Vi ricordate di Acino, lo gnomo buono che ingoiai anni fa mangiando dell’uva bianca e che subito dopo, attraverso il vomito, venne fuori dallo stomaco bagnato come un pulcino sotto la pioggia? Vi rammento che allo stesso gnomo chiedevo verità assolute su tanti temi e che sparì, poi, improvvisamente per uno stupito compromesso fatto in un momento di debolezza da parte mia. Ebbene, credevo che non lo avrei mai più rivisto per il resto della mia vita; ma mi son dovuto ricredere, non bisogno mai dire mai nella storia della vita. Stanotte, erano circa le due, mentre riposavo profondamente sognando spiagge assolate e lune di color rosa perlato, ho sentito una specie di prurito sotto la piramide del naso, mi son grattato una e più volte ritornando nuovamente sulle spiagge assolate del mio sognare, ma nulla, appena passati due o tre minuti, ecco di nuovo il fastidioso prurito. Dapprima ho pensato che fosse un fastidioso moscerino, insomma è stato come soffrire di mal di pancia e non volersi alzare dal letto, alla fine, non ce lo fatta più, ho acceso la piccola luce sul mobiletto vicino al lettone e ho deciso di liberarmi del fastidioso insetto. Ma a un certo punto mi son dovuto ricredere sull’idea che mi era balenata anche perché, osservando bene il perimetro circostante non riuscivo a vedere nessun moscerino, a dire il vero non vedeva nulla. Improvvisamente, poi, è successa una cosa strana... Mi son sentito chiamare:“Pasqui, Pasqui”. Ho avuto tanta paura all'istante che volevo scappare da casa, non mi ero ancora reso conto che chi mi chiamava stava appeso alla giacca del mio pigiama. Oh Dio... Che spavento quando ho visto Acino con l’ombrellino rosso nella mano che lottava per non cadere, stava aggrappato con le unghie al bottone del pigiama, m’implorava di prenderlo e sostenerlo nel palmo della mano. Si dimenava, continuava a chiedermi di non farlo cadere nel vuoto, altrimenti sarebbero stati guai. Con un gesto semplice l’ho preso tra le mani e gli ho detto:“Ciao, che ci fai qua appeso alla giacca del mio pigiama?” Si è messo a ridere il monello e con aria non curante mi ha detto:”ciao, come stai?” Gli ho risposto che stavo bene fino a qualche minuto prima che lo vedessi. “Non sei cambiato per nulla Gnomo, hai sempre la solita espressione del viso e l'abituale berrettino rosso, forse … sei appena cresciuto di dieci centimetri, ne è passato di tempo dall’ultima volta che ti ho vomitato. Non ti pare? Ricordo che abitavo vicino al mare e dalla mia finestra osservavo l'immenso velo dell'acqua disteso sulla terra. È il caso di svegliarmi solleticandomi con l’ombrellino il naso? Dimmi, che vuoi, altrimenti ti mangio di nuovo e stavolta giuro che non ti vomito e nemmeno mi porterò le dita alla gola.” “Pasqui, quanto tempo senza tempo è passato, sono venuto da te perché avevo nostalgia di vederti e poi ho voglia di discutere con te. Sai, mi sei simpatico, sei un brav’uomo e sei una persona speciale anche se questo tu non lo sai, sei speciale per nascite passate e nascite che avverranno nel prossimo futuro”. “Non prendermi in giro Acino, lo so, che asserisci ciò solo per la paura di essere mangiato, ma non è il caso che t’inventi sciocchezze sulla mia persona”. “No, Pasqui-mi ha risposto-quello che dico è vero, sai noi gnomi non possiamo assolutamente raccontare bugie e questo per noi è ordine divino, credimi è la verità”. Bene-gli ho replicato-allora andiamo a sederci sul morbido divano, ti devo chiedere così tante cose misteriose che non so proprio da dove cominciare”. A passo svelto ho raggiunto il salone con Acino tra le mani, ho acceso le luci e mi son seduto comodo sul divano. La notte fuori era fredda e chiara, il cielo uno specchio azzurro, limpido e mille luci di stelle brillavano intermittentemente senza sosta. Gli facevano compagnia, il vento soffiava forte e mentre quasi tutto e tutti dormivano, noi, io e lo gnomo, ci siamo seduti sul sofà al caldo tiepido del nido casa tra l'odore del tempo che passa. Ho proposto ad Acino di darmi risposte su due temi interessanti, ma prima che glieli elencassi, mi ha risposto che aveva poco tempo a sua