Quando Luca entrò nel bar i due giovani, mentre lo salutavano, tradirono un'evidente emozione.
Luca andò al tavolino dov'erano seduti e, senza neppure guardarli in volto, prese fra le mani un giornale che stava, aperto, di fronte ad uno di loro.
Lo sfogliò distrattamente, poi, quasi stesse parlando con sé stesso, disse: “ la non omogeneizzazione della sinistra ha prodotto una cultura decadentista stalinista ed il teatro si è adeguato al nuovo corso della borghesia”.
Di fronte a questa affermazione i due giovani rimasero perplessi e senza parole, finchè, quello che sembrava maggiormente collaudato nel rapporto con Luca, non esclamò “ hai visto il film con Moretti?” “ Certo! Ma non mi è piaciuto, è troppo pervaso di reminiscenze tardo sessantottine che lo rendono vetero- Marxista” egli rispose.
L'altro giovane manifestava una chiara irrequietezza, si capiva che avrebbe voluto partecipare alla conversazione, ma l'eccessiva elevazione del linguaggio lo inibivano dal farlo, per timore di sfigurare difronte a tanta intelligenza.
Si limitava perciò a fingere attenzione, mandando di tanto in tanto un sorriso di approvazione.
Quindi Luca, riposto il giornale sul tavolo, mentre si avviava verso l'uscita, aggiunse “ il ventotto ricordatevi di andare a Spoleto” e scomparve.
Luca era divenuto, per tutti coloro che nutrivano delle velleità intellettuali, una sorta di inarrivabile simbolo di cultura e di vita.
Era un po' un mistero la ragione dell'alta considerazione di cui era stato investito.
Le sue vaghe e mai ben definite esperienze sessantottine avevano proiettato sulla sua immagine un alone di mito.
Dapprima fu uno sparuto cenacolo di intellettuali, a cui anch'egli apparteneva, a riportare il suo nome con un tono di sacralità.
Nel commemorare quegli antichi avvenimenti, di cui essi erano le presunte avanguardie, lo citavano con ieratico rispetto e con narcisistico compiacimento, per aver anch'essi goduto della grazia di averlo avuto al proprio fianco.
Quel primo incensamento gradualmente si propagò e coinvolse tutti coloro che cercavano immagini di riferimento.
Per tutti costoro egli divenne il precursore per antonomasia, il Cohen Bendit nostrano, il Verbo, l'intelligenza eterea e pura.
Concretamente nessuno avrebbe saputo dire in maniera chiara che cosa egli, di veramente notevole, avesse manifestato per conseguire un tale crisma.
Ma questo interessava ben pochi, perlomeno ben pochi di quanti avevano provveduto a costruirne l'immagine, in quanto la loro stessa immagine si alimentava della luce riflessa che egli irradiava.
La vita di Luca non era stata caratterizzata da un percorso facile e lineare, tuttaltro.
La sua era stata una famiglia molto conflittuale e contrastata, i suoi genitori, dilaniati da insanabili conflitti interiori, lo lasciarono per molti anni in balia di una contorta incertezza educativa ed affettiva.
Il suo sviluppo restò perciò per sempre segnato da un doloroso vuoto primario che, spegnendo la sua infantile naturale esuberanza, lo portarono a ricercare, con ossessione, intellettualistiche compensazioni.
Questo suo degrado interiore era apertamente palesato da inequivocabili segnali che egli inviava attraverso il corpo ed i comportamenti.
Alcuni tic nervosi che, nei momenti di maggior tensione emotiva, non riusciva assolutamente a controllare, una perenne volontà di fuga dal confronto e dalla relazione che, seppure sapientemente mascherata, occhi attenti non avrebbero tardato a svelare.
Ma per tutti i suoi estimatori questi segnali di chiara matrice patologica non erano altro che un'ulteriore conferma della sua genialità, come se la sua mente cercasse in quel modo di dilatarsi al di là dei confini prefissati per l'umana specie.
Lui, in verità, era tuttaltro che rapito da celesti ed ideali dimensioni, aveva soltanto sviluppato quel particolare codice di comportamento in modo del tutto casuale, riscontrando come esso lo rendesse oggetto di incondizionata approvazione.
Aveva assoluto bisogno del plauso e del calore del mondo circostante onde poter fuggire l'angosciante ricordo del vuoto primario.
