Irene sembrava un po' trafelata, aveva infatti uno strofinaccio in mano, con cui si era di certo asciugata nel correre alla porta. Indossava un grembiule grazioso, a piccoli quadri bianchi e rossi, e aveva un'aria molto sbarazzina e in quel suo rapido apparire Sergio non riusciva a vederla una donna matura, gli sembrava una ragazza.
Lui, incrociando gli occhi di lei, non riusciva a capire se fosse più sorpresa o gioia quella che Irene esprimeva; se fosse sorpresa e magari un pò imbarazzata nel vederlo arrivare a quell'ora inattesa, o se forse lei si aspettasse qualcosa del genere, come se, senza dirlo, se lo fossero detti la sera precedente. Gli sembrava gioia, nello sguardo di lei.
In quei brevi attimi, in cui i loro sguardi si erano incrociati nitidi, nel sentimento di Sergio si era diffusa una sorta di estasi contemplativa, provava un intenso piacere nel guardarla in viso; pensava che, se fosse stato un ospite invisibile, non si sarebbe più mosso da quella situazione, e sarebbe rimasto senza tempo a nutrirsi di quella contemplazione.
E veramente Irene era dalla sera precedente che desiderava rivederlo e, quando aveva sentito suonare il campanello, anche se non immaginava che fosse lui, desiderava che lo fosse. Quando si desidera intensamente una cosa, ogni accenno, anche il più inverosimile, che quella cosa possa accadere, accende l'emozione che stia per accadere veramente, per questo Irene era arrivata con quell'aria trafelata e con quello sguardo emozionato che la rendeva ragazzina.
Nei brevi e intensi, dialoghi che avevano vissuto, aveva capito bene la naturale simpatia che era sorta fra di loro, e come quelle poche parole fossero bastate a farli sentire in armonia, misteriosamente affini, per modi di essere, sensibilità. tanto più strano, quanto le loro vite erano state così diversi e distanti, fino a quel momento. Eppure si sentivano come due atomi che, avvicinandosi, non resistevano all'essere molecola.
Sembrarono eterni a entrambi, quei pochi attimi, sull'uscio di casa di represso entusiasmo, con cui con i loro sguardi si erano quasi trafitti. Sensazioni troppo forti, quelle che trapelavano dai loro occhi, perchè non diventassero rapidamente grande imbarazzo.
Ma ci pensò Irene, con la sua più femminile spigliatezza, a rompere l'incantesimo di quell'ingombrante silenzio.
“ Ciao Sergio, sei qui?...non mi sembra neanche il caso di dirti vieni avanti, visto che qui è casa tua, non certo mia... Giovanni è ancora di sopra, stamattina non voleva saperne di alzarsi. Vuoi salire a salutarlo? Io magari intanto potrei preparare un caffè...?”
“ Grazie, se non ti disturba, mi sembra un'ottima idea, non l'ho nemmeno preso, stamattina”
Mentiva così, istintivamente, solo perchè Irene non pensasse che il caffè potesse essere una scusa per stare con lei.
“ Sono uscito di casa un pò in fretta, volevo prendermi i giornali. E' la prima cosa che mi piace fare al mattino, almeno nei giorni di festa. E' un caso che mi sia fermato qui, passando mi son detto, perchè non dare un saluto a Giovanni? Così, anche se non vengo nel pomeriggio, il mio dovere l'ho fatto comunque?”
E intanto aveva continuato a mentire, una bugia dopo l'altra, avviluppandosi in spiegazioni non richieste, sentendosi anche ridicolo per questo, e senza alcuna volontà di farlo. Ma era la sua emozione che mentiva per lui.
“ Sali pure, io intanto metto la caffettiera al fuoco”
La moka non aveva ancora singhiozzato il suo caffè nero e profumato, che Sergio era già sceso.
“ Dormiva, non mi sembrava il caso di svegliarlo...” esitante si sedette sulla panca davanti al tavolo.
Appena il caffè fu pronto, Irene, con la silenziosa grazia dei movimenti che già lo estasiava, lo servì sul semplice vassoio, e sedette a sua volta di fronte a lui.
