Cara mamma, che ti avrei scritto ancora l’avresti mai pensato? Sei morta ormai già da oltre un mese, morta per gli altri, e per me molto molto più viva e presente di quando mi chiamavi in continuazione, per confessarmi poi, rammaricata, che avevi dimenticato cosa dirmi. E io, forte della certezza della tua presenza, avrò magari anche protestato dolcemente con te, pregandoti di tenere a mente le cose, prima di interrompere una mia qualche sciocca attività domestica.
E cosa darei ora per essere interrotta! Ma tu non mi chiami più. Mi hai lasciato tutta intera la mia libertà e l’onere di utilizzarla, adesso che ho l’impressione di non sapere cosa farne.
Ti scrivo da quella che, negli ultimi quattro anni, era diventata la tua stanza. Adesso ha riassunto l’aspetto originario, lo studio ricco di libri e di oggetti, collezionati in un’intera vita di lettrice accanita, docente appassionata, sentimentale scrittrice di emozioni.
L’ho ritinteggiata e, dove prima era il tuo letto ortopedico, troneggia uno splendido divano color pietra, sormontato da un altrettanto splendido Chagall (sai? quello del "Volo", che piaceva tanto anche a te).
Mi giro di tanto in tanto, dalla mia postazione web, e guardo, se per caso tu mi stia sorridendo con affettuosa ironia, gelosa come eri persino del computer, che mi distoglieva da te per troppo tempo, quasi fosse "un innamorato". E’ che quando ti metti a scrivere, ti dimentichi di tutto - dicevi - anche di me!
Ma tu non ci sei. Ora c’è il divano e c’è Chagall. Ora posso scrivere, senza rischiare di trascurarti.
Cerco di non immaginarti nella tomba, perdonami. Lo sai cosa penso io del corpo che si corrompe, conosci i miei progetti per me stessa: nulla deve rimanere, se non la cenere che siamo. Ma tu e papà avete voluto diversamente e così sia. Dovremmo essere meno egoisti quando siamo vivi e pensare che, quando non ci saremo più, quelli che restano continueranno a pensare, a immaginare, a vedere con gli occhi della mente, se coloro che sono andati via rimangono nel loro cuore. Ma non voglio che tu pensi ad un rimprovero, anche se in realtà lo è.
La lettera che ti scrisse Gra e che non arrivò in tempo perché tu la leggessi, l’ho fatta mettere tra la bara e la lapide, come lui ha voluto, perché tu potessi tenere, nel tuo ultimo giaciglio, anche un segno tangibile del suo amore, come i bigliettini degli altri nipoti, gli occhiali, il pacchetto di sigarette, i due euro per il viaggio, i tuoi immancabili fazzoletti da naso e la fotografia di papà, che baciavi ogni sera prima di addormentarti, chiedendogli quando volesse venire a riprenderti con sé.
In quella lettera tuo nipote ti confessa il suo timore di non rivederti più, ti dice cose bellissime del presente e del passato, di tutti i giorni di festa trascorsi insieme a te e al nonno, della sua infanzia ricca della vostra amorosa presenza. Ti ricorda le feste natalizie trascorse a casa vostra, quando il nonno saliva in mansarda e batteva i piedi sul pavimento, per convincere lui e gli altri nipotini che Babbo Natale stava arrivando: bisognava allora rimanere tutti chiusi in cucina, per dargli agio (a Babbo Natale!) di sistemare i doni vicino al caminetto, in sala da pranzo, sotto l’albero. E quanto erano ricchi di ansiosa felicità quei momenti di attesa!
Scusami ora. Mi si stanno gonfiando gli occhi di lacrime, devo lasciarti. Continuerò domani.