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Vestiva di nero e stava bene un bel contrasto che si addiceva ai suoi capelli biondi e ricci. La stranezza era che camminava con gli occhi chini, un vero peccato. Sempre vestita di scuro e raramente era in compagnia mentre passeggiava per le vie della cittadina. La incontravo a Chiavari nei pressi della Piazza N. S. dell’ Orto, dove ha sede la curia vescovile, dove il movimento di comunione e liberazione aveva la sede organizzativa. Le linguacce che stavano sedute all’ interno dei bar dalla vetrata osservavano e commentavano, non erano in grado di intaccarne il credito che riusciva ad avere negli ambienti della curia vescovile. Del resto per quello che si osservava, la bella signora non frequentava la notte, sembrava che non coltivasse amicizie intime e frequentava la diocesi con quotidianità. Erano passati due anni e avevo dimenticato quella bella donna vestita di nero, ero delegato al congresso nazionale della Federazione Giovanile Socialista a Venezia nelle giornate del 26, 27, 28, 29 aprile. La mattina del 25 Aprile raggiungo la stazione ferroviaria di Chiavari da dove il treno partiva, una vera odissea, non esistevano ancora le tratte direttissime e il viaggio si svolgeva con numerose coincidenze. Era una mattinata calda, la stazione era quasi vuota; salito nel vagone e preso posto vicino alla porticina opposta a quella da cui ero salito. Non volevo trovarmi con il battito del sole in volto. Un mio coetaneo mi chiamò domandandomi dove ero diretto. Affacciato al finestrino, parlavo con l’ amico che restava comunque a distanza di sicurezza dal padre che lo accompagnava a Genova. Nel vano della porta rimasta aperta vidi entrare un braccio maschile, era quello di un facchino che caricava i bagagli sotto la ricompensa di una lauta mancia, al contrario il suo compito sarebbe terminato nel posare le valigie sul marciapiede che dava accesso al treno. In cuor mio ringraziai l’ amico che mi aveva evitato la sorpresa, perché conversando, fui in grado di osservare chi saliva nel vagone subito dopo il facchino. Era Lei. Vestita di scuro. Lasciavo che il mio amico parlasse a ruota libera, non lo ascoltavo, mi domandavo, dove fosse diretta. Il locomotore fischiò, i bigliettai chiusero le porte e l’ amico mi salutò strillando il mio nome. Notai che la bella signora, drizzò la testa con una certa curiosità. Preso posto e timidamente salutai, la signora contraccambiò accennando a malapena a guardarmi negli occhi. Fuori dalla galleria, il sole si faceva sentire e disegnava con i suoi raggi forme oblique all’ interno della carrozza, seguivo quelle forme, ma ancor più le fattezze della signora. Non mi degnava di uno sguardo, ma notai un movimento di ritirata nelle sue gambe; con la mia sfrontatezza la fissai più intensamente, colsi solo un impercettibile movimento dei suoi occhi che si riabassarono all’ istante. Sicuramente aveva colto dalla mia espressione l’ ammirazione della sua bellezza che certamente sapeva di avere. Non sembrava imbarazzata, d’ altronde nessuna donna intelligente si offende, se la osservano. Non sapevo come prendere l’ iniziativa per imbastire una conversazione, osservavo, poi come d’ incanto ecco l’ idea, a ispirarmi fu il sole che stava sorgendo, mi alzai e abbassai la tenda parasole rivolgendomi alla signora: da fastidio avere la visuale coperta? Ero certo di rimanere a lungo in attesa di una risposta, al contrario di quanto pensassi sentii le sue parole: il sole mi abbaglia. Rimasi sorpreso, la bella signora aveva pure alzato lo sguardo, il gioco era fatto, si poteva conversare.
Le parole fluivano fluide, non ebbi nessuna remora a dirgli che l’ avevo vista spesso nei pressi della cattedrale a Chiavari, e la mia curiosità fu soddisfatta, faceva parte del movimento cattolico di comunione e liberazione, mi rese dotto sul suo ruolo all’ interno del movimento, era una responsabilità amministrativa. La chiacchierata si spostò sulle bellezze della nostra Liguria e poi la conversazione prese i toni accesi della discussione. Tutto era legato a una veduta della società da due estremità che non avevano punto d’ incontro. Almeno questa era la prima impressione.
