Goffredo odiava le donne.
Forse era a causa del suo nome, chè, ogniqualvolta si presentava a qualcuna, questa non sapeva trattenersi da un canzonatorio sorriso; malagrazia dei tempi, fosse vissuto nell'età delle crociate questo non sarebbe certo accaduto...
ma sarebbe troppo semplicistico ridurre un tale odio ad una ragione così banale... anche perchè Goffredo odiava, o aveva odiato, anche gli uomini al pari delle donne...
anzi all'inizio della sua vita erano stati soprattutto gli uomini che aveva odiato, mentre alle donne riservava quasi un amore smisurato e di certo irrazionale, forse idealizzato, come spesso si dice...
poi, via via che il tempo passava, mano a mano che l'esaltazione scemava e la riflessione saliva, era diventato sempre più comprensivo verso gli uomini, che vedeva sempre più come dei sempliciotti un po' stupidi, che seppure a volte parevano cattivelli, erano fondamentalmente buoni, solo che mancavano di idee proprie e bastava molto poco alle sapienti mani per infiammarne gli spiriti...
e così, mentre l'odio per gli uomini diventava sempre più tollerante e comprensivo, fino a trasformarsi in benevolo compatimento, prendeva corpo e cresceva, sempre più, quello per le donne...
era stato un processo lento, ma inesorabile... se era diventato così grande era stato soprattutto per contrasto con l'iniziale amore idealizzato e perchè sempre più, rifletteva, le sentiva colpevoli dello sfaldamento del suo ideale, a differenza degli uomini non riusciva a pensarle stupide, e che, se lo erano, era solo perchè pensavano più comodo vivere così...
tante volte aveva provato immenso piacere a parlar con loro, poteva parlar di tante cose altrimenti senza voce, ma era tutto circoscritto e intorno tanti steccati, come se aldilà vi fosse uno spaventoso burrone, oltre il quale era vietato andare ed allora quel piacere era subito sparito, perchè il piacere misurato alimentava frustrazione....
gli salivano i fumi alla testa soprattutto davanti all'ostinazione, alla loro cavillosa convinzione che non vi fossero nè steccati, né burroni, ma che fosse tutto giusto e fuor di discussione...
così, piano piano, tutto quello che prima gli pareva etereo e sognante cominciava per lui ad essere ridicolo e arrogante...
era come se all'improvviso avesse cominciato a vedere con quegli occhiali speciali che fan vedere l'invisibile, e gli sembrava di veder appunto l'invisibile, e gli pareva di veder oltre la superficie delle cose, ed oltre quelle meravigliose sembianze non restava che uno scheletrino rinsecchito...
per non soffrire troppo aveva trovato un lavoro dove di donne non ci fosse neppure l'ombra, ma non bastava, era oggettivamente impossibile tenerle tutte alla lontana erano troppe e dappertutto, e gli capitava di vederne arrivare qualcuna e allora, con qualche scusa, andava a nascondersi in qualche angolo buio, finchè non fosse scampato dal pericolo...
era più forte di lui, non le sopportava proprio, quando arrivavano sapevano sempre tutto, e il più delle volte senza saper niente, e volevano quello che volevano, e se non c'era, non c'era verso di conciliare in altro modo, e cavillavano su mille particolari senza senso, come se tutto il mondo avesse dovuto farsi in quattro, anzi in otto, per accontentare i loro capricci... e in questo erano spietate, non perdonavano niente e nessuno....
Con la sua vista, che ormai pareva un microscopio, aveva preso ad indagare su tutto, diventando a sua volta cavilloso, non c'era più nulla che gli andasse a genio ed in ogni particolare trovava spunti per nutrire il suo fastidio...
ce n'erano alcune che trovava proprio insopportabili... erano quelle con più puzza sotto il naso, che, a forza di salire, si erano rese inaccessibili, avevano cosparso la via per arrivare al loro castello di ogni sorta di leziosi orpelli... e tutto era aggrovigliato e complesso, e solo ad esperti scalatori sarebbe stato concesso, forse, sempre forse, perchè in ogni angolo si celavano trabocchetti ed inganni, forse sarebbero arrivati a quella cima... ma imperterrite continuavano a salire, fino a tagliarsi anche gli ultimi ponti alle proprie spalle... eppure, ne era certo, il loro più grande desiderio, forse l'unico, era quello di sprofondare nella melma, di rotolarsi nel fango, e perdere ogni senso della misura...
ma che disgusto infangarsi e solo complicando all'inverosimile la loro arte dell'amore, sarebbero potute arrivare a toccare i loro bassifondi... ma ormai chi le seguiva più, bastava sbagliare una virgola del discorso per ritrovarsi a cominciar da capo il percorso del loro labirinto... no, ormai se ne stavano là, nella loro inaccessibile torretta a raccontarsela da sole, ogni tanto qualcuno, che aveva capito l'antifona, trovava la scorciatoia giusta per arrivare in cima, imbrogliando il questionario... e allora apriti cielo, le dee prese di sghembo, illuse e deluse, lanciavano fulmini e saette, sparando nel mucchio, e su ancora steccati e ponti levatoi e sempre nuovi mattoni ad allungar la torre...
