaggio costruito lungo una piccola baia che si affacciava sul mare, costituito da case basse in pietra con il tetto ricoperto di paglia. Solo alcune abitazione, dei pochi facoltosi che vi dimoravano, avevano copertura in lastre di ardesia. Molti fiori decoravano l’ esterno delle finestre, giusto per dare un tocco di colore e vivacità al tipico colore plumbeo che il tempo anglosassone era solito riflettere sui luoghi e negli animi. I gabbiani roteavano intorno alle imbarcazioni che ritornavano dalla pesca notturna, e le seguivano fino al porto, certi della loro ricompensa dovuta agli scarti del pescato, per poi andarsi a riposare o rincorrersi lungo le scogliere poco distanti, più a nord, ai confini del villaggio. I loro schiamazzi erano quasi assordanti e riempivano l’ etere. Ogni mattina commercianti e cittadini, si recavano al molo per comprare il pesce e cercare di accaparrarsi il migliore. La vita era dura per tutti, e lo specchio della fatica fatta durante tutta un’ esistenza, si rifletteva sulla postura della gente, nelle pieghe delle mani callose, nei solchi delle rughe che vento, sudore e sale inasprivano col passare del tempo. Non era poi così malaccio come luogo di villeggiatura per persone che cercavano ristoro e nella tranquillità della natura, genti che provenivano magari dalle città, che avevano voglia e bisogno di sopire le ansie della frenesia cittadina, del ritmo serrato del via vai metropolitano.
Molte erano le famiglie che adoperavano una stanza di casa loro a mo’ di camera per le vacanze per ospiti forestieri, per così dire, e in cambio ricevano qualche scellino per arrotondare un po’ il loro misero salario. Il tutto, naturalmente, si verificava nel periodo estivo, perché in quello invernale era quasi impensabile. Alle spalle della cittadina, verso est, la strada si snodava serpeggiando tra i pascoli. Quei pochi appezzamenti adibiti a coltivazione erano sul lato sud del villaggio.
James, finita colazione, uscì per sgranchirsi un po’ le gambe e darsi un’ occhiata attorno. La routine quotidiana intorno a sé, si svolgeva con il consueto ritmo di tutti i giorni. Qualcuno che gli passò vicino, accennò un saluto schivo. I polmoni gli si riempirono di aria frizzante, rivitalizzando le sue membra.
« Signor James», si sentì chiamare alle spalle, « eccoli, i miei disegni, o almeno qualcuno». L’ uomo si sorprese a trovare Gillian dietro di lui con i disegni stretti in grembo, quasi fossero un tesoro, e quegli occhi azzurro cielo che lo fissavano con riverenza.
« Ah, bravo ragazzo, fammi dare un’ occhiata.»
L’ uomo non era molto più alto del ragazzo, ma era sicuramente più possente fisicamente. Anche se le vesti non erano attillate, si intravedeva un fisico ben proporzionato.
« Gillian, da quanto disegni?»
« Non saprei, da sempre forse.»
« Ribadisco che hai un talento innato. I particolari sono eccezionali e sembra di vivere quello che è raffigurato.»
« Grazie Signor James.»
« Chiamami James, lascia che il Signore sia in cielo e che si occupi dei suoi affari, e ti assicuro che ne ha già molti a cui dedicarsi», e sorrise mostrando denti curatissimi per essere alla fine del XVIII secolo. Gillian contraccambiò il sorriso e si sentì un po’ più rilassato.
« Sai scrivere ragazzo?»
« Purtroppo, no, mi piacerebbe, ma non ho né temo né possibilità. Poi il lavoro è tanto e i miei hanno bisogno di me qui alla taverna.»
« Ti piacerebbe quindi imparare… Senti, io credo che mi fermerò qui per qualche tempo, troverò una sistemazione per riordinare un po’ le idee. Se ti andasse potrei insegnarti io.»
« Mi piacerebbe moltissimo, ma non saprei come pagarla.»
« Per quello non ti devi preoccupare, al massimo potrei chiedere a tuo padre, se fosse d’ accordo con questa idea, di darmi un piatto di cibo ogni tanto, che ne pensi?»
Gli occhi di Gilliam si illuminarono e le pupille si dilatarono oltre modo.
« Grazie James, sarebbe fantastico.» I due si strinsero la mano.
Non gli sembrava vero: avrebbe avuto l’ opportunità di imparare a leggere e a scrivere. L’ uomo però scorse nel suo sguardo un velo di preoccupazione.
« Cosa succede? Che hai? Perché quegli occhi preoccupati? »
« In verità non ho il materiale. Ho solo una matita e qualche foglio di recupero, non è sufficiente e, ripeto, non ho disponibilità di denaro.»
L’ uomo sorrise nuovamente. Si accucciò, aprì la sua borsa senza mostrarne il contenuto ed estrasse un diario e una penna d’ oca e un piccolo contenitore di inchiostro e glielo porse.
« Per te.»
Gilliam rimase sbigottito a quell’ offerta e fece un passo indietro, impacciato, quasi pronto a rifiutare, non ritenendosi meritevole di quel dono, ma l’ uomo allungò ulteriormente il braccio in segno di offerta. Cedette e prese in mano quegli oggetti come fossero una sacra reliquia.
