Quelli dell’infanzia erano stati anni veramente felici. Ne era certa, al di là degli effetti benefici che il passare del tempo può produrre sulle cose .
Con un minimo sforzo di concentrazione, isolando il proprio animo da tutto ciò che di presente lo circonda, abbandonandosi al flusso lento delle immagini e delle sensazioni che da lontano vengono a toccare la riva della coscienza momentaneamente liberata dalle distrazioni del contingente, è possibile ricordare molto più di quanto si possa immaginare .
Ebbe una prima percezione della straordinaria capacità della mente umana di spingersi indietro negli anni quel pomeriggio, riordinando uno scaffale della libreria grande, pieno zeppo di documenti, relazioni ormai datate, cartacce inutili , un vero bazar. La scuola era terminata ormai da un mese e non si poteva più rimandare quel lavoro; ogni scusa sarebbe stata un alibi per nascondere la sua pigrizia e nient’altro.
Quello che doveva essere un veloce lavoretto di pulizia domestica si trasformò involontariamente in un magico, affascinante recupero memoriale grazie a delle vecchie fotografie in bianco e nero, che conservava gelosamente in una scatola di cartone, proprio in fondo allo scaffale.
In una di quelle molto piccole, con gli orli a smerlo, sei centimetri per nove, era ritratta mentre sedeva con gran sussiego su una moto tedesca, dotata di parabrezza e sidecar, accessoriata da suo padre in modo che risultasse originale e potente. Non c’era data sul rovescio della foto, ma doveva trattarsi certamente del cinquantadue: aveva dunque tre anni.
Capelli biondi, con i riccioli fermati alla sommità del capo da un nastro annodato e un abitino ampio col colletto e i polsini bianchi, era davvero una bambolina. Molto capricciosa talvolta, a sentire sua madre, ma vivacissima e pronta a trasformarsi all’occorrenza in un piccolo scugnizzo oppure in un angioletto Malgrado fosse una femminuccia, suo padre ne era molto fiero e cercava di insegnarle tutto quello che avrebbe potuto insegnare ad un figlio maschio.
Eccola, allora, a tre anni, sedere sulla moto, eccola brandire orgogliosa una racchetta da ping pong, pedalare veloce su un triciclo di legno costruito proprio per lei, e in seguito piallare, martellare, inchiodare tavolette di legno, seduta accanto a lui al tavolo da lavoro nel grande solaio con il soffitto ricoperto di travi massicce.
Tra gli avvenimenti più densi di affascinante mistero della sua prima infanzia ricordava, per quanto in maniera molto nebulosa, la rituale smielatura delle arnie, che suo padre compiva in estate, da esperto apicoltore. L’idea di allevare api era nata in lui con quell’incontenibile entusiasmo, accompagnato dalla certezza della riuscita, che l’avrebbe spinto, nel corso della sua lunga vita, ad intraprendere e a portare a termine tante altre iniziative . Pensò che non era cambiato un granché, quel suo straordinario vecchio. Solo qualche mese prima sua madre le aveva raccontato, con profondo sconcerto e con l’ansiosa preoccupazione di chi è impotente di fronte ad un mistero della natura, che si era avventurato in un altro volo sul monoplano del suo amico ingegnere, in barba agli ottant’anni che avrebbe compiuto in agosto!
L’allevamento di api in Centrale era favorito dalla presenza di innumerevoli piante di acacia, dai fiori bianchi e profumati, ricchi di un nettare prezioso e dolcissimo. Le cassette degli alveari erano su un poggetto erboso, dietro la casa, tra la grotta , in cui sua madre e gli altri abitanti del villaggio si rifugiavano durante i bombardamenti della Seconda guerra mondiale, e il pollaio.
Ricordava come in un sogno molto divertente suo padre, equipaggiato per l’impresa della smielatura : sul capo una paglia a larga falda munita di una fitta rete protettiva per il viso; un giaccone di tela spessa e i guantoni alle mani. Saliva alle arnie e con un magico soffietto affumicava le inconsapevoli api, che assistevano immobili alla rapina del loro miele. Dopo tanto lavoro doveva essere assai mortificante per le poverine vedersi derubare così!
Una volta superato il terrore che qualcuna, svegliandosi dal suo torpore, potesse pungere l’adorato papà, le operazione successive erano per lei puro divertimento. I favi, fatti roteare velocemente con una manovella in un bidone costruito in maniera artigianale, lasciavano colare nel fondo un miele purissimo , dorato e lucido . Al solo guardarlo ne sentiva la pungente dolcezza sulla lingua e già assaporava, con la possente fantasia dei bambini, le caramelle che sua madre avrebbe preparato per lei , mescolando a quel miele dorato lo zucchero necessario perché acquistassero la consistenza giusta e conservassero la forma data loro dalle sue dita esperte.
Mentre compiva il certosino lavoro di riordino dello scaffale, ponendo gran cura nel selezionare le cose che valeva la pena conservare e gettando in un sacchetto per la spazzatura il resto, Silvia pensò che sarebbe stato bello poter fare la stessa cosa del proprio passato: considerarlo nel suo insieme, analizzarne i particolari e poi, come si fa, appunto, riordinando un cassetto, svuotarlo di tutto ciò che risulta ormai ingombrante e inutile, di tutto quanto si sa di non dover usare più, compreso ciò che si preferirebbe, con l’infallibile senno del poi, non aver mai riposto in quel cassetto, cose la cui sola vista fa male agli occhi …e al cuore.