Stefano abitava con i suoi genitori in una casa vecchia e malandata.
Suo padre aveva avuto poca fortuna nella vita.
Aveva ripetutamente tentato di avviare delle aziende, ma tutte le volte senza successo, rischiando anzi più volte l'umiliazione del fallimento.
La paura di non avere la stoffa, faceva si che ogniqualvolta si imbarcava in una nuova iniziativa si comportasse in modo da dimostrare veramente di non avere la stoffa.
Alla fine, facendo buon viso a cattiva sorte, si era deciso a vivere con rassegnazione, rinunciò a tutte le sue velleità di affermazione, si trovò un posto da operaio nell'unica fabbrica del paese e così riuscì a garantire il minimo vitale alla sua famiglia, nulla di più.
Il desiderio di farsi largo nella vita nasceva, per la verità, più che non dalla sua volontà, dalle ambizioni di sua moglie Cesira.
Costei aveva acconsentito a sposarlo anche perchè affascinata dal prestigio della famiglia da cui egli proveniva.
Sapeva benissimo che non navigava nell'oro ma il suo cognome, un po' illogicamente, le suonava come sinonimo di ricchezza.
Quando cominciò a rendersi conto che le sue erano state soltanto illusioni e che la verità era molto più amara, invece di accettarlo per quello che era, iniziò a rimproverarlo, rinfacciandogli continuamente la sua inconsistenza.
Lei, che era stata una bella ragazza, corteggiata da tanti buoni partiti, non riusciva a digerire il fatto di trovarsi in una situazione di semi povertà e di aver a sua volta così clamorosamente fallito nell'unico serio obiettivo che si era prefissa.
Ad aumentare la sua rabbia ed il suo disagio contribuiva il fatto che Luigi, il fratello di suo marito, avesse viceversa conseguito una posizione di tutto rispetto.
Costui aveva ereditato dal padre la parte di casa contigua a quella del fratello ed anche il grande cortile era stato diviso in parti uguali.
Ma, diversamente da lui, aveva trasformato, nel tempo, la sua casa in un'autentica villa, era stata restaurata senza economie ed abbellita con oggetti costosi e di rara bellezza.
Mano a mano che le loro condizioni economiche si differenziavano, anche i loro rapporti si distanziavano.
Costui per non confondersi con il fratello e fare a tutti capire quanto loro due fossero diversi e che la loro parentela era stata probabilmente soltanto un bizzarro scherzo della natura, lo aveva, un po' alla volta, allontanato quasi completamente dalla sua vita.
Per far si che la separazione fosse totale, aveva eretto un grande muro nel mezzo del cortile.
Se un regista avesse osservato quelle due case avrebbe probabilmente subito pensato all'ambiente ideale per girare il film “ miseria e nobiltà”.
Cesira, dopo aver inutilmente tentato di entrare nelle grazie di quei parenti altolocati, sentendosi, anche abbastanza apertamente, rifiutata, cominciò a nutrire verso di loro odio ed invidia profondi ed insanabili.
Era naturale che questa atmosfera piena di ambizioni frustrate e di rancori mal dissimulati si riflettesse e traducesse il suo effetto sul piccolo Stefano. Ma fu un fatto particolare a segnarlo definitivamente e a radicarsi come un pungolo dentro di lui, un pungolo che, da quel momento in poi, ne avrebbe condizionato le azioni.
Un giorno, spiando attraverso le feritoie del cancello dei vicini, vide i suoi due cugini intenti a giocare nel loro grande parco.
Vedendo tutti i giochi meravigliosi di cui questi disponevano, non riuscì a resistere all'impulso di entrare.
Avanzò timidamente verso di loro e questi, non appena si accorsero della sua presenza, si frenarono nel loro entusiasmo e restarono immobili guardandolo fisso.
Dopo qualche interminabile attimo di silenzio, il più grande dei due cugini gli disse “ vattene via! La nostra mamma non vuole che giochiamo con te”.
Quelle parole uscirono dalla sua bocca piene di disprezzo e si abbatterono con estrema violenza su Stefano che scappò via piangendo, colmo di odio e di vergogna.
Fu del tutto che queste premesse fomentassero in lui un grande desiderio di rivalsa, rivalsa per sé stesso e per tutta la sua famiglia.
Per sua sfortuna non aveva né grandi mezzi, né grandi qualità, per poter spiccare ed elevarsi, cercò per tanti anni, nelle più svariate direzioni, di scoprire il campo d'azione dove avere maggiori possibilità di mietere successi.
Ma ovunque raccolse solo delusioni, si scontrava con persone molto più motivate e preparate di lui, che sempre gli impedivano di emergere e vestire i panni del primattore.
Stava ormai per rinunciare ai suoi sogni di grandezza, per fare da ponte alla frustrante ombra del padre e prolungare nelle generazioni a venire l'oneroso compito di riscattare l'orgoglio ferito della famiglia.
Si trovò quasi per caso a partecipare ad alcune riunioni della sezione del nuovo partito, anch'esso nato per caso, e che, nel momento di grande travaglio che stava attraversando la nazione, si trovava, ad essere investito da una valanga di consensi.
