Elisa aveva sempre subì to il fascino delle storie che raccontano i grandi amori del passato… Non le era mai capitato, pensò, di ritrovarsi a sfogliarne inaspettatamente una, e non sulle pagine di un romanzo! - Certo che l’ effetto è indubbiamente quello di centuplicarne le emozioni. Fino a renderle davvero indefinibili - considerò fra sé -
O, almeno, cosi era stato per lei. Ma andiamo con ordine. Elisa era una giovane maestra ai suoi primi esordi professionali. La dura “ gavetta” era la norma, quindi, dato che il piccolo paese di montagna dove avrebbe dovuto insegnare si trovava a parecchi chilometri di distanza dalla sua città natale e i collegamenti coi mezzi pubblici per raggiungerlo, all’ epoca, erano inesistenti, decise, per quell’ anno, di stabilirsi sul posto. D’ altra parte, insofferente com’ era sempre stata fin da piccola ai veicoli di qualunque tipo, sottoporsi ad una “ spola” quotidiana di quel genere era assolutamente impensabile.
E per una ragazza di vent’ anni, in quella piccola altura verdeggiante sperduta nell’ entroterra della Sicilia, il massimo degli alloggi sicuri a cui si potesse aspirare risultava essere uno solo: “ Zia Peppina”. Zia Peppina era un’ anziana signora di settantasei anni. Viveva da sola ed era conosciuta e stimata da tutti, nel luogo, per la sua educazione e le sue origini familiari rispettabilissime. Possedeva una grande casa di antica costruzione, situata proprio sul poggio più alto del paese.
E cedeva in affitto alcune camere che riservava ad insegnanti provenienti da altre sedi. Esclusivamente di sesso femminile! Unica, indispensabile referenza richiesta: quella di appartenere a famiglie per bene.
La prima cosa che colpì Elisa, entrando in quella casa, fu un’ enorme gigantografia che ritraeva un giovane militare con tante medaglie attaccate al giubbino: portamento fiero, baffi alla Giuseppe Garibaldi e uno sguardo profondo… Che scopriva due occhi scuri, scintillanti, come laghi nella notte illuminati dalla luna…
Eppure, a bene osservarli, ad Elisa parve di scorgervi una nota di smarrimento che, a tratti, sembrava tradirne la fierezza del portamento. La donna, nel suo lungo castigatissimo abito nero, sortì nella ragazza l’ effetto immediato di un brivido di paura… Ed Elisa ebbe come l’ impressione che nel suo gesticolare, timido e impacciato, trasparisse un mesto senso d’ inadeguatezza al confronto della giovialità dei suoi vent’ anni. Tuttavia, man mano che l’ anziana signora parlava e si muoveva per fare gli onori di casa e per mostrarle la sua camera, quel primo impatto negativo andava affievolendosi sempre più. “ Zia Peppina” era minuta e piccola di statura; l’ ovale del viso, diafano e scarno, mostrava abbondantemente i segni del tempo. I capelli grigio- perla, raccolti a crocchia dietro la nuca, accentuavano il taglio degli occhi a mandorla, di un turchese acquoso, che facevano pensare alla cheta distesa del mare solitario quando prega… Nello scorrere dei giorni, la discrezione di quella donna, la delicatezza dei suoi comportamenti, del suo modo di porgersi, la sua vita taciturna e solitaria, quasi avesse sempre il timore di disturbare, iniziarono a suscitare nel cuore di Elisa un sentimento di tenerezza, in cui si stava insinuando, a poco a poco, la crescente curiosità di conoscere qual mistero si celasse dietro la storia di quell’ esile figura femminile assai particolare. Un pomeriggio, Zia Peppina bussò lievemente alla camera della giovane, com’ era solita fare quando doveva comunicarle qualcosa di assolutamente formale, come ad esempio che stava per recarsi in chiesa o che si tratteneva un po’ presso la famiglia del suo unico fratello. Invece, con sua grande sorpresa, Elisa si sentì chiedere: - Ti andrebbe un tè in mia compagnia? - Ma certo signora, lo accetto volentieri - la incoraggiò. - Lo sa che è proprio bella questa tovaglietta ricamata? – Si complimentò la ragazza -Di rimando, gli occhi visibilmente commossi della donna, parvero scintillare d’ una compiaciuta nota di orgoglio, e il suo sguardo si levò verso la parete dove l’ uomo della gigantografia stava osservando le due donne.
- Lui è Tury - disse, all’ improvviso... I miei genitori non volevano che lo sposassi a causa della mia giovanissima età. Ma io lo amavo, e fuggii con lui senza il loro consenso. Fuggii col mio grande amore. Presto furono stabilite le nozze, cui seguirono due mesi di assoluta felicità. Era tutto un gaudio la mia vita! E gorgoglio di fiori, ruscelli, viottoli cosparsi di petali e sorrisi… Di uccelletti che cinguettavano i risvegli del mattino… Di campane a festa che rintoccavano sul cuore…
Era così perfetta quella felicità, che temevo, oh sì, temevo potesse spezzarsi l’ incanto...
E ad inchiodare il cuore giunsero, infatti, ben altri “ rintocchi di campane”… Era la guerra.
Avevo imparato a cucire e a ricamare fin da bambina, così trascorrevo le mie giornate in attesa trepidante delle lettere d’ amore del mio Tury - continuò la donna -Poi una notte feci uno strano sogno: Tury era stato ferito ad un braccio. Ne era stata ritenuta indispensabile l’ amputazione.Versava in tali gravi condizioni presso l’ ospedale militare del luogo, dove la guerra consegnava giovani vite fra le braccia della morte.
Mi svegliai sudata e ansimante… E partii senza attendere neppure che giungesse la notizia. In ospedale qualcuno cercò di dissuadermi ad entrare, ma io dissi che ero al corrente di tutto. E tutto si rivelò esattamente come nel sogno…
Ad eccezione di un solo particolare: l’ amputazione al braccio non era riuscita a fermare la cancrena.
Tury spirò fra le mie braccia… Con l’ unica gioia di avermi rivista… Quel che mi accadde, immediatamente dopo il funesto evento, non saprei dirlo con certezza… Ricordo di un cucchiaino con il quale mia sorella, con molta pazienza, cercava di alimentarmi, benché non rispondessi in alcun modo al richiamo della vita. Perdevo peso a vista d’ occhio, fino a ridurmi l’ ombra di me stessa. - Da questo momento in poi non mangerò neppure io - tuonarono una mattina le parole di mia sorella Giovanna - riprese a raccontare la donna. - E tu morirai col peso sulla coscienza per il rimorso della mia morte.
Non volli crederle e non avevo neppure la forza di reagire, ma in un barlume di lucidità, un giorno, mi resi conto che faceva sul serio. Giovanna, per amore mio, era entrata nello stesso tunnel dell’ anoressia. E quella fu la molla che mi fece riemergere gradatamente alla vita, recuperando così anche la sua. Da allora continuai la mia vita, cucendo e a ricamando per la gente. La clientela divenne sempre più folta, perché i miei lavori venivano considerati vere e proprie opere d’ arte. Ed insieme al lavoro fioccarono anche molte richieste di matrimonio per me. Erano giovani del paese e del circondario seriamente intenzionati - si schernì l’ anziana signora, imporporandosi teneramente il viso…
- Ero molto carina, sai? - Concluse infine. - Che ciechi a non capire! Esclamò poi, d’ un tratto…
Volando, di nuovo, con lo sguardo umido e turchese del mare solitario quando prega, verso i laghi illuminati dalla luna…