Sono di una cittadina a quindici chilometri da Napoli, cittadina nella quale ho (quasi) sempre abitato. Dal lato paterno sono un napoletano di provincia (ben diverso da quello di città; un solo esempio: il provinciale è tendenzialmente risparmiatore, il cittadino spendaccione) almeno da, come suol dirsi, sette generazioni, mentre da quello materno sono marchigiano, di Pesaro (anche se non in modo purissimo: mia madre aveva un nonno della Toscana interna, e una nonna di Arsoli, l'ultimo paese della provincia di Roma prima dell'inizio dell'Abruzzo) . Penso che queste mie variegate origini abbiano contribuito a farmi sentire sempre un po' un estraneo nella mia cittadina, ancor più a Napoli, e pure, quando ci sono talvolta andato, nella città di mia madre.
Ho qualche volta allora fantasticato che il mio luogo ideale potrebbe essere quello posto in mezzo ai due centri abitati dai miei progenitori. Da giovane, con l'aiuto di un atlante, scoprii che a metà strada tra il Napoletano e Pesaro c'è il Gran Sasso, in Abruzzo, a cavallo delle province dell'Aquila e di Teramo.
Conosco poco e male quella zona, ma posso dire, ad esempio, che il relatore della mia tesi di laurea (con il quale andavo molto d'accordo) era nato all'Aquila, che c'è un'amica di famiglia più attempata di me, di Giulianova, con la quale ho un'ottima intesa in quelle rare occasioni in cui la vedo, o che da giovane mi invaghii alquanto delle idee politiche del teramano Giacinto Pannella, detto "Marco" (lo votavo volentieri quando proponeva la modernizzazione della società italiana, il divorzio, l'aborto, la legalizzazione delle droghe leggere, salvo poi abbandonarlo quando cominciò a digiunare per questioni di cavilli legislativi che poco potevano interessare il comune cittadino), oppure ancora che una volta, trovandomi a Rieti (città che si vanta, a ragione, di essere l'esatto centro geografico dell'Italia, e che non è molto distante dal Gran Sasso), ebbi la sensazione del dé jà vu, cosa che rarissimamente mi è capitata nella vita: erano gli anni Ottanta, e il veder passeggiare di sera, in una delle vie principali di quella piccola città, intere famigliole, con genitori, nonni e nipotini, in un'atmosfera di (almeno apparente) serenità, mi riportò indietro nel tempo, rendendo forse ancora più belli i ricordi di quando io, da bambino, facevo talvolta passeggiate simili con i miei parenti. (A volte non occorre fare neppure metà strada, ma solo un terzo, per avere l'impressione di trovarsi già, in un certo senso, dall'altra parte. Agnone, ancora in Molise ma confinante con l'Abruzzo, mi fece ricordare la mia nonna pesarese mediante una parola. In un agriturismo il proprietario del locale si rivolse a un avventore che si stava addormentando sul tavolo, e con il quale evidentemente era in confidenza, con la frase: "Ch'è, te shta a pijà 'm bo' de ciafagna? "; mia nonna, in occasioni simili, diceva: "Co' t'a pijè d, la ciafagna? ")
Del resto le città stesse (alle quali siamo portati ad attribuire, di primo acchito, un carattere unico) non sono forse sempre una via di mezzo tra quello che c'è, più o meno simmetricamente, a est e a ovest, o a nord e a sud, di esse? Lo scrittore francese J . N . Schifano, nel suo libro "Sous le soleil de Naples", scorgeva, a ragione, un "visage greco- ibé rique" nella capitale del Mezzogiorno. E Torino, che si trova più o meno a metà strada di una retta di circa mille chilometri che congiunge Roma a Parigi in linea d'aria, non è italo- francese? Trieste, a metà della retta Roma- Vienna di circa ottocento chilometri, non è italo- austriaca? E si potrebbe continuare...
Ritornando alle persone, quelle, come me, che hanno (o avrebbero) bisogno di una via di mezzo si trovano davanti a uno svantaggio e a un vantaggio: lo svantaggio è quello di non potere mai godere pienamente delle tradizioni di un determinato posto, perché c'è una metà di loro che le rifiuta (per fare un esempio banale, io amo molto gli spaghetti, ma sono poco attratto dalla pizza), ed il vantaggio è forse quello di saper recepire con minori difficoltà le ragioni e le idee degli altri, di sapersi mettere, come Montesquieu nel Settecento nelle "Lettres persanes", abbastanza agevolmente nei panni di qualche "moderno persiano" .
Le vie di mezzo non sono facili da trovare e non sono agevoli da percorrere, ma vale la pena cercarle, nella speranza di un miglioramento dei rapporti tra persone diverse.