« Ma dobbiamo ancora chiedere a mio padre se è d’ accordo», esclamò in tono quasi impaurito.
« Lascia che pensi io a questo, non preoccuparti, vedrai, accetterà senza indugio.»
Il ragazzo era al settimo cielo e salutando l’ uomo corse in camera a posare con estrema delicatezza il suo nuovo tesoro. James si rigirò in direzione del mare e sorridendo felice, inspirò nuovamente a pieni polmoni, grato all’ universo di quello spettacolo meraviglioso.
CAPITOLO 2: Qui, ora.
La mattina seguente, il sole fece capolino con un arancione acquerello che man mano trasformò il cielo in un arancione acceso che sfumava in un azzurro tenue, per poi diventare di un blu terso. James attendeva Gillian. Avrebbe seguito la sua prima lezione.
Il ragazzo arrivò puntuale all’ appuntamento nella stanza che l’ uomo aveva affittato.
« Buongiorno Gillian!»
« Buongiorno James, riposato bene?»
« Sì, un sonno pesante e profondo. Sei pronto? Hai portato il materiale?» Il ragazzo aveva già tirato fuori tutto e lo guardava quasi divertito.
« Bene. La prima cosa, caro ragazzo sono le lettere dell’ alfabeto. Ogni parola è composta da tante di queste e devono seguire un ordine preciso e determinate regole. Ogni lettera ha un suono, l’ unione di questi suoni e lettere, compongono la parola. Mi segui? »
Il ragazzo annuì, capendo il perché ma non il come. D’altronde è inutile avere i mattoni, se non si sa come costruire un edificio. La lezione continuò scorrevolmente e il ragazzo sembrava una spugna che si impregnava di nozioni. James si stupì di questo. Gillian era veloce di apprendimento e le sue pupille erano dilatate al massimo. Dopo circa tre ore, la lezione fu interrotta da James.
Qualcosa all’ interno della sua borsa si mise a suonare, come un carillon. Estrasse dalla stessa un orologio da taschino, adornato con una catenella dorata. L’ uomo aprì il coperchio di protezione e scrutò per più di qualche secondo il quadrante, inclinando la testa da un lato. Il suo sguardo si fece cupo. Richiuse il coperchio e ritornato sorridente disse a Gillian che era il momento di terminare la lezione.
Il ragazzo non discusse, aveva già abbastanza cose da studiare e ricordare per la prossima volta. Si stava dirigendo verso l’ uscita, dopo aver salutato il suo maestro, quando questi lo chiamò.
« Gillian, cosa pensi di questa prima lezione?»
Il ragazzo con un sorriso sincero rispose che era felicissimo e grato per il tempo che gli dedicava.
« Il tempo che ti ho dedicato… Sai cos’è il tempo?»
Gillian rispose: « Beh, lo scorrere delle ore, delle giornate, il ritmo delle stagioni», rispose quasi sorpreso da quella domanda.
« Se ti dicessi che il tempo non esiste? Che in realtà l’ unico momento che vivi è quello che stai vivendo ora? »
Gillian corrugò la fronte e cercò di capire dove volesse arrivare James.
« Se ti dicessi, caro ragazzo mio, che tutto dipende dal tuo cervello? Che in realtà, il tempo non è uno scandire di rintocchi di campana o l’ alternarsi di giorno e notte? Che è solo un’ illusione? O addirittura solo un mezzo necessario all’ esistenza ma non al vivere?»
Il ragazzo sembrava inebetito.
« Vieni», disse l’ uomo, « ti mostro una cosa», ed estrasse nuovamente l’ orologio da tasca e lo porse al ragazzo, il quale lo prese e cominciò ad osservarlo.
« Appoggialo all’ orecchio, senti forse qualche ticchettio?» in effetti non ne emetteva.
« Apri il coperchio e dimmi che ore segna…» lo fece, e con suo enorme stupore il quadrante era completamente privo di segni, era intonso, non aveva stampato nessun orario e le lancette erano della stessa lunghezza, non distinguendo quella delle ore da quelle dei minuti. Ne fu sbigottito.
« Ma… qui non c’è segnato nulla. Cosa serve un orologio che non serva da… orologio?»
James sorrie e disse: « Il tempo, caro ragazzo, non ha senso se non lo sai interpretare. Lo scorrere delle ore o dei giorni è inutile se non li vivi con il “tuo” tempo. Ogni cosa che fai, ogni desiderio che hai, ogni azione che compi, fa cambiare la durata dei momenti a seconda di come li vivi. Hai mai fatto caso a questa cosa? Se ti diverti, il tempo passa più in fretta, se ti annoi o fai fatica, sembra non passare più, dico male?»
« Avete ragione, il tempo è sempre lo stesso, scandito nello stesso modo, ma si dilata o si comprime a seconda delle situazioni», convenne Gillian.
« E allora cosa ce ne facciamo di un orologio, se fosse vero quello che abbiamo appena detto?» chiese James.
