A te, quel primo sguardo fu d’emozione,
un nodo che dalla gola al petto è sceso,
il cuor compresso batter d’agitazione
ch’alla mia pelle, ogni tremor s’è esteso.
D’un fiocco rosa il capo tuo è stato cinto,
su quel ciuffo di
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Sapessi quante stelle nel ciel vi brillano,
potrebbi dir di quanto amor per te io vivo,
potrebbi far un drappo che tutte le racchiuda,
forgiar su la tua pelle veste, di cuciture privo.
La luna sul tuo petto come un diamante,
tenuta a sbalzo da
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Un oscuro telo che copre la gente,
una cappa che nel buio t’avvolge,
una nebbia ch’opprime la mente
e rinnova ogni dubbio ch’emerge.
Non servono mura per restar soli,
s’è soli, anche nel mezzo la gente,
ti passano sguardi coperti da veli
e
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Non odi la vesta che struscia nel passo,
avanza la Dama nel gemito umano,
non cede a lusinghe e getta quel sasso
nell’abisso profondo, che nasconde l’arcano.
Nessun fa ritorno dall’oscuro percorso,
ma permane il ricordo di chi c’ha lasciato,
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Qual’è quel senso, che vede nel giusto,
che non cede a barriere imposte da fedi,
che non cede al vedere l’alzata del gesto
e non vende il suo cuore, per miseri scudi.
Oppresso diviene nell’odierno contesto,
quel senso dell’equo che
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Come un cieco, annaspicar di luce l’aria tasta,
o un bieco sordo che per sentir legge parole,
un mendicante, ch’alla pietà china la testa,
mesto d’orgoglio a trattener il cuor che duole.
Speranza sospirata al riveder l’ultimo raggio,
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Ombre riflesse sull’acqua, tolgon respiro,
ch’ad ogni passo dilata ciò che v’appare,
fino al passar d’un passero ch’al bere,
lo specchio d’ogni figura, poi ne scompare.
S’espandono cerchi che rompono a riva
e rimandano al largo quel gioco di
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Onde si creano al passar del vento,
la cresta chinano come voler divino,
fiori dipinti nel seguir l’evento,
stelle riflesse sull’ondeggiar marino.
Come dei manti sulla riva stesi
al passo arretrano in riverente lode,
veementi amanti sul lido
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Al mattino m’affaccio al balcone,
non v’è brezza, un sole accecante,
ho sul viso quell’odor di sapone
della barba ch’è fatta all’istante.
Odo un fievole ed armonico canto
ove il coro non patisce contese,
ma riceve l’ebrezza del
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Seppur’io volessi che fosse,
di quel ch’avessi supposto,
nel mutare un gesto titolato
dove il sasso sotto è rotolato.
Nel lasso ch’è stesso lo levo,
ch’il sasso nel finire fa manca,
nel ciò che se fosse lui stato,
al
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La gioia è quel filo di seta
lucente nell’aria brinata,
se tendi la mano a sfiorarla,
svanisce ancor prima ch’è nata.
Non conta imporre il voluto
o acquistare ciò che viene esibito,
è uno stato che nasce sincero,
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Eppure ad ogni istante egli si muta,
nel cogliere quel gesto di passione
che viene posto di fatto e risoluta,
in ciò che senno, non pone paragone.
Cosa puoi dire nel veder del fatto
o nell’udire e porre un t’amo d’assoluto,
ch’ogn’altra
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Se per dono, tu vuoi sentir dolci parole,
che toccano dentro ed accarezzano il cuore,
ciò che ho per te non è diverso, sentire la pelle,
seguire la notte tra dolci carezze,
toccar la tua mano, guardare i tuoi occhi...,
passare la
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Lunga è l’attesa a passar il tempo
ch’inesorabile rallenta il suo percorso,
come il villico zappar di zolle il campo
e di soma a gravar sul nudo torso.
Nulla puoi fare se non colmar l’istante
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Grato a te, lo sguardo levo e il capo chino,
d’alloro cingi la testa a chi d’amor è vinto
e nell’ebrezza poni, come voler divino,
del dì riconoscente tra le tue braccia spinto.