ma, a parte queste punte di fastidio estremo, esso era generalizzato, e si animava di ogni piccolo particolare di genere femminile che poteva girargli intorno...
il solo vederle camminare ed agire lo invadeva di tutta una serie di pulsioni negative... come camminavano sui loro tacchetti, muovendo con osceno pudore quei loro culetti, non sopportava neppure più quelle loro borsette, che tutte e proprio tutte, si portavano appese alle spalle, tanto che ormai era arrivato ad interrogarsi se davvero si trattasse di qualcosa indipendente da loro e non fossero invece una loro naturale appendice, acquisita fin dalla nascita...
che sensazioni spaventose provava poi quando le osservava radunarsi fra loro in improvvisati, ma non tanto, crocicchi... le osservava da lontano, col suo cannocchiale, non avrebbe osato star loro troppo vicino, le vedeva confabulare e strillare ad una velocità pazzesca, e parlare parlare, spesso con frenesia... a volte esuberanti di repressa allegria, altre volte, più spesso, gonfiate di acceso livore, e gli pareva che in questo lago verbale avrebbero potuto continuare per ore ed ore e non smetteva di chiedersi “ ma che cazzo hanno da dirsi!...” e allora immaginava le galline nel pollaio che, istintivamente, si scagliavano sul piccolo pollo ferito e, una beccata dopo l'altra, finivano per sbranarlo...
aveva faticato molto prima di riuscire a penetrare sotto la loro superficie di apparente bontà, per tanto tempo gli era sembrato impossibile parlarne male, tutto in loro era un ossequio alla bontà ed all''amore, a sentirle parlare occorreva un ombrello per ripararsi della loro infinita pioggia di parole d'amore, con quanta passione amavano bestie, bambini, vecchi ed affini... era una superficie così solida e costante che gli pareva che neppure il trapano più solido potesse forare... fin quando aveva capito, ed anche di questo era certo, che tutta quella ubriacatura d'amore era in realtà soltanto un surrogato di quell'altro amore, profondo e vero, che non sapevano dare, ma, soprattutto, non volevano dare...
che fosse così e che fosse certo lo vedeva bene quando, pieno di disgusto, le guardava passeggiare per strada, con la loro bella famigliola e spesso col loro cagnolino al guinzaglio, che, smarrita completamente la sua natura di cane, pareva più un manichino, lo vedeva in quel loro marciare davanti, impettite, con sguardo trionfante, e in parte crucciate, le vedeva guidare la colonna e, anche se guardavano dritto davanti, in realtà, coi loro occhi invisibili, si guardavano intorno e di esser la loro “ vittoria” ne ostentavan la prova... dietro di loro l'ometto, legato all'invisibile guinzaglio, con aria tutta affaccendata, con sguardo serio finto orgoglioso, che si dimenava in mille compiti tutti inventati, per prevenire le ire sempre incombenti, a spingere sempre più esausto la mega carozzina, super accessoriata, completata di figli, uno, due, tre, o quattro, a seconda del caso...
ogni tanto lei si girava degnandosi di dire qualcosa, qualche moina di prassi ai figlioli e qualche acido e dovuto rimbrotto all'ometto fedele...
a Goffredo, nel vedere tutto questo col suo cannocchiale, gli si accapponava la pelle, e “ Dio me ne scampi e liberi...” diceva fra sé e sé...
odiava le loro contraddizioni, quella loro logica senza logica, che per loro era complicazione, e pure la lodavano, e la volevano far passare per profondità ed arte e mai un pensierino che magari un po' di scomplicazione potesse far davvero bene, gli pareva che volessero tutto e insieme il contrario di tutto, nello stesso tempo il tenero e il duro, il poeta e il guerriero, nel volere una cosa uccidevano l'altra, per poi fare al contrario, nella loro pretesa di far coincidere gli opposti alla fine uccidevano tutto, per arrivare al nulla, che era forse quello che proprio volevano, per negare l'esistenza del tutto e così iniziare nel loro eterno lamento...
alle volte con l'immaginazione arrivava a paragonarle a dei vampiri, che sentivano il loro particolare godimento e nutrimento nel succhiare completamente il sangue alle proprie vittime, era per loro un grande piacere tallonare soggetti scalpitanti e robusti e circuirli con le loro arti malefiche, e, metaforicamente, addentarli e piano piano privarli completamente di ogni energia vitale, per poi sentirli del tutto inutili e provarne disprezzo, dopo averli ridotti tali a sacchi vuoti...
il loro interesse era più duraturo solo con soggetti più resistenti e recalcitranti, quelli che imbizzarriti continuavano a ribellarsi, e per loro era quasi un punto d'orgoglio, oltre che un gioco, vincere una personale battaglia contro quei riottosi animali e si ostinavano all'infinito pur di liquefarli... e, quando non vi riuscissero, si sentivano divorate da una sorta di buco nero e tormentate dal senso di fallimento più assoluto...