Il viaggio era lungo, e il dialogo aveva delle battute di arresto, ma ogni volta che ci si scambiava la parola e lo sguardo inevitabilmente s’ incrociava sembrava che una certa confidenza prendesse il sopravento. Forse mi sbagliavo. Non ne avevo la certezza. Mi resi conto che un qualcosa era cambiato quando la signora mi punzecchiava con insinuazioni ironiche e le mie risposte o argomentazioni diventavano piccanti al punto di urtare la suscettibilità della mia compagna di viaggio che con fare garbato m’ invitava a restare nei limiti del lecito e a non usare riferimenti che avessero un doppio senso. Cambia il modo di propormi agli occhi della bella signora, con un linguaggio diverso, facevo leva sugli aspetti tipici della sensibilità a ogni riferimento che si sviluppava nella nostra chiacchierata. E questo cambiamento aveva sortito gli effetti da me desiderati. Mi resi conto che mentre parlavo lo sguardo della signora s’ incontrava per un attimo con il mio per poi sfuggire nuovamente, forse un modo per non darmi il motivo di giungere a conclusioni che non erano nelle desiderate della signora, ma certamente nelle mie. Il viaggio era concluso. Arrivati alla stazione centrale di Venezia in piazza Roma, aiutai la signora nel modo più naturale possibile. Mentre si slanciava per prendere la sua valigia, la anticipai sfiorandole con la mano la spalla; lasci, ci penso io. Una volta scesi dal treno, percorso il sottopasso che portava in piazza, ci fermammo per scambiarci i saluti, le direzioni ora si dividevano. Ero atteso nei locali della federazione provinciale del Partito socialista Italiano per incontrare i delegati veneziani al congresso e dove fosse diretta la signora, non lo sapevo, durante le nostre chiacchierate in carrozza ero stato attento a non essere invadente, non tanto perché non avessi la voglia di soddisfare la mia curiosità ma perché volevo giocare su un terreno basato sulla spontaneità. Questo doveva apparire. In sostanza avevo studiato la tecnica. Nel momento in cui le nostre mani s’ incontravano per uno scambio di saluti, le chiesi, dove era diretta. Non ricevetti una risposta immediata, al contrario il suo sguardo vagava sulla piazza, poi alzando la testa e con un sorriso spontaneo, cosi come lo umettarsi le labbra con la lingua, disse: dove vuoi. Avrebbero dovuto aspettarmi per tutta la giornata nella federazione veneziana, soltanto il giorno successivo raggiunsi l’ albergo, dove si svolgeva il congresso che seguii in modo parziale, del resto la politica ha i suoi tempi, il desiderio ha necessità impellenti che vanno colte al momento. Ho trascorso quei tre giorni a Venezia in modo spensierato, e ogni volta che con la signora si concordava un appuntamento, i momenti scorrevano Terminati i lavori congressuali, dovevo rientrare, mi attendeva il lavoro in fabbrica; incontrai la sera precedente alla partenza la mia occasionale compagna di viaggio e spensieratezza e con grande classe da parte sua, mi ripeté che il nostro incontro non avrebbe avuto nessuna ripercussione nel nostro futuro, mi ripeté che era sposata e non voleva nessun tipo di complicazione nella cittadina di Chiavari, quindi dimostrassi gratitudine per i momenti passati insieme senza spettegolare o vantarmi con gli amici. Da parte mia ci fu silenzio assoluto, non raccontai a nessuno questo spaccato di gioventù se non in questo racconto a distanza di decenni dall’ accaduto e la Signora che è stata una meteora nella mia gioventù riposa in pace nel cimitero di Chiavari. E così sia.
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Un bellissimo ricordo di gioventù, piacevole. (Anna Rossi)
Molto bello il tuo racconto,ciao Francesco. (Anna Rossi)
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