Non so chi fu il primo di noi due ad avvicinarsi all'altro, rammento soltanto che molte giornate della mia infanzia le trascorsi insieme a lui, Andrea. I nostri genitori dicevano che ci saremmo sposati un giorno ma noi stavamo bene così, ci volevamo bene, un bene davvero speciale, un bene fraterno. Anche i nostri nomi, Anna e Andrea, stavano bene insieme ma noi eravamo solo amici e nessuno dei due cercava qualcosa di più dall'altro.
L'adolescenza fu un susseguirsi di emozioni e leggiadra spensieratezza. Io ero la più ribelle, quella più scapestrata e Andrea mi teneva incessantemente sotto controllo, come un angelo custode ma senza invadere troppo la mia privacy e la mia libertà. Però mi rendevo conto di ogni cosa, di ogni sua attenzione e mi piaceva sapere che lui c'era sempre per me, anche quando bevevo un bicchiere di troppo e lo chiamavo nel cuore della notte per venire a recuperarmi in qualche locale del centro. Credo di essermi sorbita molte più prediche da parte di Andrea che non da mio papà nel corso di quegli anni e devo confessare, ripensandoci adesso, che fui davvero impossibile. Avevo largamente contribuito a trasformare il rapporto con mio padre, in un qualcosa di estremamente complicato. Eravamo perennemente in conflitto, i litigi erano all'ordine del giorno cosi come le punizioni e in tutto questo bailamme Andrea era sempre li, a rimettere a posto i cocci della mia fresca e insofferente vita.
Poi crescemmo, Andrea era comunque presente ma dentro di me iniziavo a percepirlo via via sempre più distante. Io portavo avanti i miei studi universitari, ero determinata a voler diventare una valida e stimata psicoterapeuta. Così stavo lontano da casa per lunghi periodi ma non avevo mai smesso di sentirlo e ogni volta che facevo ritorno era una occasione irrinunciabile per una rimpatriata, per trascorrere nuovamente del tempo insieme.
Era novembre.
Mi trovavo lontano dalla mia città ormai da diversi mesi. In quel frangente stavo sostenendo degli esami molto impegnativi e non potevo lasciare la facoltà nemmeno per un istante. Quando feci ritorno a casa il mio primo pensiero fu quello di riabbracciare Andrea, lui sapeva della mia venuta e mi sarei aspettata di trovarlo sulla banchina della stazione ad accogliermi, come faceva sempre.
Ma non venne.
Rimasi un po' delusa ma non detti eccessiva importanza all'accaduto e mi precipitai comunque a casa dei suoi genitori, dove ero certa che avrei potuto trovarlo. Mi aprii la madre, aveva un viso cupo, smagrito e perso nel suo pallore. Mi sorrise ma era un sorriso tirato. Andai in camera da Andrea, lo guardai, era visibilmente scarno, i capelli eccessivamente lunghi e trascurati, un incarnato insolitamente olivastro, quasi livido. Rimasi sgomenta nel vederlo così, non riuscii a spiccicare una parola. Ma lui con prontezza, spezzo quell'ingombrante silenzio. "Ehi piccolina, neanche un abbraccio?" Piccolina, mi aveva sempre chiamata così, nonostante la risibile differenza d'età; credo che sin dal principio, si sentisse come investito da chissà quale entità misteriosa e ancestrale, dell'incombenza di proteggermi da tutti i mali e le sofferenze del mondo. Lo abbracciai, era diventato davvero emaciato e ossuto, mi pareva che a stento riuscisse a reggersi in piedi. " Andrea ma stai bene? " Lui mi sorrise "Ma certo piccolina, forse sto lavorando troppo e sono un po' più stanco di quanto vorrei ma sai.. è poco tempo che ho trovato questo impiego e devo darmi da fare. Io non ho il tuo cervello e devo usare le braccia purtroppo!!" Poi sorrise. Mi fidavo di Andrea, non mi aveva mai mentito. Sorrisi. " Che combiniamo stasera, ci facciamo un gigantesco bar- tour e ci sbronziamo come ai vecchi tempi?" " Eh no piccolina, stasera proprio non posso, ho un impegno a cui non posso davvero rinunciare" "Ah ho capito, ti aspetta qualche bella fanciulla" Lui sorrise ancora, questa volta come in segno di assenso. Mi parve un po'strano che non me ne avesse parlato, insomma, che non mi avesse raccontato nulla di questa misteriosa relazione. Ma non mi feci troppe domande, dopotutto era stato sempre molto riservato in merito alle sue storie sentimentali e così, senza dare troppo peso alla cosa, lo salutai.