« A niente, al massimo per qualche faccenda di lavoro, per qualche appuntamento, per avere…» e si interruppe, per poi proseguire, « solo un punto di riferimento.»
« Infatti,» disse James, « un punto che dia l’ inizio o la fine di una situazione. Ma se la situazione stessa non la vivi intensamente, il tempo che hai impiegato per vivere quella situazione, a cosa è servito?»
« A niente», convenne il ragazzo.
« Esatto, non servirebbe a nulla, come questo orologio rotto e senza ore. Ci sono state persone nel passato che hanno discusso ampliamente e approfonditamente sulla concezione del tempo. Filosofo greci, quali Zenone, Parmenide, Platone, lo stesso Aristotele. Pensa che addirittura la chiesa ha cercato di capire e di carpirne il significato. Per molti, “ Solo Dio è motore immobile, eterno e immateriale”. Quando chiesero a Sant’ Agostino cosa fosse per lui il tempo, egli rispose: “ Se non mi chiedono cosa sia il tempo lo so, ma se me lo chiedono non lo so". Ci sono decine di libri a riguardo, mille modi di interpretarlo, di studiarlo, ma alla fine il tempo di ognuno è semplicemente il proprio tempo.
Io non ho una risposta a cosa sia, ma ho un’ utopistica idea di come spenderlo, e cioè nel miglior modo possibile, cercando di vivere al massimo ogni istante questo dono, questo presente. Ma non è sempre facile attuarlo. E ho paura di invecchiare, sì lo ammetto, e ne ho paura non perché vado incontro alla morte. La morte può sopraggiungere da un momento all’ altro, ma proprio per questo motivo, ho il timore di non riuscire a fare le cose che vorrei e che sono in grado di fare ora. Il tempo è un alleato in gioventù. Alla tua età Gillian, sembra non passare mai, e che la fine di una giornata ne riserbi comunque una scorta nascosta da qualche parte. Ogni cosa che fai, che pensi, i progetti che hai, si palesano comunque sempre immortali, fattibili, perché ti senti forte, ti senti giovane, hai la vita davanti, ti senti… eterno, quasi Dio.» concluse James.
Gillian rimase muto.
« In realtà,» continuò, « in tutti questi giusti e sacrosanti pensieri di giovane uomo, il tempo rimane un mezzo; ma le fondamenta su cui basi i tuoi pensieri sono altri: la consapevolezza e la sfrontatezza della gioventù, le energie fisiche e mentali, la voglia di conoscere persone, luoghi, nozioni, ragazze», e fece un sorrisetto notando il rossore in volto del ragazzo.
Proseguì: « E queste basi te le insegnano, o dovrebbero farlo, i tuoi genitori, le persone a cui vuoi bene, dalle quali prendi esempio e cerchi di usufruirne a tuo modo per creare il tuo carattere, per costruire il tuo pensiero, per lasciare il nido delle certezze e affrontare il volo della vita. Dalla tua hai la caparbietà di un alchimista nel voler trovare la pietra filosofale, la spensieratezza dell’ osservare il sole senza paura di scottarti, e tutto questo è fantastico, meraviglioso e spero tu non lo perda mai.»
Dopo un momento di riflessione, come se rivivesse esperienze passate, James continuò.
« Ci saranno cose che ti accadranno nella vita, cose piacevoli si spera, ma sicuramente anche spiacevoli, che dovrai affrontare e ti ruberanno tempo, ti faranno percorrere sentieri imprevisti, che devieranno il tuo cammino e quelle alle quali, volente o nolente dovrai dedicare le tue attenzioni, il tuo tempo. E man mano che crescerai, di questi bivi, ne incontrerai sempre più e quelle riserve che credevi avere a fine giornata, svaniranno, perché il tempo non regala nulla e ti chiederà di restituirgli quello che da giovane ti ha donato. E tu non avrai scelta, dovrai ridargliele.»
Prese fiato e cominciò a camminare avanti e indietro, assorto quasi nei suoi pensieri, e proseguì: « Ma è proprio quando questo accadrà che dovrai allearti con lui, dovrai scendere a patti, cercare di ingannarlo benevolmente, perché il tempo è un banchiere spietato e non gli interessano i tuoi problemi anzi, più ne hai, più vuole essere risarcito. Sembra un paradosso, non è vero?» chiese con tono calmo al ragazzo.
« A quel punto allora, il volo diventerà più insidioso ma grazie a quello che avrai imparato nel frattempo, avrai ali più forti, vista più acuta e quel briciolo di saggezza, di istinto, di cuore che ti guideranno, e il tempo avrà poco a cui appigliarsi se non al fato o alle tue insicurezze o timori.
Timori che dovrai capire, accettare, e affrontare senza remora, o ti si avvinghieranno come un’ edera attorno al tronco di un albero e ti spegneranno lentamente. Non permettere a niente e a nessuno che questo accada.»
Gillian osservava l’ uomo con stupore e pensava tra sé e sé alle parole dette dallo sconosciuto con la barba rossiccia, poi intervenne: « Sì, però ha suonato! Ho sentito il carillon, servirà a qualcosa! O è solo un malfunzionamento, un’ illusione?» disse Gillian.