Forse anche per animare la loro conversazione a lei venne subito spontanea una domanda.
“ mi chiedevo come mai, quando parli di tuo padre, lo chiami sempre per nome, non dici mai "papà"
Sentiva che la domanda era un po' indiscreta, ma le era venuta spontanea, dentro il senso di confidenza che sentiva fra loro.
A Sergio sfuggì un sorriso, che sorprese lui stesso. Si accorgeva dalle volte che sorrideva, con Irene, di quanto non gli fosse abituale il farlo.
“ Certo che non scherzi, con le domande difficili. Mi sa che saresti un'ottima professoressa"
Si accorse che lei arrossiva leggermente, quasi gli venne di farle una carezza, per tranquillizzarla..
"Cosa posso dire, mi viene spontaneo. Anzi, è più corretto dire che non mi viene spontaneo chiamarlo papà. Sinceramente, e mi costa dirlo, dentro di me lo sento come una bestemmia, e non ci riesco, è più forte di me. Forse è perchè non l'ho mai sentito come un padre. Penso non basti un semplice concepimento, per rendere padri, no? E come un titolo d'onore, che va meritato anche sul campo, non credi? Tu lo vedi così, adesso, un vecchio innocuo, che suscita soprattutto pietà... ma non è sempre stato così. Prima che il tempo lo annullasse, era una persona che invadeva violentemente chiunque gli fosse vicino”.
“ Scusami, non volevo metterti in imbarazzo con questa domanda, ma l'avevo notato e mi sembrava strano”
“ No, tranquilla, Irene, invece mi ha fatto piacere, anche perchè non ho sentito niente di meschino nella tua domanda, ma un vero interesse a capire. E quando non c'è meschinità io non desidero altro, che capire e farmi capire, a costo di parlare di eventi, cose dolorose” e aggiunse ancora “ in fondo, se ci penso bene, non è l'unica parola che non riesco a dire, con trasporto: anche dire 'madre', o 'sorella', è difficile per me... anche 'moglie'...”
Qui si interruppe, a disagio, gli sembrava che quel chiaro segno di difficoltà della sua relazione coniugale potesse essere sentito da Irene come un modo pretestuoso per predisporla verso di lui e non desiderava che niente di estraneo ad essi potesse influenzare la loro apertura.
Ma ormai l'aveva detto, ed era tutto fuor che pretestuoso, ma solo lo specchio della sua realtà.
Di quanto lui si sentisse solo, Irene lo aveva già intuito da tempo, senza bisogno di quelle parole. E questo, stava pensando Irene, era in fondo quello che accadeva anche a lei. E anche una delle ragioni, e non certo l'ultima, che l'avevano spinta a lanciarsi in quella esperienza, anche per vedere se in un luogo diverso sarebbe riuscita in qualche modo a ritrovarsi, a ritrovare una più autentica se stessa.
Sergio aggiunse, come se improvvisamente si rasserenasse “ Invece... la parola figli è una delle poche che mi vengono facili, che mi salgono proprio dal cuore”
Irene provava commozione nel sentirlo parlare in quel modo tanto accalorato, avrebbe anche desiderato saperlo consolare in quel suo evidente dolore, era tutta dentro la sua sincertià. Ma non sapeva cosa dire, era grande e complicata la situazione che Sergio aveva espresso con quelle parole, perché lei potesse entrarvi con la sua consolazione.
Per questo cercò di sviare il discorso, di allegerirlo: “ cosa fai oggi? Come passi di solito la domenica?”
“ Oh Dio... niente di particolare, ho una certa propensione a starmene ritirato, non sono un amante della confusione e non mi attirano i luoghi dove le persone sembrano essere tutte d'accordo per ammassarsi, o le gite "della domenica". Preferisco stare a casa, ho sempre dei bei libri da leggere, mi piace scrivere, poi ci sono i compiti da correggere. Non sai quanto mi piace provare a capire i miei alunni dalle parole che scrivono... e, quando assegno loro dei temi da svolgere, cerco sempre argomenti che li possano stimolare a parlare di loro, dei loro veri pensieri. Mi piace cercare di capire come sono le loro vite, se sono sereni o se nascondono ombre di dolore... ho sempre pensato che un insegnante non dovrebbe essere solo la materia che insegna, ma anche uno capace di essere, almeno un po', sostegno nello sviluppo di quelle giovani vite. Anche se ho provato quanto questo sia difficile, e certo non richiesto, perciò per lo più ho dovuto ridimensionarmi nelle mie propensioni, diciamo cos', pedagogiche”
Irene lo ascoltava attenta, con un mezzo sorriso, in quel suo profluvio di parole.