Ma questa fuga lo portava inesorabilmente sempre più lontano da sé stesso, per rafforzare quella sua immagine, tendeva a schiacciare sempre più nel fondo i suoi bisogni veri.
Stava ormai completamente dimenticandosi chi veramente era, la maschera che altri gli avevano fatto indossare lo aveva solidamente protetto dagli invisibili tentacoli della sua dimensione nascosta, e ci si era affezionato, tanto da quasi confondersi con essa.
Ma era quotidianamente costretto ad un immane sforzo per non consentire a nessuno di svelare il segreto della sua intima debolezza.
Non avrebbe permesso a nessuno di conoscerlo veramente, di esaminarne attentamente la consistenza dei pensieri.
A lui venivano attribuite le più sorprendenti capacità intellettuali ed un'anticonformistica e coerente scelta esistenziale, ma queste opinioni erano frutto esclusivo di un pregiudizio che senza mai essere da alcuno dimostrato si era lentamente imposto.
In realtà egli non era mai stato identificato e non aveva mai fatto nulla per farsi identificare.
I suoi discorsi fumosi ed indecifrabili, seppure adornati con un linguaggio dotto e ricercato, non chiarivano alcunché dei suoi pensieri.
Nonostante fosse considerato senza ombra di dubbio uomo di sinistra, ragioni veramente logiche ed obiettive per poter affermare ciò non ne esistevano.
Non si era mai sbilanciato con scelte veramente impegnative e coinvolgenti, con un attivismo energico, intraprendendo iniziative e lotte chiaramente definite.
Tutta la sua operatività si risolveva in un vano ardore parolaio e salottiero.
La sua presunta bellezza, unita all'alone di mistero da cui era circondato, lo rendevano una preda ambita da molte donne del paese.
Il suo libertinaggio le attirava, in lui vedevano la trasgressione ed il peccato e la possibilità di assaporare il piacere allo stato puro, di volare nel paradiso delle carnali sensazioni dimenticando calcoli e limitazioni.
Come per lui era molto importante collezionare sempre nuovi fatui amori, per sempre più irrobustire la sua immagine, anche queste si sentivano arricchite di prestigio e considerazione per il fatto di essere state sue compagne, seppure occasionali.
Era come se, l'aver condiviso una notte con lui, le avesse rese partecipi del suo mito.
Poco importava se tutto non era che una recita, in cui egli cercava di corrispondere con delle prestazioni degne della sua fama.
Si gestiva nell'alcova con grande disinvoltura, era sessualmente molto disinibito e giocava con il suo e l'altrui corpo con grande sapienza ed esperienza amatorie.
Tutto però si risolveva in una, seppur splendida, finzione.
I cuori di entrambi gli amanti restavano chiusi e freddi e nel momento del commiato erano l'un per l'altro dei perfetti sconosciuti.
Nessuno avrebbe mai potuto supporre quanto egli in realtà si sentisse infelice.
Il mascheramento che da molti anni portava avanti gli pesava sempre di più, ma ormai non avrebbe più saputo come liberarsi di quel ruolo.
In molte occasioni avrebbe desiderato rilassarsi, lasciarsi andare a confidenze, chiedere aiuto a qualcuno, ma poi, inevitabilmente, qualcosa lo costringeva a ripetere il suo copione.
Come si sarebbe sentito ridicolo dovendo ammettere problemi e debolezze e gli sembrava persino impossibile che qualcuno lo potesse accettare così diverso, da com'era stato dipinto.
Questa tensione interiore era a volte tanto forte da offuscargli la mente, si sentiva invaso da una tremenda confusione in cui non riusciva più né a concentrarsi, né a provare interesse per nulla, sempre più spesso violente emicranie gli rovinavano la giornata e non sapeva spiegarsene la ragione.
Eppure all'inizio tutto gli appariva solo come un semplice gioco, un gioco che avrebbe potuto iniziare ed interrompere a piacimento.
Pensava che, con un facile atto di volontà, sarebbe stato in grado di travestirsi e rivestirsi senza alcun problema.
Ma, senza quasi accorgersene, si trovò tanto immerso nel copione da perdere quasi il ricordo della sua prima dimensione.
