Poi, successe tutto molto in fretta.
Erano passati due giorni da quell'incontro, due giorni molto spiacevoli per Sergio che, in famiglia, aveva sentito tutto il peso delle accuse di Silvia condensato nel suo silenzio greve, nei suoi gesti quasi violenti nel compimento delle attività quotidiane, in casa. I figli si dileguavano in ogni direzione, quasi fiutassero pericolo per la loro tranquillità: erano diventati maestri nello scantonare dalle pesanti atmosfere di casa, anche quando c'erano, era come se fossero trasparenti, sembravano non vedere e non sentire. Non che a Sergio questo dispiacesse: percepiva la ferrea volontà di Silvia di tenerli dalla sua parte, che era, fuori di ogni discussione, "la parte della ragione", e comprendeva che la loro tecnica di difesa, quella di estraniarsi quanto più potevano, era l'unica possibile. Non si sentivano né volevano dispensare torti e ragioni: lui si riconosceva in questo modo di essere dei ragazzi, perciò cercava di proteggere le loro fughe, fisiche o mentali che fossero, dal veleno di casa.
Quel pomeriggio Sergio avvertiva una specie di ansia, col senno di poi avrebbe potuto definirlo forse un presentimento. Arrivato a casa di Giovanni vide, con crescente apprensione, un'auto posteggiata, una piccola auto scura con targa straniera. Suonò il campanello, si sentiva teso. Gli aprì sua sorella, sul viso aveva stampata un'aria di trionfo appena trattenuta, e con tono solo apparentemente neutro gli disse:
- C'è qui il marito di Irene. Pover'uomo, ha viaggiato tutta la notte; ma dice di voler ripartire subito. E' venuto a prenderla, se la porta via... problemi familiari, dice.
L'istinto di Sergio sarebbe stato quello di ritrarsi, solo con enorme fatica invece entrò in casa, pronunciando poche parole a bassa voce, che gli sembrarono tutto cosa poteva dire, a sua sorella: - Alla fine ce l'hai fatta, a farla andare via
Era sicuro che Augusta avesse tramato per arrivare a questo risultato, lei aveva i contatti con le persone che avevano potuto avvisare quell'uomo, suscitarne la reazione: evidentemente in qualche modo ci teneva, ad Irene, ed era venuto a riprenderla.
Irene, come lui, non aveva le risorse per opporre scelte radicali a questa specie di rappresaglia, Sergio lo intuiva chiaramente. Erano entrambi impotenti a modificare la forma della loro vita, e non potevano rimproverarselo, né recriminare ciascuno sulla propria incapacità di azioni reali, perché era quella anche la natura forte dell'attrazione che li aveva legati, che li legava. Il loro vivere più nella mente delle cose che nelle cose stesse.
Sergio era appena entrato in casa che subito lo aveva sentito un gesto incauto; in un attimo aveva compreso la situazione e si chiedeva cosa avrebbe potuto fare là e non aveva neppure idea di che direzione prendere; Augusta sembrava quasi euforica, e questo traspariva forte. Era una cosa così rara in lei, che gli era impossibile non notarlo; di certo capiva il suo imbarazzo e questo la faceva sentire vincente. Lo guardava con una serietà forzata, mentre si fingeva impegnata nelle sue solite compulsive frenetiche operazioni d'ordine. In realtà stava solo godendo del suo imbarazzo.
Sergio, se avesse potuto ritornare sui suoi passi, non avrebbe certo esitato un attimo a farlo: era sempre così, caratterialmente incapace di convivere con le situazioni ambigue ed aggressive. Era facile pensare di lui che sfuggisse sempre e comunque le sue responsabilità. La verità era che non gli riusciva mai di comprendere con chiarezza quali queste fossero, si sentiva invischiato in una tale ragnatela di
responsabilità che, in qualsiasi direzione andasse, avrebbe fatto torto
a qualche altra.
