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Parte 11 della raccolta "Storie di Famiglia " di Carlo Fracassi (35 racconti)
Come eravamo |
Zia Emma (io l’ho sempre chiamata nonna) sposò Giuseppe Bertozzi (zì Bertòzi) e nel 1924 si trasferì in città (si fa per dire) facendosi costruire una villetta nella marina di Rimini, accanto a quella del fratello Nazzareno cui era molto legata.
Ricordo che in cucina di zia Emma, sulla stufa economica bolliva sempre una pentola piena di erbe ma francamente non ho mai visto altri cibi, ricordo solo che nessuno si metteva a tavola: Cici mangiava sulle scale, Elisa stava su una sedia in corridoio, zia Emma in cucina accanto alla stufa; a tavola vidi sempre e solo Bertozzi.
Il giardino della loro villetta era coltivato a orto con qualche albero da frutta ed un pozzo artesiano. C’era un pollaio con diverse galline ed anche una gabbia per i conigli. In una sorta di cantina, costruita in mattoni semplicemente appoggiati gli uni sugli altri e il tetto in lamiera, “zì Bertòzi” custodiva un’infinità d’arnesi per lavorare la terra, non mancavano damigiane per ogni uso e tante trappole per topi.
…le galline cantavano in coro con Teddy Reno
Al primo piano della casa abitava la zia con la famiglia, mentre il pianoterra era affittato ai villeggianti. Fu proprio lì, a quel pianoterra (fra il 1939-41), che Ferruccio Ricordi, in arte Teddy Reno, prese dimestichezza con le galline e le anatre della zia, che rispondevano in coro ai suoi melodiosi gorgheggi al pianoforte.
Fu, dunque, fra gli anni ’30 e ’40 che zia Emma, per arrotondare il magro stipendio del marito, volle cimentarsi nel servizio dell’ospitalità come locandiera. Nel ’32 le capitò una famiglia d’austriaci: padre, madre e figlia. Zia Emma – da donna buona e semplice – credeva non fosse difficile spiegarsi con gli stranieri; così il primo giorno chiese agli ospiti (in dialetto riminese e simulando con le mani il portare cibo alla bocca), cosa desiderassero mangiare. Gli austriaci si consultarono e fecero la loro richiesta, ma la zia non capiva. Alla fine la figlia degli ospiti, che fungeva da “interprete”, allargando le braccia rispose in francese: ègal! (uguale, fa lo stesso). Zia Emma, a questo punto, s’illuminò in volto e, con fare sicuro e soddisfatto comandò al marito: “Bertòzi va’ in piaza a to’ e gal!” Bertozzi inforcò la bicicletta e in un battibaleno era già di ritorno con un gallo legato per le zampe.
Poiché si era fatto tardi Bertozzi, per la smania d’accelerare i tempi, tirò troppo forte il collo della povera bestia staccandoglielo di netto: il tutto sotto gli occhi esterrefatti della famigliola, che non volle più saperne di “arrosto” e, a questo punto, chiese delle uova. Ci volle del bello e del buono per far capire a zia Emma che uova, “Ei” in tedesco (pronuncia ai) non era l’aglio! Infatti, Bertozzi fu spedito a raccogliere quant’aglio potesse nell’orto di casa. Alla fine, per mangiare, il povero austriaco, allo stremo delle forze e della pazienza, si accovacciò muovendo le braccia e gemendo: “Coccodé! Coccodé!”. Solo allora la zia capì e fece loro una frittata. Dopo di quella prima estenuante giornata, gli ospiti si affrettarono a comprare un vocabolario. Qualche giorno dopo, posti davanti ad una teglia di lasagne verdi al forno – piatto, per loro, di difficile identificazione – aprirono il vocabolario indicando ai Bertozzi la parola “colera”. Nonostante ciò, presi per fame, da allora mangiarono tutto quello che era loro servito (senza più ordinare) e senza lasciare avanzi. Zia Emma vinse così la sua guerra gastronomica. Quella famigliola tornò per alcuni anni, finché nel ’35, Hitler preparandosi alla guerra, non concesse più espatri.
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I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.
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«Tratto da "Storie di famiglia" d'imminente pubblicazione.» |
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complimenti, racconto fluido e scorrevole (Sara Acireale)
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