Aveva cercato di fermarsi a riflettere sulla propria condizione, qualche volta aveva anche recuperato un profondo contatto con sé stesso, ma poi, inevitabilmente, le situazioni si erano reimpadronite di lui fino a piegarne definitivamente ogni capacità di reazione.
Con il trascorrere del tempo anche la sua attrattiva fisica era andata affievolendosi e la contemporanea ascesa di nuovi miti, più caldi e attuali, lo avevano privato di gran parte del suo fascino.
Aveva fatto il suo tempo, non era più conteso e ricercato come prima e cominciò a sentirsi tradito e abbandonato.
Una sera, in cui era particolarmente triste e solo, telefonò ad un'amica.
Aveva trascorso molte notti con Serena e pensò che lei avrebbe risposto al suo invito con calore ed entusiasmo.
Restò invece molto sorpreso e ferito sentendo nella sua voce un velo di diffidenza e di fastidio.
Quando, poco tempo dopo, Serena arrivò a casa di Luca, lui era visibilmente nervoso ed agitato.
Nella stanza regnava un grande disordine, c'erano libri sparpagliati un po' ovunque e molta polvere sul pavimento che indicava come da tanto nessuno si curasse di pulire.
Qualcosa, ormai ignoto, lo spingeva ad andarle incontro chiedndo di essere abbracciato, ma ignorò quel messaggio interiore e mantenne un atteggiamento di spavalda sicurezza.
“ Ho riletto quel passo di Marx e penso che senza la rivoluzione russa noi oggi non saremmo qui a parlare” disse improvvisamente.
Tempo prima Serena avrebbe percepito quel discorso con rispetto e reverenza, si sarebbe sentita onorata che un uomo della sua cultura provasse interesse per lei, adesso invece sentì soltanto che quello era un discorso senza senso, insulso e vuoto.
Non aveva alcun desiderio di prolungare ancora quell'incontro e di dargli corda nei suoi interminabili sproloqui.
Quanto, in un dato momento, voleva prendersi da Luca l'aveva preso, ora, guardandolo senza gli antichi infingimenti, lo trovava insignificante e persino neanche tanto intelligente.
Ruppe gli indugi e, con parole gentili ma decise, gli disse “ Scusami, ma ora me ne vado, forse ci incontreremo un'altra volta”.
Stava per aprire la porta quando Luca afferrandola per un braccio la tirò verso di sé e contemporaneamente, con voce nervosa e tremante singhiozzava “ non puoi andartene, se ti ho chiamata è perchè ti volevo con me, io non sono uno qualsiasi, non mi lascio trattare così...ora ho voglia di fare l'amore ed è impossibile che anche tu non desideri farlo con me!”
Era sconvolto, i suoi occhi esprimevano impotenza che andava sempre più trasformandosi in incontrollabile rabbia, dentro di lui non riusciva ad accettare l'idea che qualcuno potesse opporgli un rifiuto.
Serena era spaventata, capì che non era più in grado di ragionare e perciò decise di assecondarlo.
Si trasformò senza troppa fatica, da dura e decisa divenne dolce e gentile, lo accarezzò, lo prese per mano e lo guidò verso il suo letto.
Partecipò senza calore, fingendo di provare quello che non provava, recitò con grande maestria tanto che lui non si accorse di nulla.
Luca si esibiva con le più spregiudicate esternazioni amatorie, sembrava vivesse il tutto come una difficile gara dove doveva dimostrare che nessuno avrebbe saputo essergli pari.
Finalmente tutto si concluse con grande sollievo di Serena, lo gratificò con tutti quei complimenti a cui ormai aveva intuito egli era sensibile.
La sua rabbia si era placata, si sentiva completamente appagato, certo di essere stato, come sempre, all'altezza della situazione.
Soltanto allora Serena potè tornarsene a casa.
Quando l'autoambulanza arrivò a sirene spiegate, non era trascorsa che un'ora da quando lei se n'era andata.
Mentre i due nerboruti infermieri lo trascinavano fuori di casa senza tanti complimenti, Luca urlava come un ossesso.
“ Questo è un sequestro di persona, vi pentirete di quello che state facendo... vi fanno paura le mie idee? E' per questo che volete farmi sparire? Non fermerete comunque la rivoluzione! Sono troppo intelligente, nessuno mi potrà fermare...”