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Giuseppe Fulco
Le 71 poesie di Giuseppe Fulco
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Messaggera, dicono, sia di sventure incombenti
la morte le sceglie il ramo ove posarsi .
Ai cimiteri di croci predice i sonni tersi,
come la carezza di una amante annuncia baci roventi.
La morte le sceglie il ramo ove posarsi,
nulla la distrae e
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Egli, ha il volto lascivo e arguto,
cova gli arcani e delle voluttà le chiavi .
Scaglia gli ormeggi di avvilite navi
affinché negli oceani trovino il suo riso muto.
Appare simile al ventre della luna,
quando gravida bacia le ombre
e i vicoli
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Chissà in quale vita ti ho vissuta,
su quali scalini in gocce ti ho diluita,
nei bistrot ti ho abusata, ne son certo, accudita .
L’anima ti porta in grembo, mai ti ho taciuta .
Dei miei desii stipati all’ altare,
trattieni sotto la sottana le
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Miei cari divulgatori coatti dei sogni dimenticati,
nonché giocolieri di parole sparse, di righe disperse.
Miei cari tutori illegali di vendemmie incerte
nonché spie infedeli dei vostri cori avvelenati.
Vi conduco dove il nostro patire vien
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In carrozza!
L’esilio dei miei sprovveduti ospiti
è in procinto d’esser tumulato.
Quale oltraggio tuttavia
può impedire codesta funzione?
Se non il continuo flusso della ragione
che si insinua nei solchi compiaciuti dell’emozione?
In
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A destar son qui le mie muse
nulla mi può distrar
se non le tue risa
nel mio cuor sfuse.
Mio candido strascico mielato,
nonché amabile comparsa,
remo nelle mie profumate ombre.
Or che il tuo spartito,
funesto parto di melodie
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| Il passo scuote,
germogliano i versi.
Lieto par l’imbrunire quando si è persi
negli scantinati felici
dei propri fogli sgualciti.
I vecchi lumi sorseggiano la penombra
in attesa del consueto banchetto notturno,
dove ebbro passa il viandante
e
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| Adorabile creatura
di sì nobile postura.
Fedele custode delle mie perdute parentesi,
raffinato sommelier delle mie bevute cortesi.
Serbami il mite risveglio
per le notti che verranno,
poiché or non temo danno
di costei che guasta il mio
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| Or che ho timore
di ciò che ho amato e amo in diverse ore,
allorché si avvinghia alle gambe cingendomi di putride radici.
Giullari di corte e dame svestite
offrite sonetti e liriche
che di meglio udir non potrei.
A vegliar l’uscio annodato ai miei
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| E ci dicemmo addio
tra le mura lacrimanti
d’ una città divenuta triste.
Col sole indegno che
scaldava maligno
il nostro ultimo bacio,
il nostro ultimo ghigno.
Ma giace in me
l’acerbo ricordo
di quelle ore
consumate
sui tavolini ed i
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| Scivolano su rami sognanti,
la luna, il sole e i loro amanti.
Urlo ed imploro,
su argini di alloro e rovi sanguinanti,
che le mie risa, le mie urla e i miei pianti,
non si tramutino in sordi echi strazianti.
Mi perdo infine agonizzante
nei
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71 poesie trovate. In questa pagina dal n° 61 al n° 71.
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