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Leggimi un Salmo"
-disse mia madre-
con un fiotto di voce raggrumata.
Ed io, aprendo a caso l'immortale libro,
nel silenzio della stanza lo intonai:
"Ho sperato, ho sperato nel Signore,
ed Egli su di me si è chinato,
ha dato ascolto al mio grido".
Una luce s'insinuò tra la pupilla e lo sguardo
di mia madre, e mansueta come agnella mi sorrise.
Ed io proseguendo.
" Mi ha tratto dalla fossa della morte..."
e la voce onda alta diveniva,
e urlo non gridato, e ribellione per secoli sopita.
Si levò un coro,
come da bocche oppresse dal silenzio.
Raggiungeva tutti i morti dimenticati,
i vivi con un piede nella fossa.
Era un video, mia madre, ingigantito,
e proiettava le sue angosce sui miei giorni.
Di colpo sentii nelle mie vene
l'incolmabile ritardo della storia,
i suoi treni perduti, le sterili attese.
Sentii il passato e il presente
impossessarsi del mio Io ereditato,
quale gesto d'invasore che impone dittature.
Come bimbo cullato l'affanno si acquetava,
ed allentò, mia madre, la stretta della mano,
come chi ha smesso di temere.
Allora, solo allora, alla mia ansia concessi di apparire:
all'ansia degli occhi e della mano,
all'ansia del cuore e del domani,
all'ansia della vita e della morte.
Caduto, ormai lo schermo delle convenzioni,
mia madre mi appariva in tutta la sua statuaria nullità.
Le sue fibre suonarono allora,
la tastiera infinita del dolore.
Nelle sue canne d'organo serbava il pianto
di tutti i bimbi abortiti dalla miseria,
tutti i giochi perduti dell'infanzia,
il sudore del pane proletario,
il suo tempo di carrube e d'innocenza.
Il pugno chiuso, ora impotente, ripongo.
Il pugno che sa del grano e della zolla.
del verde degli ulivi e i mandorleti.
Il pugno ammansito, ora ripongo
sul grembo delle attese e dei domani,
mentre il davidico salmo torna a consolare
come l'incontro dell'Angelo e Daniele.
"Mi hai messo sulla bocca
un canto nuovo"
Un canto di raccolti e di sereno,
un canto di vendemmie e fioriture. |
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