Ho scoperto di sentirmi giovane; e forse, ma adesso non metterti a ridere, mi sento osservato e, diciamo pure che potrei piacere ancora a qualche bella signora.” Ovidio lo guardò con preoccupazione e tra sé pensò:” Potresti certamente piacere a qualche bella signora e, forse, a qualche sua nipotina provocante.” Prima di scendere dall’ automobile il barone chiese a Ovidio se era libero il sabato dopo, e se voleva accompagnarlo a Milano per comperare una audiocassetta di quelle moderne, che si ascoltano nelle discoteche.
Il sabato dopo, arrivati in piazza del Duomo, il barone volle entrare alla Ricordi per cercare la cassetta musicale che aveva annotato sopra un biglietto. Il nome del gruppo musicale era praticamente impronunciabile; non si riusciva a capire da quale parte bisognava leggerlo. Ovidio si era sforzato di aiutarlo nella ricerca, ma non sapendo né titolo né la certezza del gruppo musicale, l’ impresa diventava difficile. Finalmente trovò la musica che cercava.
Passarono alcuni giorni e Ovidio, mentre si recava in un ristorantino in città, vide la bella ragazza camminare frettolosamente. Sentì la mente sconvolta da quella splendida visione; nell’ intimità si stava formando una specie di debolezza, simile allo svenimento. Il barone intanto si era seduto al tavolo invitando l’ amico a far loro compagnia. Fu proprio lui, Giovanni Maria delle Acacie, a chiedere all’ amico di fargli un grosso favore.” Dovresti, se ti è possibile, accompagnare Katiuscia a Stresa per il solito impegno settimanale da un professore di italiano che abita lì.” Katiuscia fissava Ovidio con un sorriso da far girare la testa. Nel suoi occhi si nascondeva uno sguardo tenebroso ed eccitante.
Il barone prima di uscire, pagò il tutto, salutò la bella ragazza e, con on’ occhiata furtiva, pronunciò la solita triste frase:” Mi raccomando!” Ovidio e Katiuscia rimasero seduti, guardandosi negl’ occhi e, con sorrisi ammiccanti sorseggiarono un “ rosso di Gattinara”. Dopo una buona mezz’ ora di sguardi reciproci, senza dire parola, si alzarono e, usciti per strada, si diressero verso l’ automobile.
Nell’ aria si odorava profumo d’ amore e Ovidio, senza dire una parola, appoggiò una mano sulle gambe velate di seta scura; ma Katiuscia, sorridendo fermò la mano di Ovidio. Si guardò nello specchietto retrovisore e scorse due pietre luminose ed incandescenti che parevano chiedere perdono. Si girò verso di lei, sistemandosi a suo agio e si unirono in un fremito dolce, inondando l’ interno della vettura di un’ essenza balsamica, sprigionatasi dai corpi pregni di passione. Ovidio abbassò i ribaltabili e fece distendere la dolce creatura che lo guardava con occhi smarriti. Poi, con la leggerezza di una piuma d’ angelo, gli aprì la camicetta rigonfia di vita e diede l’ avvio ad uno di quei momenti magici e colmi di felicità che, solo la preziosità delle occasioni offre. Gli amanti, passarono due ore di infuocate delizie, poi, all’ improvviso ad Ovidio sembrò di sentire un rumore di frasche nelle vicinanze. Si tirò su e guardò attraverso i cristalli leggermente appannati. Non vide nessuno. Fumarono una sigaretta senza che nessuno fiatasse. All’ improvviso, Katiuscia, scossa da un desiderio remoto, chiese a Ovidio:” Ma tu, non parli mai? Perché non mi dici niente. Fai sempre così anche con le altre?” Il poveraccio non sapeva cosa rispondere. Già in altri momenti d’ amore la sua voce era rimasta tacita e silenziosa. E anche quella volta, non volle rispondere. Katiuscia non voleva più rivestirsi. Sdraiata, pareva assopirsi, mentre ascoltava la nenia sessuale di quel rapitore della memoria.
Passarono giorni di silenzio. Del barone non c’ era più traccia. I due amanti si rividero nel solito bar dove tutto ebbe inizio. Katiuscia incominciò a parlare dei suoi temi scolastici; del Manzoni e dello Svevo, delle belle poesie di Baudelaire e dell’ incomprensibile stupidità della vita. Katiuscia raccontò la sua brevità. Il padre, morto in ospedale mentre gli stringeva la mano in un ultimo sussulto di dolore; la madre, donna insensibile che la trascurava per altri interessi, difficili per una bambina da comprendere. Poi iniziò a parlare del barone delle Acacie; di come si erano conosciuti. Disse che era l’ unica persona al mondo che gli voleva bene. “ Tu, Ovidio, non puoi conoscerlo così bene come lo conosco io. Anche se sei il suo più sincero amico, non potrai mai capire la sua vera sensibilità. Per me è tutto e qualcosa di più. Non sorridere per quello che dico, non c’è niente di strano, cosa vuoi, è andata così. Sono profondamente innamorata di quel tuo amico un po’ su con gli anni, dei suoi capelli bianchi che mi piace toccare e spettinare; di quel sorriso che fa pensare alla bontà che ho sempre immaginato e che non ho mai avuto. Ti chiederai ora, come mai sia venuta con te oggi pomeriggio? Non struggerti la mente, caro Ovidio. Era un accordo fatto tra me e Giovanni. Un patto per far sì che mi dimenticassi di lui.; anche se sapevo che non mi sarei mai allontanata dal mio dolce vecchietto. Credimi e perdonaci. Caro Ovidio, ricordatelo come un gioco, uno straordinario gioco che può ripetersi ogni volta che mi sentirò turbata ed insicura.”
Ovidio, dopo quel racconto, non seppe più connettere. Aveva, in quei momenti, fumato mezzo pacchetto di Gitanes. Non riusciva a credere ad una simile storia. Ma all’ improvviso dovette arrendersi all’ evidenza. Il barone, sciogliendo l’ ombra che la porta del bar rifletteva all’ interno, si presentò ai due amanti con l’ incedere di un cavaliere araldico.