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Alessandro Labriola
Le 269 poesie di Alessandro Labriola
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Cellulite coraggiosa e seni impossibili d'inverno,
pance ignobili, sculture inebetite dal sole:
sguazzano e ballano immersi fino alla vita
a ritmi ridicoli, incalzati inutilmente
da goffi oranghi colorati e bamboline scelte:
agitando stecche di
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Avarizie d'osteria, carte furbe ingiallite
banchi di fumo e spreco di bestemmie univoche
nella miope discesa al vago generalizzare
fino al piagnisteo onnipotente - da paternale
unito ad accecanti drink, accenni di pianto:
noccioline mostruose -
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Se la mia "falsa" simpatia si annoiasse
di non Averti prostrata, pur posata su di un cristallo
innanzi a me: nella nudità che trae solo l'amicizia;
che rende più teneri i gesti e le carezze (mai elargite)
ancor più
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"Chi berrà da questo calice sarà preso dalla smania di Venere"
le prime lettere sulla coppa di Nestore
- laguna di nascita e profezie
dal grembo fumante dell'antro
la Sibilla chiamava il fato
amari presagi affrescati,
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Come certe frivolezze che a Maggio: belle giovani
profumano i corpi sognando orge commoventi
- soccombono a tutti quei pegni ma avanzano
incuriosiscono scialbi viali e zoccoli fessi,
strappando invidia alla vecchiaia, vestendo poche
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Se la grazia di qualche impeto, oh dama!
Cogliesse nuovamente questi muscoli affranti,
rialzasse la spada ferita:
bardato come i sogni furiosi della giovinezza, vi difenderò!
Con drappi eroici incitando io stesso il Male;
vessilli smarriti
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| Piacere,
è ciò per cui abbiamo pagato;
giustiziato le ultime innocenze
ammainato le vele e richiamato
il nostro spirito (così vacuo!)
il coraggio e l'egoismo per tendere d'un fiato le reti
Innalzare
oltre mura sporche,
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Gettò un fugace sguardo su tutto,
le si aprì la via inondata di musica - e lei
non poteva accorgersi della luce che portava
nè per quanto vagai inerme tra le guance, alle ginocchia
- scalando meraviglie innominabili sulla
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Eppure il paese con le sue incertezze
le fontane e i pesciolini - bacio del vento
in un vortice di nebbia e palude,
prolungava la pentecoste degli orridi pioppi:
celebrò per me la curiosità dei tramonti,
dove tremolanti grigiori
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Bimbo che fissavi dall'alto nel cielo
palazzi opposti altrettanto alti, era la 167.
Pozze sfavillanti e colombe immacolate
- lo giuro! Sorgevano divinità nel marmo
all'ombra lussuosa di tredici banani grassi,
gazebi il cui ventre era
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Creremo la nostra rivoluzione di finti orfani,
le radici di sudicio e la corrotta foschia
si abbatteranno come veto
sull'arbitrio e la libertà di vaneggiare, per vostra madre:
arruoleremo ridicole folle indecise
di saltimbanchi e attori
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Quante matricole, quanti parchi
stravolti da stagioni artificiose
e magiche - per ricrear quella cascata
quel fiotto! Quello zampillo chiaro,
che simile alla tua voce
calma lo stomaco - dona la pace
carillon dolce che solfeggia alle more -
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| Il biancore puro della piuma
- in cui si imbevono le spose della notte
altezzosi come costellazione;
infatti tra cielo e terra
rivaleggia l'estasi di questi spiriti
nel naif estivo della lucciola,
spettri risorti dalla lontana fiaba
di infinita
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Babilonia sussurra oscenità
con mille dialetti
follemente esotici o slavi - ma
come un luminoso enclave mormora
(a me solo) di nature e civiltà
perdute, di tutta la Tragedia.
Solleticavo i piedi ad un ossequioso
assenzio -
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Fiaccole, evviva la festa!
