Nelle due settimane di vacanza in campeggio, ogni mattina, all’ alba, Silvia si recò sulla spiaggia.
Superato il primo momentaneo senso di ribrezzo che provava al contatto dei piedi con l’ acqua fredda, poteva poi camminare per un’ ora intera sul bagnasciuga, fermandosi di tanto in tanto a raccogliere piccole pietre da collezionare, come faceva ormai da anni. Sembrava che le chiedessero di essere raccolte: una per la sua forma singolare, l’ altra per le particolari sfumature del colore, l’ altra ancora per la regolarità dei suoi contorni, limati dall’ attrito con le onde o, al contrario, per la bizzarria delle scanalature, che la rassomigliavano ad un animale o ad un fiore.
In molti angoli della casa aveva sistemato con cura ciotole di terracotta di varia dimensione, piene di pietre di mare, e persino grandi conchiglie in cui riponeva quelle più minute e fragili.
Mentre passeggiava sulla spiaggia, teneva gli occhi sulla battigia e le pietre si offrivano silenziose al suo sguardo, richiamandone l’ attenzione, perché si chinasse a raccoglierle, senza tuttavia interrompere il flusso dei suoi pensieri. La mente e il corpo procedevano come su due binari paralleli, in perfetta sintonia eppure conservando ciascuno la propria autonomia, senza interferenze o sovrapposizioni.
Le pietre più belle - pensò - rimanevano tuttavia quelle raccolte sullo Ionio, per la loro trasparenza quasi artificiale. Azzurrine o madreperlacee, rosate o di un lieve ocra alcune, altre di un rosso acceso o nerissime e opalescenti, come coralli e onici. A Copanello la spiaggia ne era completamente disseminata e bisognava resistere alla tentazione di raccoglierle tutte.
Quell’ estate dell’ ottantadue sarebbe rimasta indelebilmente scolpita nella sua mente come la svolta, l’ ultimo momento di indecisione e di perplessità prima di rimettersi in cammino sulla strada della vita.
Anche allora aveva l’ abitudine di recarsi sulla spiaggia, all’ alba e poi di sera, dopo cena. Rimaneva là da sola per ore a guardare il mare frangersi pigro sugli scogli. Seduta sulla sabbia, con le ginocchia strette al petto, lasciava che gli occhi vagassero sulla distesa argenteadell’ acqua, che all’ orizzonte pareva congiungersi al cielo. Quella solitudine, in fondo, non le dispiaceva, perché le permetteva di nutrirsi della sua malinconia e di abbandonarsi completamente ai ricordi, senza provare sensi di colpa o rimorsi nei confronti di chicchessia.
-- Se è vero che l’ albero dei ricordi non dà frutti, ciò non riguarda altri che me – si ripeteva e provava persino un senso di infantile orgoglio nel considerare il sacrificio a cui si era votata, dopo il fallimentare tentativo di riappacificazione con Marco, in occasione dei funerali del vecchio nonno. Basta con i tentativi miserabili di ricucire trame sfilacciate; sarebbe vissuta per sempre da sola, appagandosi del ricordo di Lorenzo e del loro grande amore impossibile.
Ma in quei giorni di Copanello, guardandosi intorno e osservando la vita degli altri, che si manifestava gioiosamente sotto innumerevoli forme, cominciò a sentir vacillare dentro di sé quei severi propositi di auto esclusione.
Ermanno Frattini contribuì a risvegliare in lei l’ autostima e la riportò al presente, al suo presente di donna ancora giovane e piuttosto attraente.
Ermanno era milanese, impiegato in una fabbrica che ora non ricordava più, e trascorreva le vacanze nello stesso campeggio. Era un bell’ uomo davvero, il viso dai tratti decisi, con grandi occhi azzurri e un sorriso aperto e cordiale. Si innamorò di lei a prima vista e non faceva che gironzolare da mattina a sera intorno alla sua tenda, benché fosse sposato e padre di un bambino dolcissimo, esile e delicato.
Silvia sapeva bene che l’ infatuazione di Ermanno, nient’ affatto incoraggiata da lei, era destinata a svanire non appena fosse ripartito per tornare alla realtà di sempre. E tuttavia l’ episodio la indusse a riflettere sul peso che il passato può esercitare sul presente e sul futuro degli individui, ed ebbe il salutare potere di risvegliare in lei la speranza .
Quel giovane che si era innamorato di lei, al di là degli ostacoli che razionalmente si opponevano alla realizzazione del suo desiderio, le dava una lezione importantissima sul ruolo che l’ istinto naturale alla vita e all’ amore esercita sugli esseri umani. Per un momento in lui doveva persino essersi affacciata l’ idea di poter rinnegare il proprio passato e il proprio presente, proiettandosi con la fantasia in un futuro che l’ emozione momentanea dell’ animo lasciava immaginare molto più gratificante e stimolante con quella donna accanto .