“ Vedo che non sei uno che prende le cose alla leggera, tutto ha un suo peso, per te, come ...una specie di missione?”
Gli sembrava quasi un bambino in quell'ardore con cui svelava i suoi pensieri.
“ E' vero, sì, credo di essere molto serio, a qualcuno potrei sembrare anche triste. a volte mi sembra che in questo mondo, dove sembra obbligatorio saper ridere, diventa molto tenue il confine fra quello che si può considerare tristezza o serietà. E, a te, come sembro, ti sembro triste o serio?”
“ A me non sembri per niente triste. Mi sembra giusto quello che dici, che sei un tipo serio”
“ Ricordo che da bambino, in quello che mi insegnavano, e leggevo, c'era spesso la rappresentazione esemplare dell'uomo saggio, del sapiente, e che si trattava sempre di una persona seria. Poi, crescendo, non ho mai capito perchè lodassero quei personaggi esemplari, quando poi nella vita vedevo come fossero in un certo senso tenuti a distanza, quasi derisi. Erano poi gli sfacciati, i ridanciani, ad esser portati in gloria, ad avere successo nella vita”
“ Non far troppo caso a quel che appare, prima o poi quel che vale, anche se sembra ignorato, emerge e viene alla luce. Ammesso che sia questo che conta, e non che, invece, conti non ingannare se stessi, e gli altri”
Sergio quasi si commosse, ancora loro sguardi erano uniti, erano solo pochi giorni che si conoscevano, ma, in quella loro calma naturalezza, sembrava si conoscessero da sempre.
“ Oggi sono solo a casa, mia moglie è via per una gita aziendale e tornerà tardi. Ma in fondo la mia solitudine non cambia di molto, anche se lei ci fosse ugualmente mi aggirerei per casa come un fantasma, cercando nei miei pensieri e nei libri la compagnia che mi serve per sentirmi vivo...”
Adesso non gli importava più, di aprirsi con lei; intuiva che lei potesse interpretare le sue parole come una proposta, come un implicito invito a condividere quel momento favorevole, ma non aveva importanza, erano già in un mondo più chiaro, senza infingimenti. Lei capiva, certo capiva, che il suo unico e istintivo desiderio era di esprimerle il senso di solitudine che provava, senza per questo illudersi che lei lo potesse alleviare, se non col suo accogliente ascolto.
Lui non sapeva essere strumentale, non sapeva dire una cosa per dirne un'altra, la sola impressione di potersi esprimere con ambiguità, lo bloccava emotivamente, e per questo adesso, per quel residuo di dubbio che lei potesse anche solo per un attimo fraintenderlo, improvvisamente tacque.
Ma bastò il sorriso di Irene, ancora accogliente, a tirarlo fuori dalle sabbie mobili, e ancor più le sue calde parole.
“ Non puoi immaginare quanto capisco quella tua sensazione di solitudine e quante volte, come te, mi sia sentita anch'io, a casa mia, come un fantasma”
La comprensione di Irene era stata per Sergio un istantaneo infuso di emozione e, sviato da se stesso, si sentì trascinato verso un rapporto più diretto con lei e fuori della malinconia dentro cui, con la sua narrazione, si era un po' perso.
“ Mi è sembrato di capire che ti piace leggere... qui in casa sono rimasti molti libri miei, che da ragazzo ho amato tanto, se vuoi te li mostro, quelli che mi erano più piaciuti e se tu volessi leggerli...”
“ Si è vero, mi piace leggere, anche se con l'italiano ho ancora qualche difficoltà; magari potrebbe essere per me un buon esercizio... perchè no?...”
Sergio le fece strada, alla ricerca dei libri di lui.