La vita in quella casa era scandita dalla luce del sole, la sera si lavorava fino a che ci fosse chiarore, il cenare insieme e poi a letto presto, anche a Giulia toccò quella sorte, non si poteva consumare molto l’olio che illuminava dentro la lampada, l’illuminazione, situata al centro della cucina e candele nelle camere, tutto era limitato e la notte serviva per dormire, riposarsi dalle fatiche del giorno. Durante la stagione invernale, con la campagna ferma, qualche veglia e intimità in più con la moglie erano concesse.
Giulia si preparò per la notte con la biancheria imprestata, dipendente in tutto per tutto, la sua roba era nell’altra dimensione, chissà forse a portata di mano, ma non riusciva a vederla.
Il fenomeno capitatole era straordinario, emozionante e allo stesso tempo da brivido. Ormai sicura che non era un sogno, viva e sveglia, vedeva e sentiva quello che dicevano, il modo di vivere e l’epoca che avrebbe sicuro scoperto all’indomani.
Le mancava il bagno, nella camera in cui dormivano le bambine, un letto grande e avevano preparato per lei un pagliericcio in terra che la mattina doveva essere rifatto alla meglio con le lenzuola in dotazione.
L’arredo era composto: toletta con una brocca, catinella, asciugamani di un bianco grezzo, sugli orli una trina fatta a uncinetto e delle iniziali al centro. R. D. sicuramente il corredo di Regina.
In un angolo, un secchio bianco dai contorni blu e un coperchio, Il bagno notturno, oltre un vaso da notte, uguale nei colori al secchio grande, corredo indispensabile nell’arredamento della camera.
Giulia aveva problemi, abituata con il bagno, sopportava male quella mancanza, poi le mutande, quelle brache non erano comode, un paio dovevano durare diversi giorni, oppure decidere di non metterle.
Quanto le mancava il suo abbigliamento, comodo sportivo e molto veloce sia nel lavaggio sia, nell’asciugatura, poi si doveva aspettare il giorno addetto per fare il bucato: ed era un giorno il mese.
Vittoria e Isolina, volevano parlare ancora, ma la stanchezza le fece addormentare subito, lei continuava a pensare, voleva dormire ma non ci riusciva, quanti pensieri nella testa, l’indomani mattina doveva alzarsi presto e andare alla casa di Ginco, la puntualità in assoluto, altrimenti sarebbe partito senza di lei.
Alla fine si addormentò, un sonno agitato per la paura di non svegliarsi, mancava la sveglia e non c’erano orologi, non sapeva l'ora, si rammaricava di non avere l'orologio al polso, non lo aveva mai sopportato, chissà se lo avesse avuto, sarebbe venuto anche lui? Forse, però non c’era e poi ovunque andava nel suo tempo l'orario lo trovava.
In quel momento in casa gli orologi e come la clessidra mancavano, di sicuro un dono in tempi più moderni, sfinita si addormentò.
Si sentì toccare una spalla, svegliatasi subito, era Regina che la destava. Alzatasi, in cucina era pronta la colazione. Un caffè d’orzo buonissimo, un pezzetto di dolce, e il pranzo da portare via, un po’ di pane e formaggio, una fiaschetta che avrebbe dovuto riempire con l’acqua della fontana.
< Avrai da mangiare per tutto il giorno>, le rammentò Regina, Giulia non ci aveva pensato, organizzarsi era indispensabile, contenta, sentiva di voler bene a quella donna, la trattava come una figlia. Un’empatia reciproca, il richiamo del sangue si sente sempre.
Si lavò il viso in fretta, si pettinò alla meglio, trovò spazzole sulla toletta, prese il caffè con il dolce, salutò Regina con un bacio e si avviò all’appuntamento.
Ginco era già in attesa, salì sul carro, lo prega di fermarsi alla fontana per riempire la fiaschetta con l’acqua.
Annui.
< Anche lui doveva fermarsi per lo stesso motivo, ma poi l’avrebbe annaffiata con il vino della bettola AhhAhh, una risata di corredo.>
Giulia pensò:
< speriamo che non si ubriachi e che al ritorno non ci siano problemi>.
Come se le avesse letto nel pensiero, disse:
< non ti preoccupare, non mi ubriaco e se poi accade, il cavallo torna da solo, ci riporta a casa anche senza guida.>
Ginco era loquace e voleva sapere chi era, cosa faceva, dove aveva vissuto fino a quel momento.
Giulia, racconta sempre la stessa storia, allora Gingo inizia a parlare d’altro facendosi grande con le sue prodezze, di quando a caccia aveva ucciso molte lepri.
L’argomento a Giulia non interessava, la caccia proprio non la sopportava, anche se in quel periodo serviva più per alimentazione che come sport.
Arrivarono al paese, conosciuto e diverso, le torri, il palazzo comunale erano uguali, i calessi e i mercati ovunque.