Con una serenità nuova rifletteva in quei giorni su tutto quanto le era accaduto negli ultimi dieci anni e andava riconsiderando molte delle sue teorie relativa all’ amore e alla sua presunta unicità e irripetibilità.
Non dobbiamo rinnegare un amore che è stato grande – si ripeteva quasi ad auto convincersi di ciò che andava dicendo a se stessa - ma nemmeno rendercene schiavi. Spetta a noi farne l’ uso che reputiamo più opportuno. Cosa debbo fare io adesso? Vivere nel passato e morire dentro lentamente, come sto facendo giorno dopo giorno, oppure servirmi delle mie sofferenze, delle delusioni, ma anche di tutti i miei sogni e di tutte le esperienze vissute per tornare al presente, alla vita, per restituirmi a me stessa?
Per troppo tempo era rimasta ferma come in uno stato di pausa, bloccata dalla paura di soffrire di nuovo, ma adesso tutto il suo essere chiedeva di vivere ancora e le suggeriva, ormai disincantato, di seguire strategie diverse rispetto a quelle fallimentari del passato, per raggiungere ben altre mete. E in questo sforzo di volontà e di vita Annalia le fu di grande aiuto.
Con Annalia aveva viaggiato due anni interi, dal settantasette al settantanove, per raggiungere la scuola dove entrambe insegnavano come supplenti . Quella frequentazione aveva consolidato la loro amicizia, nata ai tempi del corso di abilitazione, al punto che l’ una non poteva nascondere all’ altra neppure il più intimo pensiero. Ad Annalia aveva confessato il suo sogno segreto di poter ritrovare Lorenzo, a lei aveva rivelato tutto di Raffaele, proprio lei aveva colto nei discorsi di Silvia i primi indizi del suo interesse nei confronti di Riccardo. E lo aveva alimentato in ogni modo, convinta che fosse l’ uomo giusto per la sua amica, il compagno capace di ridarle fiducia nella vita e negli esseri umani. Stimava profondamente quel giovane, non solo per la sua estrema perizia nel campo della legislazione scolastica, che gli permetteva di risolvere qualunque problema gli venisse posto, ma anche e soprattutto per la disponibilità nei confronti del prossimo, che gli aveva guadagnato il rispetto di tutti.
Confortata, dunque, anche dall’ incoraggiante assenso di Annalia, si era decisa a fare il primo passo e da Scilla gli scrisse una cartolina: “ Qui è bellissimo. Si può sentire ancora il canto delle sirene.”
Riccardo non chiuse come Ulisse le orecchie per non essere ammaliato. Ulisse aveva già la sua Penelope e da lei voleva tornare; Riccardo voleva cedere all’ incanto, finalmente.
Quel settembre avrebbe avuto inizio la bella storia che ancora stavano vivendo.
Un’ onda più fragorosa delle altre le percosse le braccia, mentre si chinava a raccogliere una piccola pietra rossastra, e l’ acqua schiumosa schizzò in una miriade di gocce salate sul suo viso accaldato.
Il brusco ritorno al presente non fu che un trampolino di lancio verso un’ altra dimensione temporale, un tuffo inaspettato nel passato più recente, sei anni, due prima di quel mattino, e in quel passato ancora la ricerca disperata della pienezza interiore e lo sconsolato disinganno.
Altri volti, altri nomi, e dietro fisionomie diverse sempre la stessa inappagata aspirazione a quell’ intima armonia che la sua mente concepiva come meta ultima del vivere e che il quotidiano, minimo e meschino, tradiva e schiacciava miseramente.
Aveva sperimentato la finitezza di ogni cosa, anche dei sentimenti che lei stessa avrebbe giurato eterni e irripetibili, ma che alla prova del reale si erano rivelati molto meno nobili e alti del previsto. Persino il tradimento può vestirsi dei paramenti sacri della ineluttabilità.
Guardò il mare appena increspato e le piccole onde che si rincorrevano, bianche di schiuma, fino ad accavallarsi l’ una sull’ altra alla riva e le parvero labbra distese in un ampio sorriso.
Il vecchio gigante ride di me e dei miei sogni - pensò – ed ha ben ragione di farlo. Da quante estati mi vede camminare sulla spiaggia, da quante mi sente ripetere i medesimi discorsi? Da quanti millenni li ascolta e non può far altro che sorridere degli uomini e delle loro illusioni?
Allora rise anche lei, di sé stessa e di tutti e di tutto; poi decise di tornare bambina per qualche minuto, il tempo di fare un gioco antico quanto il mondo: diede un nome alla sua insoddisfazione e con una pietra affilata lo scrisse in fretta sulla sabbia, prima che un’ onda più lunga delle altre lo coprisse e lo cancellasse, rifluendogli intorno in una sorta di circumambulazione apotropaica.