disposizione, giusto per una semplice risposta e basta, poi, improvvisamente sarebbe scomparso nei rivoli del tempo futuro senza lasciare traccia alcuna. Mi sono arrabbiato per questo, ma poi, pensandoci mi son detto: questo è! Inutile che mi arrabbi, nulla ci posso fare. E così gli ho chiesto del gioco della vita e quello della morte. Ha riso, poi sbadigliando, il monello ha cominciato a parlare, mi ha detto che l’una esclude l’altra e che appartengono entrambe al mondo dei sogni vissuti nella non realtà, la tangibilità ha ripetuto che è ben altra dimensione ed è quella spirituale, nella quale non siamo limitati dalla macchina corpo; questo ci limita nella nostra vera natura. Rasentiamo la Perfezione giacché figli di Dio, del Quale, nemmeno abbiamo la percezione del Suo governare mondi, sistemi, dimensioni diverse dalla nostra, galassie sperdute, stelle e altro che non riusciamo e forse mai riusciremo minimamente a comprendere del Suo vasto disegno. Ha continuando dicendo che la vita non è altro che una palestra, dove si vive semplicemente per migliorarci e accrescere il nostro amore verso il tutto, in modo che questo poi ci permetta, attraverso varie esistenze, di evolverci nell'amore e di avvicinarci sempre di più allo stesso Dio o meglio alla semplice percezione di tale mistero. La morte è porta d’ingresso per il mondo reale spirituale, essa è liberazione dal corpo e ritorno al reale che è solo spirituale. La morte non dovrebbe portare angoscia, ma gioia e serenità, quando la sentiremo un giorno lontano vicina, ci dovremmo vestire a festa, indossare l’abito più bello e sorridere, essere totalmente contenti di ritornare alle nostre vere origini spirituali. Il tutto ha un disegno particolare per ognuno di noi; ciascuno quando viene al mondo ha già una predestinazione o destino da affrontare e questo è per l'evolversi. Tra dolori e piccole gioie tutto si compie. Sta a noi, vivere la vita in modo giusto, rincorrendo l'amore che è il solo cibo evolutivo che ci avvicina a quello che siamo realmente. Parlandomi di tale argomento, Acino improvvisamente è sparito nel nulla, proprio come accadde anni fa quando lo vomitai. Nell’aria una scia profumata di violette selvatiche ha inondato la casa. Nel cielo le stelle hanno sorriso, tutto mi è apparso chiaro dentro. Sono andato sul terrazzo di casa prima di riaddormentarmi. Sono rimasto per un bel po’ di tempo a osservare le stelle di ghiaccio celeste. Per un po’ ho pregato, poi, ho inviato nel cielo un bacio allo gnomo Acino o piccolo Angelo. Tra me mi son detto: "Spero di rivederti monello prima o poi… non ti lascerò sparire, stanne certo, la prossima volta ti legherò con il filo di oro che non potrai tagliare, legherò così il tuo spirito, le piccole mani e i piccoli piedi.
Una piccola rosa nascente è la vita,
ruba spazio nel terreno con la giovane radice,
cresce rigogliosa,
si arrampica nell'aria per raggiungere il cielo,
di profumo riempie lo spazio,
si mostra vanitosa.
Muove i suoi passi il tempo... nel frattempo.
Si specchia la rosa nelle foglie,
non conosce il suo destino,
perde petali al soffiare del vento.
Piano esala lo spirito,
perde profumo,
barcolla,
a stento si trattiene con forza sull'esile stelo,
si stringe nell'intimo del rosso corpo,
cadono le sue vesti dai soffici petali,
si spoglia ...
Profuma poco nel gruppo delle giovani rose.
Spenta, stanca,
con pochi petali
ancora resta vanitosa,
senza forza s'acquieta. Si aggrappa all'aria per l'ultimo sorriso,
ride di sé tra pochi e ultimi respiri. Infine, china la testa,
si posa leggera sul corpo.
Cade vinta dal tempo,
si distende, poi cede,
alza dalla terra polvere di rosa,
diviene altro percorrendo lo spirito del tempo..
Il mio amore è una corda lunga senza fine,
il mio spirito un rapace dagli artigli taglienti,
vola alto e poco gli importa della futilità del momento,
di quella del tempo e dell'avvenimento;
mira all'eterno.
Sempre in cerca di nuovi cieli,
tra nuvole fumose e la casa del mai-tempo,
cerca il seme del ricongiungimento.
Cerca il primo istante di tutti gli istanti,
prima della radice,
prima che si materializzasse la gabbia dell'io.