Erano riunioni frequentatissime, tutti stavano fuggendo dal vecchio cercando una nuova sistemazione nel nuovo e questo, che appariva il carro vincente, faceva gola a molti.
C'erano personaggi di ogni classe e di ogni tendenza, negozianti arrabbiati per le troppe tasse costretti a pagare, operai avviliti da paghe sempre più striminzite, delusi di vecchie battaglie che volevano ritentare l'assalto alla diligenza con il nuovo cavallo, professionisti invisi alle precedenti amministrazioni che speravano di poter spartire il malloppo con i nuovi padroni, imprenditori che miravano ad avere gli appalti che non avevano avuto con quelli di prima.
La confusione era totale, tutti parlavano di tutto, ma ognuno, mentre declamava le sue nobili intenzioni, stava pensando a come avrebbe potuto far trionfare le sue ragioni.
Stefano, non sapendo ancora bene come avrebbe dovuto comportarsi assisteva in silenzio studiando la situazione.
Non passò molto tempo che la situazione cominciò a chiarirsi.
Iniziarono ad emergere i più capaci nel manovrare il linguaggio ed i più determinati sulla strada da seguire, si chiarì presto anche quali sarebbero stati i gregari e la maggioranza silenziosa.
La confusione non cessò, ma da corale si trasformò in scontro acceso e irrisolvibile fra questi pochi caporioni.
Ripetevano sempre gli stessi infiniti monologhi, cementati nelle loro menti come altrettanti cavalli di Troia, neppure sembravano sentirsi tant'erano infervorati nella propria dimensione e, mentre l'uno parlava, l'altrocompletamente sordo, coltivava il suo discorso.
Dopo poco tempo Stefano capì che forse era giunto il suo momento buono, che, se si fosse dosato con astuzia, avrebbe potuto, da quel caos, trarre grande giovamento.
In effetti fu così, come ben dice quel proverbio “ fra i due litiganti il terzo gode”, fra i diversi baruffanti Stefano godette.
Il conflitto era frontale, obliquo e trasversale, ognun dell'altro temea la prima mossa ed onde, della sconfitta, evitar la scossa, tutti se ne restaron attendenti e muti.
Stefano divenne moderatore di quelle aspre contese, placò gli animi e frenò gli eccessi e riuscì ad insinuarsi in quell'immobilismo armato, uscendone inaspettato protagonista.
Proprio in quel periodo si doveva procedere alla nomina del candidato alle elezioni, ma non era una scelta facile, perchè tanti erano i candidati ad esser candidati, tutti poi si dichiaravano disposti al grande sacrificio, seppure personalmente poco interessati.
In partica questi, piuttosto che cercare la propria affermazione, si sforzavano di impedire quella altrui ed ognuno sembrava si dicesse “ bene! Se non devo essere io quel candidato, neanche loro lo saranno!”
In questo frangente Stefano si comportò con molta astuzia, diede ad ognuno dei caporioni l'impressione di essere un suo fedele ammiratore e che se fosse stato nominato avrebbe sostenuto il suo progetto.
Fu eletto quasi all'unanimità, per timore che vincesse un rivale tutti concentrarono su di lui le loro preferenze.
Soltanto a giochi fatti s'accorsero d'essersi dati da soli la zappa sui piedi e cominciarono ad interrogarsi su chi fosse quel bel tomo e di come era stato possibile che arrivasse tanto in alto, ma ormai era troppo tardi per potervi rimediare.
Iniziò la campagna elettorale, Stefano ci si buttò con tutte le sue energie, prese a girare per le sezioni, a frequentare tutti i raduni di persone, ad organizzare incontri nelle piazze.
Non aveva granchè da dire, sapeva cosa voleva per sé stesso, ma in quanto a proposte da offrire agli altri si trovava del tutto sbilanciato.
Così, per non fare la figura del coglione, pensò bene di studiarsi la lezione.
Si rifornì nella sede del partito di pacchi del più svariato materiale propagandistico, scelse il programma dettagliato che più gli ispirava simpatia e cercò di apprenderlo a memoria.
Vi aggiunse qualcosa di suo, qualche particolare di localistico interesse per far si che i suoi elettori si sentissero capiti e interpretati.
Giunse la vigilia delle votazioni, i suoi collaboratori avevano organizzato l'ultimo incontro con gli elettori in una grandissima sala del paese.
Dopo che il moderatore lo presentò al vasto pubblico, salì sopra la pedana, afferrò il microfono con perentoria energia ed iniziò a parlare.
Mentre la scena procedeva si meravigliava di sé stesso, della sua capacità di schizzare, con spontanea naturalezza, fra un pensiero intimo ed uno estroverso, fra di loro completamente antitetici.
Mentre un emisfero pensava una cosa, l'altro ne diceva un'altra.
“ Devo giocare bene le mie carte, se perdo quest'occasione non ne avrò più di eguali” così fra di sé meditava; “ cari concittadini, sono stato spinto ad accettare questa candidatura, perchè il grave momento che sta attraversando il paese me lo imponeva, stavo tanto bene a casa mia con la mia famiglia, ho anche dovuto patire le rimostranze di mia moglie, ma non potevo tirarmi indietro...” così declamava ad alta voce.