Tergiversiamo radiosi sulle rive grigie,
splendenti come specchi - venti riflessi
di soli sanguinanti,
aborto della precedente nottata:
fierezza nello scempio di nudità estatiche
- danzanti folli come
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| Barbaro che ispirasti Belzebù,
diavolo d'un angelo - sesta ala d'infamia
tuttora è notte e rischiara:
una nube fatta più chiara;
sta olezzando dalle fogne
il canto delle papere
Si leva un torpore: luci
volti, merlature
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Invia un messaggio privato a Alessandro Labriola.
Giorni assurdi e rimorsi postumi
fianco a fianco in un prato,
trascorsi nell'invincibilità del cuore (poiché altrove)
- la morte del corpo
più ostinato della sorte, rigido come fuscello
emana potenza e clemenza (stregua di
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Disillusione di lacrime,
commozione sentitissima del sole
fragilità del polline indaco
- nuova neve del cielo
sbuffano scintille ornando l'anca folta
della brughiera arsa; come il vento!
e con l'avvento dardeggia una collana,
un
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Sono il re guerriero di un popolo mitissimo,
il ragazzo che dormì cento giorni beato
sognando vittorie arroganti alle Termopili.
Ho schiere urlanti e incestuosi atti con la notte
dedico le mie vaghe virtù alle piante!
scarabocchiando
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Causate varie doglie alla madre,
io - alchimista maldestro, con la medesima cura
mischio medicina e stregoneria:
coi salmi
seguo fugaci ombre ai piedi delle statue nude
nei parchi - violini impercettibili
e dolorosi dubbi dalle fontane
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| Ticchettio nauseabondo
il bisturi e l'ago,
dell'azzurro pallido, sventrato
di tutto; la pretesa di salvarmi
mi fece odiare
ogni cura.
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Stagni alti che sudano,
l'invitante ovest gagliardo
- e tremende voci da casa
mi isolarono alla luna,
quando il fervente derviscio
agita come fuscelli i cuori - le nenie
li spaventa d'amore,
apre foschie dagli argini
appesi
come cornici
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Sopra un letto triste ci baciavamo
ed io annegavo ancora...
tu piangevi rugiada nel tormento
la passione acerba riluceva forte
sulle mani che offrivo, tu accompagnavi
l'orgoglio della tua età- l'onda del collo nudo
roteavi elegante
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Angelo del piccolo cielo,
tempo fa non mi servivo di questi riti
- d'oscene usanze,(l'erotismo orientale)
per riavvivare queste flebili note,
che già dal mattino soffiavano ovunque
nel distante oratorio, rimbalzando
sul crinale alle
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Il voyeur della laguna;
sulla terrazza si accomoda una fata
e la luna di sbieco:
un lesbo superbo - il soffice manto
quella lingua perfetta sino alla bianchezza!
Tutte le luci, l'asfalto e pure gli uomini!
si sollevan come una gran bolla
e
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| Ho rigettato le vostre scuse
e rimpianto i vivi.
Punito il corpo e l'anima
oltre ogni misura - è la mia sorte
o la Vostra carità:
spargere i semi dell'indolenza
laddove sognavo e ancora
sorridere tanto da coprire il
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Gli allori e le Regine, preferite!
Era cessato il tempo delle sgualdrine,
eppure c'era chi mostrava lode
al pizzo e al "pedigree".
Dagli Egizi presero il lusso funebre:
quante Volte alate d'incenso! Quali sepolcri d'onice!
con
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Oh fiori! Oh le civette nude!
nella stagione più calda;
aveva già preso il sopravvento
una scusa - e poiché era l'alba
ne presi non più di due gocce;
ma il miraggio! Tutto quanto:
oh geranei infestati di orli e di volte
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Quando il fragore muta l'onda,
risale dal mare il tuono
verso il cielo - ci trafigge
s'innalza in saettanti Grigie;
spande un eco che noi accogliamo:
un grido ampio dalla natura,
dai banchi fertili di boccheggiante vita
fino ai basaltici
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Signora abbandonata sul sofà - morbida
dagli occhi d'oro e la voce ancor più serena;
Serafina dei miei occhi celestiali:
a me strappati,
per l'incavo dolce
dei tuoi seni brillanti - ho sognato a lungo
di ritornar un giorno
alle
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269 poesie trovate. In questa pagina dal n° 181 al n° 210.
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