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Posso ancora scrivere, posso ancora muovermi e respirare. Sento ancora il peso immane dell'ondata di marea che mi soffoca, sotto la quale annaspo disperatamente cercando un appiglio per tenermi fermo, per non lasciarmi completamente affogare, per sopportare in qualche modo questa piena rapinosa che vuole riempirmi di sé e di sé farmi traboccare annichilato. Si è pian piano placata la furia del mare, l'enormità della massa liquida che richiamata dall'eterno rinnovarsi della marea è pian piano ridiscesa lasciandomi spossato, avviluppato agli scogli, incurante dei feroci spuntoni di roccia, dei crudeli denti di cane infissi in brulicanti colonie negli anfratti, anzi forse riconoscente per le piaghe che mi infliggono, in qualche modo comunque aiutandomi a vincere il flusso enorme ed il risucchio vorticoso. Intorno a me il mare ha lasciato nelle sinuosità della roccia, nelle fessure e fenditure piccoli residui di sé – tranquille pozze che riverberano i raggi del sole scintillando come sontuosi gioielli, che ammiro e posso delicatamente afferrare cercando di portarli con me – ma il gesto è sempre maligna causa del loro disperdersi e morire, lasciando di sé solo una vuota cavità nera, desolata e lugubre come la scarnita occhiaia di un teschio. Non sono per me i diamanti e le perle che la gigantesca ondata ha consegnato alla roccia – ma l'illusione è grande, affascinante sino al punto di ammaliarmi in una sovrumana e diversa esistenza – il sole che mi riscalda e mi asciuga, asciuga anche i tesori fugaci di cui mi beavo; ecco allora che il mio essere tutto desidera ancora il rinnovarsi della sensazione provata, sogna il rincorrersi del sogno stesso, vuole di nuovo essere provato dall'esplosione selvaggia dell'onda che torna, puntualmente destata dall'invincibile attrazione – vedo già le onde lambire la base degli scogli, ascolto già il respiro del mare che si gonfia e si espande, che sussulta e ritorna, alto sopra di me in mille spruzzi di spuma squassata dal vento e mi scopro urlante selvaggiamente al ritmo del mare le mani uncinate dentro lo scoglio il corpo fremente in attesa dell'urto impossibile e deificante urlo al cielo la mia folle presunzione sfidando la natura stessa e il livello dell'acqua è ormai sopra la mia bocca lo scoglio vibra sotto le mazzate del mare che tenta di strapparmi e mi risbatte come uno straccio bagnato e non esiste altro che questo universo nel quale desidero disperdermi fino alla spossatezza totale al rilascio di ogni fibra – passerà e tornerà il sereno passerà e rimpiangerò e attenderò che dentro di me maturi di nuovo quella marea che mi sommerge e m'è ragione di vita nella lotta, che si ritrae e mi lascia in un mondo fatato di ricordi – così il mio desiderio – il mio bisogno – di parlare con te per ancora ricordare e attraverso un uragano ricorrente ritrovare il raro momento – dire il tuo nome nel momento in cui il mare mi toglie l'aria e il respiro e mi gonfia di sé gridare il tuo nome gridare il – tuo – nome.
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.
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«"Aguzza qui, lettor, ben li occhi al vero..."» |
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cos'è il vivere, se non si può....... (iezzi giampiero)
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