Si trovava davanti alla porta della cucina, da dove sentiva provenire l'eco di un dialogo concitato. Le voci erano stanche, probabilmente la discussione durava da un po': la voce maschile era forte e autoritaria, e sembrava assediare quella di Irene, pacata, come intrisa di fatalista rassegnazione. Non capiva cosa dicevano, neppure voleva fermarsi ad ascoltare. Certo Irene si stava confrontando col marito che, avvertito per chissà quali vie traverse di quella che a tutti gli effetti poteva considerare una tresca amorosa della moglie, era arrivato impetuosamente con l'intenzione di riportarla a casa.
Sergio si sentiva esitante, una parte di lui avrebbe voluto entrare, presentarsi, magari interporsi nel loro dialogo. Ma per dire cosa? Per prendersi quali responsabilità? Sentiva come se in queste cose non ci fosse spazio che per posizioni definitive, quelle che sono chiamate "scelte". Per lui risultava chiaro come, nella vita per come è organizzata, tutte le persone avessero il loro spazio circoscritto, da cui era vietato uscire. Uno spazio che includeva il possesso, e che non poteva essere diluito, non prevedeva espansioni o varchi; e sentiva che era tutto così, uomini e cose, tutti ben infissi nella loro casella. Non accettare questo dato di fatto, corrispondeva a vagare in uno spazio alieno, inibito ad interagire con qualsiasi altro.
Seppure si considerava senza pregiudizi, per un attimo non era riuscito a non pensare, percependo in sé l'eco di tante dicerie che raccontavano come gli uomini dell'est potessero essere violenti e pericolosi, per un momento temette per la vita di lei e per la propria. Poi, proprio mentre sentiva quietarsi i toni della discussione e si chiedeva come potesse districarsi da quella situazione e salvare in qualche modo le apparenze, senza che la sua si manifestasse come una vera e propria fuga, la porta della cucina di aprì, e ne uscì Irene.
Lo guardò sorpresa, non aveva sentito il campanello, né avvertito il suo ingresso nella casa. Augusta era salita nelle camere, probabilmente da Giovanni. L'uomo, fermo in cucina, seduto al tavolo dove tante volte Sergio si era fermato con Irene a cenare, a parlare, gli dava le spalle, non lo aveva visto.
Con calma Irene accostò la porta della cucina, aggiungendo solo, nuovamente rivolta verso il marito, alcune parole nella loro lingua, che a Sergio suonarono come un "torno subito".
Gli sfiorò un braccio; era molto pallida, nel suo sguardo scuro e in quel momento chiuso, privo del consueto aperto calore, a Sergio sembrò di leggere come l'ombra di una domanda muta. Fu solo un attimo, la domanda rimase tra loro sospesa e inespressa, poi si dileguò. Allora Irene gli sorrise con tristezza, gli sussurrò "vieni", e insieme andarono verso l'ingresso dell'abitazione.
"Vado via, torno a casa", furono le parole di lei, e non vi era più cenno, nella sua voce, ed era scomparso anche dai suoi occhi, di alcuna domanda.
Nell'ingresso buio fu più forte di loro, per un attimo, stringersi, con la consapevolezza dell'avversità del momento e la tenerezza del ricordo dell'incontro che era stato, il loro. Fu un momento lunghissimo, conteneva il calore e l'assenza di recriminazioni, una quiete che, forse, sarebbe stata il ricordo più intenso del loro rapporto. Silenziosamente, poi, Irene aprì la porta d'ingresso, dolcemente lo accompagnò fuori; le loro mani si stringevano ancora, mentre già l'uscio si richiudeva, infine era chiuso davanti a lui, e lei scomparsa.
Era scesa la sera, aleggiava una foschia lieve, che saliva dalla campagna non lontana.
Sergio si sentiva vuoto di pensieri e di forze, a passi incerti si avviò verso casa, desiderando che quella nebbia non finisse mai.