James sorrise, quasi soddisfatto.
« Quello che hai sentito, non proveniva dall’ orologio. Ma ne parleremo un’ altra volta.»
E con una pacca vigorosa sulla spalla, congedò il ragazzo.
Gillian uscì e continuò a pensare alle parole del suo maestro. Aveva ragione: la vita va vissuta in ogni suo attimo, altrimenti ogni attimo di vita non ha senso di essere. Sarebbe solo una perdita di tempo, un orologio funzionante senza alcun valore. Si diresse verso le sue amate scogliere e scrutò l’ orizzonte. Le nubi si erano avvicinate da nord, una brezza fresca pettinava l’ erba dei campi quasi a voler simulare le creste delle onde sul mare. In effetti sembrava proprio l’ oceano, e si mise a disegnare, di getto, senza pensare e senza accorgersi che il sole stava tramontando e che il tempo, era passato veloce. Doveva tornare in taverna, i suoi saranno stati in pensiero e si mise a correre a perdifiato.
Solo allora si accorse di avere ancora l’ orologio tra le mani e gli sembrò sentirlo ticchettare.
CAPITOLO TRE: La bussola.
Quando arrivò in taverna, i suoi avevano uno sguardo severo stampato in volto. Gli chiesero dove fosse stato e lui rispose a lezione, come da accordi
« Gli accordi erano che avresti dovuto essere qui prima di pranzo per aiutarci! Lo sai che il tuo dovere è anche questo. Il signor James è molto gentile nel fare questo ma tu hai da fare qui. Sono quasi le 5 di sera, hai perso e fatto perdere a noi un mucchio di tempo!» sbottò il padre.
“ Un mucchio di tempo” rifletté Gillian.
Ma allora era vero. Per i suoi era stata una perdita di tempo mentre invece per lui era stato un piacevole e veloce passatempo. I conti tornavano, i fatti avevano riscontro nella teoria. Chiese scusa e corse in camera a posare i suoi preziosi strumenti di apprendimento, e con loro l’ orologio di James che gli avrebbe restituito il giorno seguente.
James si fece vivo inaspettatamente in taverna con la sua inseparabile borsa, qualche momento prima dell’ ora di cena.
Il padre di Gillian lo accolse e lo fece accomodare.
« Sentite signor James, io vi ringrazio vivamente per l’ opportunità che sta dando a nostro figlio, però vorrei che, se possibile, le lezioni terminassero un po’ prima. Qui c’è bisogno di lui. Noi cominciamo ad essere piuttosto anziani e il suo aiuto è indispensabile.»
L’ uomo lo ascoltava con fare calmo.
« Avete ragione, mi scuso di questo inconveniente, ma non biasimi suo figlio, per lui è un mondo nuovo e affascinante e il tempo…è volato.»
Qualche persona cominciò ad occupare i pochi tavoli. Un sommesso parlottio si impadronì della stanza. Un buon odore di porridge pervase le narici e qualche bicchiere di troppo cominciò a inebriare le menti dei commensali. Gillian si accorse di James quasi per caso, servendo velocemente i piatti. Lo salutò con un cenno del capo, e un sorriso smagliante sul viso.
« James, vi chiedo scusa ma involontariamente ho tenuto il vostro orologio. Vado a prenderlo e ve lo porto appena finito di servire.»
« Non ce n’è bisogno», rispose l’ uomo, «è un regalo per te. Io non ne faccio più nulla. Mi è servito in passato ma ora non ne necessito più. Ascolta, anche se non è funzionante, non gettarlo via. Vedrai che in qualche modo ti servirà in futuro.» e sorrise guardando con occhi calmi il ragazzo.
« Gettarlo? Per nulla la mondo. Quando riuscirò, lo farò aggiustare a meno che…» si interruppe.
« A meno che?» chiese incuriosito James.
« A meno che, non lo tenga in questo stato. Anche se non segna nulla. Mi ricorderà il tempo piacevole trascorso con voi.»
Così dicendo si allontanò per continuare il suo lavoro.
La campana suonò all’ interno del locale, segno che quindici minuti dopo si sarebbero chiusi i battenti. Lentamente la taverna si svuotò e rimasero solo James e la famiglia di Gillian.
« Va bene, è ora che tolga il disturbo. Se a voi sta bene, domani aspetterò il ragazzo e cercherò di non farlo tardare.»
« Scusatemi ancora se vi ho rimarcato l’ importanza della presenza di Gillian qui.» disse quasi sommessamente l’ uomo.
« Non c’è nessuna scusa da fare. E’ stata colpa mia e sono io a scusarmi con voi.» e finendo la frase, mentre si dirigeva all’ uscita, ci fu uno sguardo d’ intesa col ragazzo.
I giorni passavano, le lezioni anche se saltuariamente, continuavano toste e impegnative. Gillian prese padronanza con lettura e scrittura.
Gillian era uno ottimo studente, ma questo non stupiva James. Ormai leggeva e scriveva in maniera sufficiente.
