Da piccolo navigavo spesso nel chiaro e nello scuro delle acque della novella vita. Le acque del mare di dentro, si alzavano con enormi onde schiumose e arrabbiate, poi, creando vortici scomparivano ai primi raggi del sole che direttamente penetravano il mio piccolo viso sempre cereo, ero anemico. Mia Madre, diceva che mangiavo poco amore … Il guaio non era che non ingoiassi o meno, bocconi d’ amore, il dramma era che non vi era cibo di un certo gusto per il mio cuore, palato sopraffino. Ovviamente scherzo … Siamo figli di un destino già predisposto dalla nascita, ecco la verità. La famiglia, la consistenza della categoria sociale, gli amici, i parenti, ci plasmano talmente, che poi da grande facciamo fatica a riconoscerci. Chi siamo veramente? Spesso ce lo chiediamo con insistenza. Così iniziamo il cammino della riscoperta chi veramente siamo, in modo confuso, ma lo facciamo. Nel frattempo, abbiamo perso tempo di noi, prendendo ad esempio ogni tipo di cosa o persona, che ci piaccia o no. Capita che da piccoli si possiede un castello pieno di stanze, e queste, per un sortilegio creato da una fata cattiva, appaiono alla vista, spoglie di personaggi, solo la presenza di tracce di un passato vissuto da ogn’uno di loro si intuisce, passato, fatto di ricordi, di imprese di cavalieri e da sfoggi di abiti fantastici delle dame più belle della corte, poi, giornali con belle foto incollate ad ogni muro, foto di belle donne seducenti, di cantanti e di eroi del ring, in mostra incollato sulla parete di un muro di una stanza c’ era la foto di Carnera, tutto muscoli e mascella. Poi, polvere e strumenti per la cucina, scarpe vecchie, abiti abbandonati e una cassaforte con un passato da scoprire: " Quante fantasticherie facevo nella torre del castello " Scale che conducono sotto fin dove non arriva la luce, e scale che conducono sopra, dove il sole in poco tempo asciuga i panni di ogni lavandaia. In assenza di modelli in viaggio nel loro percorso, nella torre del palazzo formai il mio carattere. Lassie, l’ amico cane mi seguiva sempre, anticipava i miei passi brevi, stava sempre prima nel luogo dove decidevo di atterrare con i miei piedi. Certo, il castello era grande, un po’ faceva paura, in modo particolare metteva brividi, specialmente la sera, quando il sole stanco del sudore versato era asciugato dalla fredda notte di quei tempi. In quell’ atmosfera quasi tenebrosa, apparivano i primi fantasmi, gli orchi giganti, e le fate cattive vestite di nero. Fortunatamente, ricordo che avevo nel letto un lenzuolo magico di colore bianco, bastava che mi coprissi la testa e apparivo invincibile ai mostri del buio. Certo, anche sotto il lenzuolo c’era buio, ma quel buio mi dava calore e coraggio, mi sentivo invincibile, era come se avessi un mantello di sicurezza, un nido sicuro dove potevo respirare senza affanni e senza paura. L’ infanzia è strana, e nello stesso tempo ricca di funamboliche associazioni. Efficace è la fantasia che serve a modellare la realtà come uno la vuole nel non reale. Solo che a volte, bisogna stare attenti a non rimanerne prigionieri o schiavi della signora del tutto possibile;
Altrimenti da grande, poi, si finisce per non affrontare i reali dolori della vita e i cambiamenti di percorsi. La vita è piena di strade tortuose, di vicoli e stradine che ti possono portare fuori luogo e fuori tempo massimo. Anche se a tutti indistintamente dall'intelletto che si possiede è data la possibilità di rimettersi su binari idonei per raggiungere la piazza centrale del nostro essere. La famosa Agorà, dove si vede la vera luce dell’ alba che spunta scacciando ogni notte futura e presente. Crebbi in solitudine dentro il mio castello, nessuna dama e nessuna regina, mai vi abitarono, : " Quante volte dialogavo con me con due voci diverse, facevo la voce della regina e quella di un me, valoroso cavaliere. Vissi in un bianco e nero dentro una pellicola di un tempo che mi precedette dove solo l’ immaginazione mi teneva compagnia. Poi, il castello una mattina crollò, era vecchio e stanco del tempo trascorso, un mostro di polvere alla sua caduta toccò quasi il cielo, oscurò per breve tempo ogni raggio di sole. Ci sfrattarono in due giorni, mi ritrovai fuori dalla pianta, senza radice e senza semi. Dovetti dare l’ addio al castello dei sogni, in un momento tutto sparì, compreso una parte della mia costruzione fantastica. Cominciai una nuova vita nella valle dei draghi, ero l’ unico cavaliere senza armatura e senza cavallo in terre sconosciute. Me la cavai nonostante tutto, conobbi mezzi di trasporto e alberi di noci, gli odori cominciarono a essere percepiti dai miei sensi. L’ odore della terra bagnata mi esaltava, quello della pioggia mi deprimeva. Scoprii nuove primavere attraverso il senso dell'odorato. L'odore della legna secca bruciata mi eccitava.
