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Forse

Dramma

P. aveva perduto suo figlio di 17 anni, P. lavorava con me in comune all’ ufficio condono edilizio, lo facevo come secondo lavoro e durò tre mesi circa, e questo mi diede l’ opportunità di conoscerla.

Una donna la cui vita è stata segnata da un uomo che l’ ha abbandonata quando il figlio aveva soltanto 2 anni, senza tante spiegazioni, tornando a vivere con la mamma lontano, disinteressandosi di loro completamente. Non si fece più vedere né sentire.

Una donna la cui vita è stata poi annientata dalla morte del figlio. La morte avvenuta per la superficialità con la quale lo hanno operato di appendicite, con la quale lo hanno anestetizzato senza leggere le analisi che lei aveva portato e dalle quali si vedevano i problemi che aveva. Ma non so bene come sono andate le cose, questa è stata la versione che lei mi ha dato questa era la sua verità. Poi ci sarà la verità dei medici che io non conosco.

Fatto sta che lui non si svegliò dall’ operazione. Fatto sta che una madre non ha più rivisto vivo suo figlio, fatto sta che anche lei ha smesso di vivere.
P. non si è più risvegliata da quel dolore.

Quando fui assunta per quel lavoro appena entrata nell’ ufficio mi accolse lei, mi insegnò tutto e fu l’ unica a capire al volo molto di me.

Mi accorsi subito dalle sue parole dai suoi sguardi che in me lei rivedeva qualcosa che le ricordava G., suo figlio. Iniziammo a parlare molto e andai spesso a trovarla nella sua casa di campagna.

Era piena di gatti, ognuno aveva la sua particolarità, qualcuno aveva i suoi periodi in cui scompariva, e poi ritornava. Si, proprio così, lei li accoglieva ma erano liberi. Se un gatto passava lei gli dava da mangiare gli dava abitudini e calore ma non li rinchiudeva in casa, però lasciava che la sua casa fosse il loro rifugio. Li amava e basta. Quando loro non tornavano più lei capiva che erano morti. Lasciava che loro fossero quel che erano, esseri indipendenti, ed anche lei non dipendeva dal loro affetto o dalla loro presenza. Mi raccontò tutte le loro storie, le fughe i loro amori i loro figli e il loro carattere, uno ad uno.

Mi fece entrare nella camera di G. ancora con le cose così come erano rimaste dalla sua scomparsa. Nel muro le scritte, frasi sue e aforismi, il mangianastri con le cassette TDK con la musica anni 60 e 70, Janis Joplin, Hair, Jesus Christ Superstar, Neil Young, The Doors, Woodstock, Bob Dylan, Marley, Pink Floyd ecc ecc non sto a fare tutto l’ elenco … Mi regalò un anellino dicendomi che dovevo tenerlo, perché io ero la ragazza che lui avrebbe voluto come fidanzata e che lei avrebbe appunto regalato alla fidanzata di G., se l’ avesse trovata, e per lei ero io. “ Se l’ avesse trovata, lei sarebbe stata esattamente come te.” Disse.

Mi resi conto che per lei G. era ancora presente, fortemente presente. Assieme all’ anellino mi regalò quei porta foto ovali, piccini, che si portano con una catena, e che si aprono in due, con un ciuffo di capelli biondissimi da una parte e la foto di G. dall’ altra parte.

Ero turbata avevo solo 21 anni e tutto questo mi straziava il cuore, ed anche se non avrei mai voluto accettare quelle cose, le accettai senza esitare, perché se non lo avessi fatto l’ avrei ferita, avrei ferito una persona già troppo lacerata. Non accettare quelle cose sarebbe stato darle un messaggio. “ Tuo figlio oramai non c’è più.” Sarebbe stato chiederle di accettare questa cosa, di farsene una ragione, ma non si può, non è possibile farsene una ragione della morte di un figlio. Lei non avrebbe potuto accettare, capire, rassegnarsi alla realtà. Lei sopravviveva nel suo sogno, nel suo mondo dove G. era ancora presente, non era un ricordo, era presente e io non le ho voluto spezzare quel sogno ma sono entrata in punta di piedi dentro con lei.

In uno dei nostri incontri mi portò al cimitero a trovare G. ma prima volle fermarsi al bar a bere. Fu il giorno che seppi che purtroppo beveva e mescolava ai calmanti. Si stravolgeva così tanto da non stare in piedi, ma quel giorno mi disse: “ Bevo un superalcolico soltanto ok? Ma non ti preoccupare, oggi non ho preso il calmante.”