« Oggi la nostra lezione si svolgerà all’ aperto.» esordì una mattina James.
Il ragazzo non obbiettò e seguì il suo maestro su per la strada dietro il villaggio, fino a raggiungere i campi verdi dei pascoli. Camminarono e raggiunsero le rovine del castello. Gillian non stava nella pelle: finalmente il suo sogno si avverava, poteva ammirare quei ruderi da vicino.
Un fossato ormai asciutto e ricoperto d’ erba, circondava la costruzione. Il ponte levatoio abbassato, portava a quello che era l’ ingresso principale. Alte mura in pietra spesse almeno due metri, crollate qua e là, cingevano il bastione centrale, separato da esso da una corte larga qualche decina di metri. Si intuivano ancora nella parte interna delle mura, le costruzioni adibite a stalle, fucine dei maniscalchi e una costruzione bassa che deve essere stata la dimora dei soldati e, oltre quella, una piccola cappella col tetto crollato. La forma ottagonale delle mura era regolare, anche se diroccata in alcuni punti. Ai vertici degli spigoli dovevano esserci state delle torri di guardia e su otto, solo una era rimasta integra. Il bastione centrale era una piccola roccaforte circolare con una sola entrata, dalla quale si intravedeva un piccolo cortile interno, e a distanza e altezza regolari, si aprivano feritoie di difesa. Solo molto più in alto vi erano alcune piccole finestre, che permettevano di osservare anche al di là delle mura esterne. Una corona di merletti sembrava adornarlo, ed era un punto di osservazione perfetta per ispezionare a lunga distanza praticamente in ogni direzione.
Fu un’ emozione forte oltrepassare il ponte levatoio. A Gillian sembrava quasi di sentire lo scalpitio degli zoccoli, il battere dei martelli sui pezzi di ferro arroventati, gli ordini impartiti dei soldati mentre si addestravano al combattimento. Era meravigliato.
Entrarono e raggiunsero il cuore del bastione.
James, nel frattempo aveva estratto dalla sua borsa una bussola.
« Guarda», disse al ragazzo porgendogliela.
L’ oggetto sembrava in effetti una bussola normale, ma anche in questo caso era diversa dalle solite.
Al posto del nord c’ era una sigla con scritto CU, al posto del sud CE, dell’ est IS, dell’ ovest MO. Gli aghi erano quattro: uno rosso, uno nero, uno verde, uno blu. In mano a Gillian giravano senza sosta e senza metodo in tutte le direzioni. Il quadrante si suddivideva in altre piccole diciture, ma erano semicancellate.
« Cos’è?» chiese il ragazzo.
« Una bussola,» rispose divertito James, «è evidente.»
Gillian lo guardò scettico di sottecchi e con un sopracciglio alzato.
« Sì, forse non una bussola comune, ma pur sempre una bussola. Forse funziona meglio di una normale, se la usi e se, soprattutto, la sai usare.»
« Cosa vogliono dire questi simboli?» chiese al suo maestro.
« CUore, CErvello, IStinto, FOrtuna, nulla più.»
« E cosa me ne faccio di una bussola se non indica il nord?» domandò Gillian quasi svogliatamente.
« Quello che faresti di una bussola che indica i punti cardinali ma non sapresti come e dove andare.» rispose l’ uomo.
« Non capisco, non ha molto senso…» disse il ragazzo. James i sedette di fronte al ragazzo e lo guardo intensamente.
« Immagina di essere in un deserto. Hai una bussola che indica il nord, bene, cosa te ne faresti?»
« Beh… Immagino che mi metterei a seguire un qualsiasi punto cardinale, e lo seguirei senza cambiare direzione. Da qualche parte alla fine troverei qualcosa o qualcuno.»
« E se decidessi, diciamo, di andare a sud e percorressi decina di miglia senza trovare nulla, mentre invece, se ti fossi diretto a nord, dopo solo un giorno di cammino avessi trovato una città?»
« Sarei stato sfortunato. Come potevo sapere che avrei dovuto dirigermi a nord anziché a sud senza punti di riferimento?»
« Ed è qui che questa bussola può aiutarti» disse James pacato.
« Va bene, ricominciamo. Deserto: nessun punto di riferimento, ma questa volte avresti anche questa bussola. Prova,» disse James, « chiudi gli occhi e immagina di essere lì. Cosa vedi? Dimmelo.»
« Dune di sabbia, tutte uguali, fino all’ orizzonte.»
« E cosa faresti? Quale sarebbe la cosa più istintiva che ti verrebbe di fare?» chiese l’ uomo.
Il ragazzo rifletté un attimo, poi disse: « Probabilmente cercherei di trovare il posto più elevato, per avere migliore visuale, per vedere più lontano possibile.»
« Continua; sei in cima alla duna più alta, ti guardi intorno, cosa vedi?»
« Nulla, solo sabbia.» disse quasi sconsolato il ragazzo.
« Osserva meglio! osserva tutto!» insistette l’ uomo.
Il ragazzo si sforzava ma immaginava di vedere solo dune.
« Non vedo altro che dune e sabbia!» disse quasi spazientito Gillian.
