Lo straniero salvato dall'infido oceano lentamente stava recuperando le forze grazie alle solerti cure e ai decotti di erbe che Crystal costringeva a bere essendo lei conoscitrice delle proprietà terapeutiche di ogni pianta dell'isola. Coltivava questo interesse da quando, all'età di 8 anni, aveva ritrovato per caso uno spesso almanacco antico rilegato in pelle brunita nella casa disabitata della defunta zia Ann.
Lo studiava di nascosto dal patrigno che ammetteva solo letture sacre oltre ai libri scolastici, sfogliava quella trasparente pergamena un po' ruvida e accarezzava l'inchiostro in rilievo di ogni parola ripetendola sottovoce, quasi fosse un suono magico. Poi, quando sentiva la matrigna richiamarla per cena, a malincuore lo richiudeva per nasconderlo accuratamente dentro un'ansa che aveva scavato nel muro, nell'angolo più buio del cottage.
Inaspettatamente, uno di quei giorni inclementi in cui la tempesta imperversava con raffiche violente sulle finestre dai vetri quadrati scricchiolanti rendendo tutto buio e sospeso nell'instillata inazione, proprio uno di quei giorni, Crystal capì il significato della misteriosa parola "IONRAIC".
Il fratello del patrigno, Brian, pescatore provetto dal carattere temerario, cercava il corpo a corpo con quel mare spietato che gli aveva sottratto l'amata moglie Virginie. Aveva viaggiato molto per dimenticare il suo dolore perché solo così trovava sollievo.
Egli aveva solcato le coste frastagliate che portavano al Nord dell'Irlanda e quando era giunto alle Giant's Causeway, sorprendenti ed inspiegabili formazioni basaltiche esagonali, era stato colto da crisi mistica e per un periodo si era trasferito in quell'affascinante luogo.
Là aveva appreso il gaelico stretto del Nord e quindi ora, essendo al fin tornato al villaggio natio, poteva tradurre quell'insolita parola che riconosceva: "ionriaic" significava "innocente" ma innocente da che cosa?
Nel frattempo, i giorni passavano lugubri sotto la tempesta che infuriava quasi a voler spazzare via quell'isola solitaria agli angoli del mondo.
Il tetto di paglia del cottage di Brian venne scoperchiato da un vortice impetuoso e lui si dovette trasferire in casa del fratello Liam.
Il mistero di quello straniero dal volto familiare lo attraeva e quando vide che stava meglio gli si avvicinò pronunciando la forma di saluto della contea di Antrim "Conas ta sibh?" ("Come state?") seguita da "Cad is ainmneacha daoibh?" (Come vi chiamate?).
Lo straniero si chiamava Owen e a poco a poco raccontò la sua storia.
Aveva 25 anni e, dopo la morte dei suoi genitori, aveva vissuto da solo nella Contea di Armagh confinante con quella di Antrim.
Armagh era considerata la capitale religiosa d'Irlanda, essendo stato fondato il suo vescovado dal protettore San Patrizio. Ivi dimoravano in pace l'arcivescovo della Chiesa anglicana e quello della Chiesa cattolica. In pace fino a quando l'invasione britannica sottomise alla corona otto contee del Nord.
Owen era stato ferito durante un'insurrezione capitanata dall'eroe Robert Emmet che fu poi giustiziato. Venne sospettato dai suoi compagni di essere una spia del governo inglese in quanto egli era protestante ed era stato visto varcare la soglia della magione del condottiero nemico Arthur Wolfe.
In realtà, Owen aveva cercato un accordo per evitare lo spargimento di sangue come poi invece avvenne.
Fu catturato e torturato dai suoi, imprigionato in attesa di impiccagione.
Nella notte, il suo migliore amico riuscì a liberarlo ma pagò con la vita il generoso gesto.
Owen corse verso il porto e s'impossessò della prima imbarcazione che vide, iniziò a remare con tutte le sue forze per allontanarsi dalla città in fiamme.
Le sue nozioni sulla navigazione erano nulle, aveva sempre lavorato come fabbro e non sapeva nemmeno nuotare. Sulla barca gli unici viveri erano una pagnotta di pane e una borraccia d'acqua. Ben presto si trovò perso nella buia immensità delle infinite onde.
I giorni passavano e lui sentiva le forze sfilar via dall'involucro di quel corpo sempre più flebile ed ustionato orribilmente dal sole. Oramai aveva la febbre alta e credeva di morire, pregò ancora una volta di approdare su amichevoli lidi...
Aranmore e Crystal furono la sua salvezza.
Era ancora debole ma quel giaciglio accanto al fuoco e quella gente così ospitale gli sembrarono l'inizio di una nuova vita.
Il suo sguardo ceruleo dalle ciglia albine seguiva le gonne fruscianti della dolce Crystal, alla quale per educazione e per il diverso dialetto non volgeva parola alcuna.
Crystal lo guardava di nascosto sempre accorta nel porger una tazza di the o una calda zuppa e un po' imbarazzata volgeva subito le spalle mentre sentiva scaldarsi le gote.
I genitori adottivi si erano accorti di quel turbamento e meditavano di affrettare il matrimonio col ricco tenutario terriero Connor il quale si sentiva indignato e disonorato dalla convivenza sotto lo stesso tetto della sua promessa sposa e quel sudicio naufrago oltretutto di religione diversa dalla loro.
Connor si presentò con prepotenza deciso a portar via la reticente Crystal. Il pastore Liam si oppose fermamente in quanto il matrimonio per essere consumato doveva essere celebrato e lui garantiva la purezza della ragazza. Si impegnò a trasferire lo straniero nella casa della defunta Ann.
Owen assistette non visto alla scena e ne soffrì molto cominciando a intuirne il motivo.
Iniziarono quindi i lavori per risistemare il vecchio cottage e Owen, riacquisite le forze, lavorò duro aggiustando gli infissi della casa e il cancello, imbiancando i muri a calce viva, trasformando la vecchia stalla in fornace, creando vari utensili per arare e dissodare la terra e forgiando anche bellissimi ferri da cavallo.
Crystal era meravigliata dalla bravura di quel ragazzo che finalmente, dopo essersi rasato la lunga barba, sembrava davvero giovane e anche attraente, e quel giovane che attraeva i suoi pensieri, di nascosto le aveva regalato un fermaglio per i lunghi capelli d'ebano, a forma di chiave di violino.
In quell'istante i loro occhi si parlarono suggellando un patto indissolubile.
Non potendo indossarlo lei lo celò in un cassetto insieme alla biancheria ma tornava spesso a guardarlo, ad ammirare le striature bucherellate sulle linee arrotondate di quell'oggetto così prezioso per lei, a far scorrere il polpastrello dell'indice sul ferro che pur così freddo le sembrava caldissimo.
Crystal tornava sulla sua scogliera ad ogni alba e sommessamente confidava i tormenti all'amico vento.
Spesso ora piangeva perché sentiva che quel che aveva sempre aspettato era arrivato ma non poteva averlo. Guardava il medaglione d'argento con l'immagine dei suoi genitori e scoppiava in lacrime perché il padre assomigliava così tanto ad Owen! ...dentro di sè l'eco ripeteva quel nome in continuazione.
Una mattina incuriosito Owen la seguì...(...)