Grato a te, ch’il cuor tuo hai aperto
e nel porre voto
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Una torma di bestie ch’oscurano il cielo,
senti lontano un frastuono possente,
son cupi rimbombi presagio d’un danno,
riflesse paure che ricorron la mente.
Avanza invadendo ogni spazio rimasto,
portando con sé ogni ombra latente,
poi come
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Flessioni del tempo distorte da eventi,
azioni causate da giudizi di getto,
un fievole cenno da mani sfuggenti
da giusto che era lo pone in difetto.
La sorte è chiamata a scusante del fatto,
quando l’avvento stravolge l’attesa,
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Sentieri segnati da foglie marcite,
ch’al passo par quasi girare sul molle,
nei boschi s’inerpica a fianco del colle
tra muschi argentati e brevi salite.
Il sole non passa, non cedon le fronde,
solo raggi riflessi portati dal vento,
come
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Qual fù nel tempo remoto il primo possesso
di quel sito che negl’anni ha passato di mano,
qual diritto è concesso nell’umano contesto,
innalzare i vessilli limitando l’accesso?
La natura, è comune a chi vive nel posto,
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Lunga è l’attesa al passar del tempo
inesorabile rallenta il suo percorso,
come il villico zappar di zolle il campo
e di soma a gravar sul nudo torso.
Nulla puoi fare se non colmar l’istante
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Ondeggian le fronde cullate da brezza,
come un vocìo di folla stipata,
sommi sapienti di rara saggezza,
testi d’un tempo, nell’era cantata.
Gravoso carpire dal soffio giudizi,
avverti sussurri dispersi nel vento,
accosti ogni nube ad
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Seducente ogni tuo sguardo,
ch’infonde fremito alla pelle
ed alla mente sale ch’ogn’altra
cosa alla vista mia estinta muta.
Il senno cede ad ogni voluttà
ch’ispira alla movenza tua
e nel toccar quell’attimo,
ogni realtà s’altera in
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Un levriero afgano dal regale portamento
a passeggio per il corso, ben pettinato,
si lusingava nel riflesso di vetrine
di quanto bello fosse, esser guardato.
Più avanti, all’angolo d’un vicolo dubbioso,
il rabattar tra spazzatura d’un
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Quel rudere dalle pietre smosse e levigate,
quante storie al mondo potrebbe raccontare,
amori, guerre che nel tempo son passate,
ora è l’eremo, di chi asilo vuol trovare.
Quattro mura con sopra un merlo scalcinato,
due finestre, a lato d’un
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Pensa fosse, ch’ad ogni bacio dato,
un fiore come d’incanto dal prato sorga
con tinte mai eguali a quello prima nato,
ma d’esclusiva essenza all’aria porga.
Pensa fosse, ch’ad ogni bacio avuto,
lo stesso fiore sia mutato in altri cento,
sino
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Nell’inganno del silenzio, cede la mente
ed ancor più a quel che l’occhio tace,
percepire ciò ch’al cuor t’appare assente,
mentre d’intorno a te, è quiete e pace.
Dove ti par venire quel sommesso cenno,
che nell’ombra e
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Ai primi freddi, di bruno e giallo si orna il manto,
con irte dita al ciel levate a supplicar lo spoglio
e pennellate, color bruciato a ritoccarsi il fianco,
sino a spogliar di fronde il vecchio tiglio.
Cambia parvenza, nell’aria odori funghi e
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Al dibattito comunale, per ligio appiglio,
il consigliere addetto all’urbanizzazione,
trova maniera per espropriare al meglio,
quei poderi confinanti alla stazione.
Nel piano regolatore v’è un centro culturale,
ov’ora c’è la
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Esile al veder, ma d’essenza appare quercia,
che nel passar del tempo i fulmini han temprato,
non cede a chi si pone nell’inganno e bercia,
ma il pugno leva a protezione del suo prato.
Tenero ha il cuore per chi patisce pene e pianto,
per chi
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Espongo di giusto quel che merito esige,
di quanto potessi nel mezzo vagliare,
nell’astro non v’è, ch’il talamo erige,
ch’in seguito pecca non faccia mancare.
Son fiamme d’assesto e non risentite
la furia dell’attimo dovuta all’ardore,
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