« Ragazzo, apri gli occhi e guarda la bussola». Gillian guardò e gli aghi giravano vorticosamente uno in senso opposto all’ altro, senza un apparente coerenza o significato.
« Continua a guardare mentre ti faccio alcune domande. Ti sei chiesto in mezzo al deserto come ci sei arrivato? Quale è stato il cammino che ti ha condotto in quel punto?» Gillian riflesse, e mentre lo faceva l’ ago rosso cominciò a rallentare.
« Ti sei chiesto se oltre alla sabbia, avessi potuto guardare altro? Tipo il cielo, te stesso, il tuo abbigliamento? Se indossassi o avessi qualcosa di utile da poter utilizzare? Se potessi udire rumori, sentire odori, qualcosa insomma oltre alla paura dello smarrimento?»
« No, non l’ ho fatto. Ma non mi avete detto che indossavo qualcosa o che potevo avere queste opzioni!» sbottò il ragazzo.
« Vero, ma non ho detto neanche il contrario, e non ci sarà mai nessuno ad indicarti quali siano le tue forze, le tue capacità effettive, se non sarai in un punto critico della tua vita, dove dovrai affrontare comunque una scelta. Ci sarai tu e il deserto…»
Gli occhi si infilarono nelle pupille del ragazzo, proseguendo con il suo discorso.
«… Se non aprirai la tua mente e prenderai in considerazione ogni opportunità, aiuto interiore o esterno, ogni sensazione che sfrutterai a tuo favore, senza darla in pasto al lupo cattivo della disperazione.» Gillian si accorse che anche l’ ago verde rallentava.
« Ok,» disse il ragazzo, « ho acqua con me, vestiti e una borsa a tracolla con poco cibo, ma in ogni caso dove dovrei andare?»
« Guarda il cielo,» disse James, « non sono forse nubi quelle che vedi all’ orizzonte?»
« Sì, e quindi?» domandò Gillian.
« E’ improbabile che le nuvole si formino in mezzo al deserto, serve umidità, qualche rilievo, magari vegetazione, acqua.»
Il volto di Gillian si illuminò e capì. Doveva dirigersi sicuramente da quella parte, non avrebbe avuto certezza di trovare qualcosa, ma nubi presagiscono acqua, acqua vita e forse, presenza animale e umana, forse la salvezza. Doveva fare una scelta.
« Andrei verso le nubi!» concluse Gillian, con una ritrovata sicurezza.
L’ ago nero rallentò e di conseguenza anche l’ ago blu e anche gli altri due fino a fermarsi, ognuno su un punto cardinale: il nero su CE, il rosso su CU, il blu su IS, il verde su FO.
James riprese il discorso.
« Se in un momento di smarrimento non conosci le tue origini, e quindi da dove arrivi, quali siano i tuoi valori, se non usi la testa per risolvere il problema che ti si pone davanti, e quindi non apri la mente a nuove soluzioni e non lo affronti da diversi punti di vista, non usi tutto il cuore che hai per portare a termine quello che ti sei preposto per raggiungere il tuo obbiettivo, e quindi mettere da parte ogni remora e sfidare e possibilmente superare i tuoi limiti, a volte anche a discapito del dolore interiore, e infine contando anche su un briciolo di fortuna che non fa mai male», e strizzò l’ occhio al ragazzo, « andare a nord o a sud o a ovest o a est, non cambierebbe nulla. Ma una volta trovata la via, qualsiasi direzione essa sia, allora e solo allora devi puntare l’ ago in quella direzione e non lasciare quel cammino per nessun motivo. Potrebbe cambiarti o, addirittura, salvarti la vita.» concluse James.
Gillian rimase immobile. Dentro di lui vi era una nuova consapevolezza che non sapeva quantificare o localizzare esattamente, ma era nato un nuovo germoglio, qualcosa di sconosciuto di cui ignorava l’ esistenza. Era come una ventata di energia, di vigore cerebrale, di voglia di fare, quasi una frenesia benevola.
CAPITOLO 4: Il libro
Venne il giorno in cui James annunciò che sarebbe partito. Ormai erano mesi che era a Hole Bay.
« Gillian, io fra non molto partirò. Non posso restare in eterno qui, devo ricominciare a girovagare con il mio lavoro e guadagnarmi da vivere.»
Il ragazzo si intristì.
« Non devi fare così, ormai il più delle cose le conosci. Non hai imparato solo a leggere e scrivere ma a ragionare con la tua testa. E poi, io non sono un grande maestro. La teoria la so bene, ma sai, mettere in pratica quello che ho detto, è difficile anche per me. Sono anni che ci provo, ma non sempre riesco al meglio nei miei tentativi. Sono un essere umano anch’ io e di sbagli o scelte sbagliate ne ho fatte a centinaia e ne commetterò ancora. Voglio però che tu abbia anche questo.»
Ed estrasse un libro, porgendoglielo.
Gillian lo prese in mano e lo sfoglio: era con le pagine completamente intonse.
« Ma non c’è scritto nulla qui sopra», esclamò il ragazzo.
« Lo so. Questo infatti è un libro speciale, forse il più bello del mondo: quello che scriverai tu.»
