Nel 1962 avevo 8 anni e la mia sorellina ai sorellina iniziava a camminare solo che noi sembrava che non avessimo un futuro. Già perché stava accadendo qualcosa nel mondo ma non capivo bene a quella età.Qualcosa che aveva a che fare con la terza guerra mondiale, solo che questa era atomica. Una cosa che riguardava dei missili che i russi mandavano a Cuba, non che capissi tanto, ma era una cosa grave. Per non pensare a queste cose mi leggevo ilmioTopolino. Leggevo tanto i fumetti. Avevo una sediolina di legno e mi mettevo seduto a leggere i giornaletti senza dare fastidio. Era morto un bambino in bicicletta su viale Bovio e mia madre non volle comperarmi una bicicletta. Dire che lei da ragazza raccontava di essere una saetta con la bici e che durante la guerra andasse a prendere della roba sino a Tocco da Popoli, patate e altri generi alimentari, borsa nera insomma e che una volta dovette farsi tutti a piedi perché aveva forato. Per quel motivo io non so andare bene in bicicletta, cosa che da piccolo mi faceva sentire discriminato rispetto a tutti gli altri. Leggevo di più tanti fumetti ma anche libri per ragazzi, tutti i classici del mondo e un giorno mio padre mi comperò " I pirati della Malesia".Ho ancora la libreria piena di Salgari, sono tutti nuovi quei libri della collana Nord Ovest sia con la copertina rigida che morbida. Non solo il ciclo di Sandokan ma anche tutti gli altri cicli. Era come se a Pescara ci fosse un tipo di bambino e a Popoli un altro. Popoli era la libertà, si giocava per strada anche a nascondino per tutto il paese. Una cosa ricordo, facevo fatica a ricordare tutti i nomi Bonifacio, Guerino, Panfilo, Pietro ecc e se sbagliavo il nome di chi tanavo quello diceva "Pucinii" non so la traduzione letterale, ma intendeva dire che era sbagliato il nome e si ricominciava da capo tutto. Si giocava a pallone nei cortili e ogni tanto qualcuno ci strillava o minacciava di bucare il pallone. Non avevamo un orologio, Popoli era una famiglia collettiva e se una mamma chiamava un figlio per mangiare tutti dovevano tornare a casa. Quasi che in tutte le case si mangiasse alla stessa ora. Una bevuta alla fontanella, tante fontanelle erano ovunque allora e via di corsa a casa. A volte si giocava a carte e sui sedili di pietra e ci si giocava i giornaletti. C'erano gli "scarciuni"quelli cioè che non avevano alcune pagine e che valevano nulla o pochissimo. Quelli con il bordo rosso erano quelli che uscivano dalle buste dei giornaletti. Accidenti, era bellissimo comperare quelle bustone e dentro ci trovavi gli albi dardo di Capitan Miki e Blek e Akim e le strisce di Tex o Zagor. Il piacere, quell'enorme piacere di aprire le buste con la sorpresa, non si può descrivere oggi. Vedete, io penso che da grandi dimentichiamo le angosce e le paure di quando eravamo piccoli e al tempo stesso dimentichiamo le piccole cose che ci rendevano felici. Forse gli scrittori ricordano più particolari degli altri, forse è una delle cose che avrei voluto fare da grande appunto, lo scrittore.