Poi per strada mi raccontò che spesso capitava che cercava la morte ma che non ci era mai riuscita.
Come quando saliva sulla scala mentre lavorava fuori con il suo uomo, che più di una volta si lasciò cadere giù proprio tuffandosi. Che il suo uomo, forse, poverino, le voleva bene. Stavano insieme ma lui andava da lei per aiutarla con la campagna e il giardino ma non vivevano insieme, era buono, diceva, e le dispiaceva ma lei non poteva farne a meno di provare a morire a volte, e che le andava sempre male, però. Che forse la scala non era abbastanza alta, che quel che faceva non era abbastanza per riuscirci, o che qualcosa o qualcuno non voleva che lei morisse, ma che soffrisse ancora. Mi diceva: “ forse non sono nemmeno capace di morire”. Diceva tutto con una naturalezza disarmante, che dopo averla capita fino infondo non trovai più così disarmante …

Mi raccontò che tante volte l’ avevano ritrovata dentro al fosso al lato della strada perché sconvolta usava uscire nel cuore della notte e poi stremata cadeva. Non solo nel fosso ma entrava al cimitero di nascosto scavalcando il muro altissimo per andare a dormire sulla tomba di G. Diceva “ sono anche famosa qui per queste cose”. Faceva queste battute P., ma non le faceva ridendo, no no …

G. era un bellissimo ragazzo biondo quasi albino, capelli lunghi sulle spalle e con un paio di occhi chiari chiari, come il mare quando sui sassi o sulla sabbia bianca è azzurro ma quasi trasparente. Sulla sua tomba di tanto in tanto la mamma ci trovava delle poesie o dediche di amici e amiche, lei le portava nella sua camera. Lessi anche quelle.

Finì quel lavoro continuai a vederla ogni tanto, e un giorno mi chiamò al lavoro mi chiese di andare e mi disse ho preso calmanti e bevuto tanto puoi venire da me … sono sola e … non so cosa farò … Almeno questo è il messaggio che io ho percepito, è la traduzione delle strane parole sconnesse che mi diceva al telefono. Io lavoravo da poco però trovai il coraggio di chiedere un permesso urgente, dicendo cosa? Provai con la verità. Che una amica era disperata e stava malissimo e mi aveva chiesto aiuto che avevo paura facesse qualcosa di brutto. Me lo diedero. Ero incinta e tremavo. Avevo paura che lei facesse una pazzia. Essendo incinta chiamai anche mia madre le chiesi se poteva venire con me e andammo …

Era sconvolta era da far camminare perché si addormentava, si ripeté la visita alla camera di suo figlio, i racconti, i gatti … a mia madre. Volle toccare la mia pancia mi chiese come avrei chiamato mio figlio, ed era come se mi avesse chiesto di chiamarlo G. come suo figlio. Ne ebbi la conferma dal suo viso, quando risposi forse lo chiamerò M.

Fu l’ unica cosa che non riuscii a fare questa. Dare il nome di G. a mio figlio. Non ce l’ ho proprio fatta. Per tanti motivi. Andammo via solo quando arrivò quel suo uomo, ed era oramai passato il peggio. E lui mi disse grazie e mi tranquillizzò quando gli chiesi di badarla di più, se poteva, di starle più vicino. Mi promise che lo avrebbe fatto, ma che lei era così che non è possibile non staccarsi mai. Poi tornai due tre volte con mio marito e mio figlio che aveva credo intorno ai 4 o 5 anni e viveva con il suo uomo allora.

Poi la persi di vista ci sentimmo un’ ultima volta dopo qualche anno perché ebbe bisogno di me per il lavoro che faccio. Io cominciai ad avere problemi, un aborto, un secondo figlio, mio padre colpito da ictus, i problemi in famiglia, la separazione il trasferimento dell’ ufficio a fare la pendolare, problemi con i figli, colloqui con psicologi educatori, neuropsichiatri, chi più ne ha più ne metta. Trovai l’ amore ...

La vita a volte ti prende e ti fa cambiare strada, ti fa lasciare le persone anche se nel cuore restano per sempre. Oggi mi domando se è ancora in vita, sono anni che me lo domando ma non riesco a presentarmi di colpo a casa sua dove potrei trovare altre persone e non ho più il suo numero da tempo e in elenco non c’è più il suo nome.

Forse P. non c’è più. Forse è in pace. Forse ha riabbracciato il suo G. e sono di nuovo insieme. Forse sorride. Forse lo scoprirò in qualche modo. Forse quando leggo chi parla di suicidio in modo leggero, penso a chi è davvero morto lasciando straziato chi gli voleva bene. Penso quasi sempre a chi resta. E mi fa un po’ rabbia sentir dire o leggere chi scrive "voglio morire" come se fosse un intercalare.

Forse lei ora sorride assieme a suo figlio. Forse lo scoprirò.


Maria Antonietta C 09/08/2014 09:58 2 1423

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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Commenti sul racconto Commenti sul racconto:

«Lettura coinvolgente, si può continuare a vivere ma essere morti dentro, una madre che sopravvive al figlio, (ed io purtroppo so cosa vuol dire) si porta dentro un dolore immenso che non lascia spazio a niente. Si vive di ricordi! Lettura molto apprezzata e ben scritta.»
Paola Pittalis

«Si un giorno quando meno te lo aspetti saprai che fine ha fatto P... Un dramma, uno strazio veramente, la sua vita era diventata impossibile... con quello che hai scritto sul suicidio, ma lei era già morta dentro...»
Annamaria Gennaioli

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