La sera rimasi a casa, guardai un po' di televisione stravaccata sul divano sino a che, spossata dalle fatiche del viaggio, mi lasciai lentamente addormentare, davanti al camino che spegneva i suoi ultimi crepitii. Ma quella notte, nel cuore di quella soffocante notte, mi svegliai in un sobbalzo. Ero in un bagno di sudore, avevo il fiatone e il cuore mi esplodeva nel petto. Non ricordo cosa stessi sognando ma non era niente di bello e niente di bello lasciava presagire. Salii in camera e cercai di riprendere sonno, ancora in preda all'affanno.
La mattina scesi di buon ora a fare colazione e inoltrandomi verso la cucina udii un parlottare sommesso, quasi silenzioso, tra i miei genitori; non stavano litigando ma non riuscivo a percepire il motivo della discussione. " Interrompo qualcosa? " Mia madre mi guardò, aveva un'espressione sofferente e un viso contratto e tremebondo come di chi si affanna inutilmente a trattenere le lacrime. " Anna....." " Che succede? " chiesi io. " Vedi Anna, è successo che....." ma non riuscì a terminare la frase e scoppiò in un pianto disperato. " Mamma mi stai facendo preoccupare, cos' è successo?" " Anna, tua madre voleva dirti che è successa una cosa ad Andrea" Scattai subito. " Andrea? Cosa? Dov'è? Come sta? " " Anna siediti.. " " Non voglio sedermi.. voglio sapere di Andrea!!" " Vedi cara... questa notte è stato trovato nel parco, si era iniettato una dose di eroina " " Papà cosa stai dicendo..non è possibile.. ti stai sbagliando.. non Andrea..!" " Anna mi dispiace tanto ma si tratta proprio di Andrea, ora è ricoverato in ospedale, non sappiamo nient'altro" "No..no.. vado in ospedale..sono sicura che c'è uno sbaglio..che non si tratta di lui.." " Amore sei sconvolta, forse non è il caso..cerca di rilassarti ora.." "Ho detto che vado in ospedale, non è il mio Andrea, non può essere!!" Papà mi abbracciò forte, poi comprendendo che non avrei mai voluto sentire ragioni, decise di accompagnarmi al nosocomio.
Non potevo crederci.
Entrai in quella stanza, bianca come il gelo che sentivo dentro. Era davvero Andrea, il mio Andrea, steso li, con l'ago di una flebo conficcato nell'avambraccio e un tubo di plastica infilato nel naso per agevolargli il respiro. Mi avvicinai, piangendo in silenzio, poi gli sedetti accanto. Presi delicatamente la sua mano e lui a fatica si svegliò dal torpore. " Ehi piccolina.." A quel punto il mio pianto divenne un singulto. " Perché? Perché Andrea?" Distolse per un attimo lo sguardo dalle mie labbra " Mi dispiace averti deluso..perdonami.." " No..no..non mi hai delusa..non dire così.. io ti voglio bene..vedrai..si aggiusterà tutto e quando uscirai da questo letto faremo tante cose insieme..abbiamo ancora un sacco di cose da fare io e te..non è vero?!?!".Sapevamo entrambi che era un menzogna.."Mi sa che questa volta.. è un po' più dura delle altre tesoro...". A quel punto dovevo sapere, dovevo sapere le ragioni che l'avevano indotto a ridursi in quello stato e soprattutto il perché non si fosse mai confidato con me. Io sarei stata li per lui, sempre e comunque, così come lui aveva sempre fatto con me. "Ascoltami Anna.. sono stato un debole..vedi..io sono gay. Quando ho trovato il coraggio di confessarlo ai miei genitori, loro non mi hanno capito..mi sono sentito rifiutato..un figlio sbagliato..ho pensato anche di farla finita ma..troppo vigliacco anche per questo..e così mi sono rifugiato nella droga..quella stessa droga che oltre a non darmi conforto..mi ha fatto anche un regalo crudele: l'HIV..". Non avevo più lacrime.. "Andrea..perdonami.. non avevo capito niente..mi dispiace..mi dispiace..avrei potuto.. potevo aiutarti.." " Anna ti prego..non dispiacerti, ricordami solo per quello che sono stato prima di tutto questo..e soprattutto per il bene che ti ho voluto e che ti vorrò sempre..non sono stato capace di prendere in mano la mia vita e non ti ho permesso di aiutarmi..e di proteggermi. Ma io non smetterò mai di farlo..nulla potrà impedirmelo.. perché tu resterai sempre la mia piccolina... sempre..."
Era la prima volta che Andrea mi chiamava per nome e per uno strano scherzo del destino, quella, fu anche l'ultima. |
|