Rimase con il libro in mano e guardò con aria interrogativa il suo maestro. Questi proseguì il discorso.
« Ogni giorno, scrivi quello che fai, che pensi, disegna se è il caso, ma fallo. Questo sarà il libro della tua vita è sarà un edizione unica. Non aver paura di scrivere anche le cose più brutte o terribili che ti capiteranno. Sarà sicuramente un capolavoro. La vita di ognuno è tale, è una cosa unica, è una nuvola che può far sognare persone che la guarderanno, che muterà forma col tempo, per poi scomparire per sempre, ma chi l’ avrà guardata, avrà un ricordo di te, di cosa sarai stato, di cosa avrai insegnato, trasmesso. Non ci sarà un’ altra persona che avrà questo privilegio. E ritornando al discorso del tempo, quando ti dedicherai a una persona, anche solo cinque minuti, sarà un dono che nessuno ti restituirà mai più, ma sarà rimpiazzato, mi auguro, dalla soddisfazione di averlo fatto. Cerca di usarlo bene, il tuo tempo, e il cuore ti manderà un segnale. Ti ricordi quando mi hai detto di aver sentito un carillon? Ebbene, era il tuo cuore, che era felice, la tua anima, che era appagata, il tuo cervello che si evolveva. Non permettere a nessuno di rubarti tempo. Perché donare tempo significa anche donare energie e devono essere, si spera, energie positive. Avrai un sacco di momenti negativi, si spera pochi, come di positivi. Ma nei momenti no, quando proprio la giornata sembra storta, scrivi. Usa la bussola, cerca di rilassarti, respirare, accettare gli avvenimenti e imparare da essi. Non lasciarti scoraggiare mai, combatti e vai avanti. Il girone degli abulici e apatici è già colmo fino all’ orlo. Starà a te decidere se un ponte è superabile o no, anche se sembra mezzo diroccato. E poi non ci sono solo i ponti per passare alla riva opposta, ci sono altre strade, ci sono sempre altre vie, basta volerlo. Motivazioni, Gillian, motivazioni, che dovrai sempre trovare per andare avanti. Non smettere di sognare e di cercare. Questo libro lo devi riempire di storie, annotazioni, dettagli, emozioni, amori, esperienze, rimpianti. Più scrivi e più ti verrà voglia di continuare a farlo. Ogni singola pagina è un dono e questi ha diritto di essere vissuto, goduto, sudato, compiaciuto, meritato.»
Gillian ascoltava ogni parola, beveva ogni singolo significato e il suo cervello cresceva.
« Adesso è ora di andare a casa o tuo padre si arrabbierà.» concluse l’ uomo che sembrava stanco, molto stanco.
CAPITOLO 5: L’ addio
L’ indomani si recò nuovamente da James ma vide qualcosa di diverso da ciò che si aspettava. L’ uomo stava parlottando al di fuori della sua dimora con due anziani seduti su un carro trainato da due cavalli, un uomo e una donna. Vide James abbracciare forte la signora e stringere a malapena la mano all’ uomo seduto accanto a lei. Il ragazzo notò la freddezza che esprimeva il volto di James nei confronti dell’ uomo che, ormai anziano, guardava questi con occhi che esprimevano senso di colpa e richiesta di perdono allo stesso tempo. Lo sguardo del vecchio non era quasi mai diretto nei confronti di quello di James che al contrario, non abbassava lo sguardo. Sembrava un’ altra persona rispetto a quello a cui era abituato a vedere il ragazzo. La discussione era pacata, ma decisamente seria. Poi vide riabbracciare la donna e di nuovo stringere la mano al vecchio dopo di che il carro si allontanò mentre la donna piangeva e l’ uomo guardava la strada sterrata, allontanandosi via via sempre più, sotto lo sguardo di James, che li seguì fino a che non scomparvero dietro la collina, alle spalle di Hole Bay. Solo a quel punto l’ uomo si accorse della presenza del ragazzo, e lo invitò ad unirsi a lui.
« Ciao ragazzo!» esordì con un grande sorriso, ma con quella strana ombra negli occhi che Gillian notò in lui il primo giorno.
« Buongiorno James. Spero di no aver disturbato.»
« Niente affatto, anzi! Quei due signori, sono persone a cui voglio bene e che quando ero più piccolo di te, mi hanno regalato questa borsa, però tutto quello che c’è qui dentro, me lo sono costruito o guadagnato io. In situazioni normali, molti di questi oggetti, avrebbero dovuto donarmeli o insegnarmi a costruirli, ma la vita sai, a volte non va come ti aspetti e, purtroppo spesso ti fa vivere situazioni che non conosci, che non sai valutare, che solo col tempo riesci a collocarla nella tua anima e nelle tue esperienze, e questo lavoro fa male… dentro. Fa male perché ti trovi ad andare alla cieca, a cercare di capire cosa sia meglio fare o non fare, dire o tacere, assimilare o ignorare. Ma fa parte del gioco della vita, e se persone come loro, vuoi per ignoranza, vuoi per disturbi mentali, non sono in grado di farlo, ti ritrovi davanti a continui bivi dove devi effettuare una scelta, quella che è più giusta per tutti, ad addossarti responsabilità che in teoria non dovresti avere. La vita però mi ha insegnato che la via più giusta che puoi seguire, è quella che fa star bene te, e non confonderlo per egoismo, per egocentrismo. Determinate scelte fanno la differenza fra il vivere e il sopravvivere, tra lo stare il meglio che si può o lo star male».