Ogni nuovo giorno voglio camminare con un passo diverso. Voglio aprire nuove porte. Provo a camminare in nuove terre senza scarpe. Non voglio essere come tanti. Voglio essere diverso dai tanti, sono stanco di essere figlio di combinazione di matrice diversa che senza permesso hanno tracciato strade inadatta al mio spirito e alla mia evoluzione. Ci deve pur essere una porta per dimenticarmi e un’ altra per ricostruirmi. Queste erano le parole dei miei pensieri che ogni mattina ripetevo a me stesso come un rosario. L’ infanzia è una palestra dove ci si allena per affrontare poi il viaggio della vita con tutte le insidie e i sogni che si sbriciolano nel percorso. Dopo l’impasto di geni arcaici
che amalgamandosi dentro gli oceani della terra
e il fuoco dei vulcani,
nacque l’ uomo sulla terra.
Dopo un percorso,
saltando milioni di anni
venni al mondo quando si ruppe la camera d’ acqua della donna.
Il cuore già sapeva fare il suo mestiere.
La bocca sapeva dove posarsi,
su quali colline rosee e colme di latte nutrirsi.
Biondo come il grano.
Le prime ombre,
intravidi lontane.
La luce, stava dentro.
La prima immagine che vidi
fu quella di una Madonna con gli occhi color cielo.
Si organizzarono i sentimenti.
L’ amore bussava forte, alla porta.
Col tempo le prime sembianze,
i primi volti,
la donna ...
Mia Madre!
Apparve in tutta la Sua bellezza.
L’ amore s’ incamminò.
Ecco, da questi versi partii per viaggiare lontano un giorno, abitavo nel ventre di mia Madre e forse già descrivevo l'atavico sentire. Ricordo che un giorno passeggiavo con Lei, qualcuno, gli fece un complimento, mi arrabbiai così tanto che la terra tremò. Dovetti prendere distanza dalla sua bellezza, altrimenti ne sarei morto.
Le labbra rosse Sue,
erano due piccolissime fette di cocomero.
I capelli spighe di grano,
i suoi occhi due stelle che splendevano anche di giorno non solo di notte.
Non c’era mai buio nel Suo viso.
Il primo amore è come il primo solco sul terreno del nostro cuore.
Cominciai presto a mangiare miele amaro, a volte facevo piccoli spuntini, altre volte, grossi bocconi, il sapore era delizioso e la pasta reale era collante. E’ rimasto identico il sapore negli anni, anche se sono trascorsi tempi e luoghi. Il miele è legame affettivo. È il nutrimento perfetto per i dolori della vita.
Vestiti di me anche se i miei abiti non ti piacciono,
io indosserò le tue paure e le tue ansie.
L’ amore ci farà da scudo nel labirinto della vita.
Presto insieme,
troveremo l’ uscita.
Un sole raggiante ci attente.
La prima volta che vidi il mare tremai tutto, dentro di me avvenne un terremoto, cadde nuovamente il castello.
Mille stelle dorate ballavano nell’ acqua salata. Chiesi a mio padre di comprarmi un secchiello di plastica, volevo catturare le stelle che luccicavano nell'immensità dell'acqua fino alla linea retta del mare. Volevo portarne a casa una bella quantità. Mi accorsi poi in riva al mare che questo non era possibile, piansi a dirotto; solo le carezze di una vecchia donna sulla mia schiena scacciarono la mia universale delusione di quel momento. Persi il realizzabile fantastico in un solo momento. Mi buttai a capofitto nell'acqua del mare, pensai che solo così, nessuno mai avrebbe visto le mie lacrime. Ero appena un bambino. |
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