Tutti attiravano l’attenzione per vendere, andarono diretti all’emporio Ginco scese e disse: < ora vai, dove devi, io faccio la spesa e mi reco alla bettola, indicandola, mi trovi lì e dopo quando il sole è calato un po’, si ritorna a casa. >
Annui, ora dove andava?
S’incamminò verso il Comune, quello che credeva fosse il Comune.
Entra e due gendarmi, le chiesero, dove volesse andare. Non sapeva rispondere, un momento di disorientamento, all’improvviso apparve un giovane dall’aspetto molto attraente che intervenne subito dicendo alle guardie:
< la signorina è in mia compagnia.>
Sollevata e rincuorata da quelle parole dal tono sicuro, un’attrazione magnetica verso quel giovane, un’ancora indispensabile, vuol dire che aveva compreso il suo disagio, solo persone attente sanno percepire.
Ciao le disse il giovane:
< mi chiamo Roberto e tu? >
Giulia non rispose e il ragazzo continua con le sue domande.
< Ti vedo un po’ spaesata, da dove vieni? >
La ragazza con un filo di voce.
< Sapessi da dove vengo, nemmeno lo immagini>.
< Come mai!
E’ un luogo strano?
Incantato?
Oppure di guerra?
La guerra c’è anche qui, siamo in un momento critico, di grande confusione, le truppe napoleoniche hanno invaso lo Stato, il Papa è scappato, c'è la repubblica romana. Gli insorti rivogliono riportare il pontefice sul suo trono, non so quale sia meglio, certo Napoleone vuole laicizzare tutto, un bel cambiamento e i preti sono sconvolti.
Vieni da tutto questo?
Io sono neutrale e cerco di fare il mio lavoro, sono medico e aiutare e curare fanno parte della mia missione.>
Giulia ascoltava quella parlantina sonante e aveva capito che era il 1800, brutto anno di cambiamenti, anche se alcune idee con Napoleone non le dispiacevano. Lo Stato deve essere laico, ma era finita proprio nella tana del lupo, in pieno regime papalino.
Anche dal Granducato di Toscana venivano segnali d’insofferenza per le truppe napoleoniche, Arezzo insorta, in quei giorni di nuovo sotto assedio per essere riconquistata dalle truppe.
Scoprì la data del calendario ed era il due maggio 1800, periodo non proprio pacifico.
Roberto aveva uno studio e lavorava in ospedale. In più si recava a domicilio a visitare i malati. Il ragazzo propose a Giulia se volesse passare la giornata con lui e aiutandolo nel suo lavoro e poi al termine l'avrebbe riaccompagnata a casa.
L’idea attirò Giulia, stava bene insieme con lui, si sentiva sicura, andò a informare Ginco di non aspettarla, sarebbe tornata da sola, spiegando bene il motivo, tanto voleva sapere sempre tutto.
Andarono nelle case a visitare i pazienti, le chiamate tante e aveva bisogno davvero d’aiuto e con le sue conoscenze, un aiuto prezioso. Spesso Roberto le chiedeva, dove avesse studiato:
< dalle suore rispondeva Giulia.>
< Qualcosa mi sfugge, replicava Roberto non me la racconti giusta.>
Nelle case visitate, la miseria abbondava e la paga spesso in beni materiali, (Galline, uova, mele, dolci). La mancanza d’igiene e i bambini mal nutriti soffrivano di malattie che ormai debellate da dove veniva lei. La peggiore la difterite, ma anche il morbillo e la scarlattina non erano da meno e come una semplice influenza diventava fatale.
C’erano le ferite da medicare: si lavavano con acqua salata bollita antecedentemente, mancavano le pezze per il ricambio, queste erano fatte con vecchie lenzuola che spesso irritavano. Ascoltando Roberto che le diceva che molti guarivano e i più deboli perivano.
Le peggiori: le ferite di guerra, la polvere da sparo infettava sempre e spesso dovevano amputare l’arto colpito, una tragedia.
La giornata volò, stanca, ma contenta, ormai la mente era rapita da quel lavoro, aiutare le persone bisognose, alleggerire la loro sofferenza.
Tornando verso casa, consumarono il pranzo, quello che aveva preparato Regina, Roberto le chiese se voleva diventare la sua assistente, avrebbe percepito un salario con vitto alloggio per la comodità di spostamento in paese.-
Accettò subito senza pensare, Roberto aveva una camera libera e in casa abitavano anche i suoi genitori.
Meglio di così non le poteva capitare, doveva organizzare il giorno per venire in paese e sarebbe stato dopo l'indomani. La casa di un medico, un luogo sicuro, anche il padre era medico e non sarebbe stata mai violata, nelle campagne i briganti e i soldati erano frequenti e non portavano tanto rispetto, specialmente alle ragazze.
Tornata a casa raccontò tutto a Regina dicendole che non l'avrebbe mai dimenticata e sarebbe tornata sicuramente, se avesse avuto bisogno di lei di mandarla a chiamare da chi poteva venire senza problemi.
Venne il giorno della partenza, saluti e abbracci, Roberto era arrivato con il calesse e la portò via.