Ho un quadro di te alla parete, in bianco e nero, con la cornice dorata. Ti guardo e mi chiedo se ti assomiglio o chi dei miei fratelli di più ti assomigli.
Mia sorella puliva la tua fotografia sulla lapide al cimitero e disponeva i fiori qua e là, mischiandone i colori. Ma io sono venuta a malincuore a vederti lì. Lì tu sei morto e invece io ti penso solo assente, guardo quel quadro alla parete e m’ aspetto di vederti ritornare.
Sentire i tuoi passi fuori della porta prima di vederti entrare.
Sono trentadue anni che tu manchi. Sei andato via di venerdì, la notte, un venerdì di maggio, freddo e piovoso.
Quella pioggia insistente che durò tre giorni.
Ma non sentivo freddo, nel mio dolore e il pianto dentro agli occhi, gelato, che offuscava ogni cosa a me di fronte.
Quel venerdì che ti mancò il respiro e non ti bastava tutta l’ aria davanti alla finestra spalancata.
Mi lasciasti in eredità il peso di tutta la famiglia. Divenni padre senza mai essere madre.
Il punto di riferimento, la forza, la guida, la speranza.
La mia vita fu un caos, ma non importa, i miei fratelli sono laureati e mia sorella ha un lavoro ed ha famiglia.
Mi dissero che quando sono nata, io, la prima figlia, ero la tua principessa. Fu festa grande al mio battesimo ed ogni giorno era festa per me quando la sera tornavi a casa dopo una giornata di lavoro.
Quante volte sono rimasta a casa con te papà, troppo piccola per qualsiasi cosa, per cucinare o per lavare i piatti, la mamma che correva per ospedali e visite.
Ricordo quando ti ho cucinato gli spaghettini. Non avevo la salsa, e allora li feci solo col pomodoro a pezzetti. Ti erano piaciuti e tanto!
E cosa dire di quando insieme avemmo la brillante idea di cucinare i fagioli. Sembravano pochi ed erano troppi. Li misi in una pentola ma con l’ acqua che bolliva, salivano su, crescevano sempre più, così con un mestolo ne prendevo un po’ mettendoli in un tegame a parte.
Ho vissuto sempre con la paura di deluderti. Non l’ avrei sopportato!
Una volta, eravamo tornate dalla scuola, io e mia sorella. Tu hai detto, forza su, fate in fretta, mangiate che poi vi mostro una bella cosa.
Ero così felice e così ansiosa. C’ era pasta e piselli per pranzo e a me piacevano. Ma per la gioia mi passò la fame, mangiai a malapena. Dopo tu hai preso la stoffa nell’ armadio, mostrandola, e dicendo: chi ha tagliato la stoffa in malo modo? Ma io non ne sapevo niente e mia sorella taceva. Ma tu papà dovevi sapere chi era stato a fare quel capolavoro. E te la prendesti con me che ero più grande, prima di scoprire che era stata mia sorella a tagliare e cucire la stoffa per fare il vestito alla bambola.
Tante cose sono accadute nella mia infanzia, ma questo ricordo è rimasto tale e quale.
Ho sempre protetto la famiglia, è stato sempre importante per me.
Ricordo quella volta della gita scolastica. Io sapevo che non avevamo soldi. E scartai sin dall’ inizio l’ ipotesi di andare in gita. Così neppure te lo chiesi. Mia sorella però voleva andarci e probabilmente a scuola aveva fatto capire che non sarebbe andata perché i genitori non potevano permetterselo. Così la fecero andare senza pagare. Io invece alla domanda: perché non vieni? Risposi: non posso, soffro il mal d’ auto e proprio non posso viaggiare. Non volevo ti sentissi umiliato, papà. Non volevo che tu soffrissi.
Eri contento, l’ unico della famiglia a esserlo, quando scrivevo poesie e partecipavo ai concorsi e conseguivo i premi. Eppure le mie poesie non le hai mai lette!
Quante cose vorrei ricordare e raccontarti, ma piango sempre troppo ogni volta che mi chiudo nella mia stanza, a pensarti.
Però una cosa te la voglio dire. Oggi c’è qualcuno che mi ama, di un amore vero, di un amore che solo tu, stando in Cielo, puoi capire. Un amore che si fa pensiero e non ti lascia mai. Ma, nonostante gli anni siano passati, io ho paura di vivere e non so gioire. Faccio ancora tanti errori ed ad ogni istante, mentre lo abbraccio, rischio di perderlo, il mio amore.
Dammi tu una mano, papà, so che lui ti piace e tu sai che lui mi fa felice!