“ Si renderanno finalmente conto di chi sono io quelli là, voglio proprio vedere se perderanno quella tracotante baldanza!” pensava; “è ora di finirla con tutta quella gente che perchè gode di una carica crede di poterne disporre a piacimento, fare politica è una missione, un onere per dare un servizio ai cittadini, non una scorciatoia per farsi gli affari propri e riempirsi le tasche con il sudore della collettività” diceva.
Il pubblico non fu molto entusiasmato dalla sua orazione, le sue parole mancavano di quella passione che soltanto il coinvolgimento emotivo può dare, la reazione al suo discorso fu molto fredda e soltanto pochi e deboli applausi accolsero la sua fine.
Ma Stefano la sua personale battaglia, cioè l'unica che gli stava veramente a cuore, l'aveva già vinta nel momento in cui era stata decisa la sua candidatura.
Conseguì il suo scopo, trascinato dal trionfale successo del suo partito, fu eletto, seppure, con un risicato vantaggio di voti, e la carica a cui aspirava gli fu assegnata.
Furono organizzati dei festeggiamenti per celebrare la sua affermazione.
Tutti facevano a gara per avvicinarlo e congratularsi con lui.
Improvvisamente sembrò completamente trasformato.
I suoi primi passi all'interno di quell'organizzazione erano stati caratterizzati da comportamenti apparentemente pieni di umiltà e tolleranza.
Ora, divenuto leader maximo, abbandonata ogni prudenza tattica, cominciò ad assumere atteggiamenti prepotenti, alteri e sprezzanti.
Quando qualcuno avanzava proposte o perorava una causa, replicava con lunghi ininterrompibili monologhi che esulavano completamente da quanto il suo interlocutore aveva posto alla sua attenzione.
Si esaltava ed autoincensava, nominava sé stesso, in modo ossessivo, come unico soggetto ed artefice di tutto quanto avveniva e sarebbe avvenuto nel suo mondo conosciuto.
Passando da un gruppo all'altro, si appropriava, dando l'impressione di neppure accorgersene, di frasi ed idee appena espresse da qualcun altro.
Per alcuni giorni assaporò soddisfatto il piacere di quell'inattesa affermazione, poi la sensazione di onnipotenza cominciò ad attenuarsi e quel vago ma profondo senso di insoddisfazione ed incompletezza riprese a tormentarlo.
Doveva fare qualcosa di veramente eclatante per irnnovare lo straordinario sentimento di importanza che aveva provato.
Non fu facile convincere il ministro ad effettuare una visita di cortesia nel paese, ma finalmente, dopo molte insistenze, ci riuscì.
Sua madre Cesira era gonfia di gioia ed orgoglio nel riferire alle sue amiche la notizia, già pregustava il momento in cui avrebbe visto il figlio percorrere le vie del paese in compagnia del ministro.
Finalmente il gran giorno arrivò.
Il paese si era vestito in pompa magna per dare degna accoglienza all'ospite illustre.
Stefano si era fatto prestare da un amico una lussuosissima fuoriserie scoperta.
Fu un trionfo, o perlomeno Stefano e sua madre lo percepirono tale.
Ritto sull'auto insieme al ministro egli salutava la numerosa folla convenuta per l'occasione.
Seguì il discorso nella piccola piazza.
Salirono sul palco delle autorità e, dopo un breve preambolo di Stefano in cui non mancò di decantare le sue grandi qualità ed il suo grande lavoro, parlò il ministro.
Fu un discorso un po' retorico e scontato, lodò le qualità umane e l'alacre operosità della cittadinanza, promise il suo interessamento per risolvere i tanti problemi sospesi, alla fine non mancò di rivolgere dei diretti complimenti a Stefano per le sue grandi doti organizzative e politiche.
Quando concluse l'orazione con queste parole “ per far risorgere l'Italia occorrerebbero non cento, ma migliaia di persone come Stefano, e non mille, ma milioni di cittadini laboriosi come voi” fu sommerso da fragorosi appalausi.
Sceso dal palco fu circondato da centinaia di persone che si urtavano fra di loro per stringergli la mano o scambiare qualche parola.
Stefano lo tallonava con maniere servili, quando finalmente riuscirono ad uscire da quella confusione, gli si rivolse con tono confidenziale “ siamo onorati di averla nostra ospite ad un pranzo che abbiamo organizzato per lei”.
Il ministro, fingendo rammarico, rispose “ mi dispiace veramente... ma sono costretto a rifiutare il tuo invito. Sono già inteso di andare a far visita a Luigi... mi ha anche detto che abita vicino a te... e che ti è anche un po' parente. E' proprio una grande persona, intelligente e preparata, da tanti anni ci vediamo a Cortina e siamo diventati intimi amici e poi... in confidenza... se non fosse stato per lui non sarei neanche venuto qua... le elezioni sono passate e questi incontri non servono a nulla”.