Dopo un attimo di pausa, proseguì: « Vedi Gillian, io non sono nessuno per insegnare niente a nessuno, non ho neanche la presunzione di dare consigli alle persone, perché come ti ho già spiegato, ognuno è un libro unico e fantastico. Ci sono cose non scritte in quei libri, o non visibili ai più, che possono davvero fare la differenza, che possono modificare in maniera indelebile il tuo modo di essere. Quello che mi sono permesso di fare con te in questi mesi, non è stato insegnarti a vivere. A quello ci penserai tu. Io ho cercato solamente di dirti un mio umile pensiero, che non è detto che sia quello giusto da seguire, ma lo è stato sicuramente per me. Alcune volte ha portato a risultati, altre no. Adesso ti svelo un segreto: io faccio uso di laudano, e non per piacere o per volare via dai miei pensieri o problemi, ma per calmarmi. A volte bevo qualche goccio di rhum in più del dovuto sempre allo stesso motivo, ma sappi che tutto ciò non risolve i problemi che ho o che ho avuto. Il consiglio, forse l’ unico che posso darti è: sii sempre te stesso. Non esistono panacee miracolose o percorsi facili. Nulla ti aiuterà più di quello che hai di più importante, cioè te stesso.» Gillian era impietrito e non sapeva se piangere o abbracciare James.
« Adesso, come ti avevo preannunciato, dovrò andare via. Sono sicuro che te la caverai e diventerai un uomo grande e sicuro di se stesso e che ti meriterai la tua vita». Quasi commosso strinse la mano al ragazzo e si commiatò da lui incamminandosi.
Dopo qualche passo però si fermò e voltandosi disse al ragazzo: « Quelli erano, sono, i miei genitori» e sorridendo con quell’ aria triste negli occhi si voltò e riprese il cammino.
Gillian lo seguì con lo sguardo e James uscì dalla sua vita misteriosamente come vi era entrato. Sentì un gran vuoto, un senso di solitudine, voglia di piangere.
Arrivato a casa posò tutti i suoi preziosi oggetti sul comodino e scese ad aiutare i suoi. Il cielo minacciava di nuovo pioggia e qualche lampo proveniente da nord, anticipava il rombo dei tuoni lontani. Cominciò a diluviare.
La sera, finito di lavorare in taverna, salì in camera e cominciò a scrivere il suo libro alla luce di una candela, mentre fuori il vento scuoteva il sartiame delle imbarcazioni facendole ululare: « Mi chiamo Gillian, ho forse tredici o quattordici anni, non è importante, nessuno me lo ha mai chiesto e non cambia molto le cose. In questi mesi ho conosciuto un uomo che mi ha insegnato un mucchio di cose, a leggere e scrivere, a usare il mio cuore e il mio cervello, a essere me stesso».
Le parole rimasero impresse sulla carta e lui, felice e orgoglioso di questo semplice prologo, iniziò a scrivere il libro della sua vita. Poi si addormentò, mentre fuori la pioggia cominciò a scendere sempre più insistente, e i lampi illuminavano brevemente la sua stanza.
CAPITOLO 6: Il risveglio
7 agosto 1776
La mattina si presentò sgombra di nubi, Quando Gillian si svegliò, all’ alba come sempre, si stiracchiò la schiena. Posò la matita e il foglio che aveva ancora in mano dalla sera prima sul comodino. Era felice, era pieno di energie e non vedeva l’ ora di iniziare la giornata. Si vestì e corse di sotto dai suoi e fece colazione, poi si ricordò del suo libro, dei suoi oggetti e ritornò in camera.
Si inchiodò atterrito sulla porta: non c’ era niente! Rimase scioccato. Tutto era sparito, c’ era solo il suo foglio con sopra un disegno. Lo prese e lo guardò. C’ era un uomo stilizzato che camminava tra la pioggia lungo il molo, con in mano forse una borsa. Il viso era rivolto verso chi lo guardava e si percepiva uno sguardo fiero ma in qualche modo triste. Cadde seduto sul letto, deluso. Aveva sognato tutto. Tutto era un’ illusione e le lacrime gli cominciarono a solcare il viso. Appoggiò il disegno al petto, all’ altezza del cuore e si ripromise che quel sogno, sarebbe stato l’ inizio di un percorso.
Asciugò le lacrime e deciso a parlare con i suoi riguardo il suo futuro, scese nuovamente in taverna. Il suo passo era deciso, la sua mente sgombra, la sua volontà era limpida e genuina.
Quando chiuse la porta sentì il suono di un carillon. Si fermò di colpo, sorrise, e scese il primo gradino.
Sarebbe stato il primo passo della sua nuova vita.