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Del Tempo canto le stanze profonde,
quel che fu Vita e quel che fu Morte,
i Segreti che il Passato nasconde,
e dei Mortali e degli Elfi la sorte,
la lor gloria e la lor caduta donde
giunsero del Demiurgo alle alme Porte:
sin dalla Luce d'Aurora lontana,
di quel che accadde il filo s'addipana.
T'invoco Calliopé, o grande Musa,
e l'Arte Tua supplico raffinata:
la poesia che sta in Te rifusa,
la finezza dell'Arpa riposata
e l'ingegnosa mente mai richiusa
possente al Canto richiama legata.
Il sentiero rischiara al Col Parnaso,
d'eterni allori poi rendimi vaso.
Quando i silenzi colmavano immoti
di Theos le aule nel Firmamento,
possente un grido trascorse i ciel vuoti
e tosto brulicò il Santo Fermento
in Sue Progenie dai benigni coti.
Qual in piota lo spirar d'un vento,
sì scossa ne divenne la Dimora
quando del Mondo giunse la Prim'Ora.
Si levarono quindi al Suo cospetto
i novi Figli della Santa Mente,
ardenti qual fiamma nel proprio petto,
Pàides nomati da postera gente.
Paterno allor fluì in Theos l'affetto
e a lor di gloria si mostrò fervente:
"Sappiate che I'son Theos, il Signore:
la vita v'ho donato per Amore.
Sappiate far lo stesso co'Miei Figli
quand'essi gli occhi schiuderanno al mondo:
regali son certi come gialli gigli,
altri vedon bontà solo al fondo
corrotti come sono da cipigli,
ma niuno se non Voi è puro e giocondo.
Sappiate che I'son Theos, il Signore:
il Male v'è celato ed il Dolore.
Sappiate che I'son Theos, il Signore:
del Mondo Io Vi posi la Causa Prima
per mezzo della Fiamma e del Suo Ardore
che per altezza oltrepassa ogne cima
e brucia immantinente ogne dolore,
come lo stelo smussato da lima:
Sappiate che I'son Theos, Vostro Dio:
ogne natura è sol per mezzo Mio.
Ecco, vibrato è il Vuoto dal Mio Grido:
beltà si manifesta agli occhi Vostri.
Chtòn, la Terra, alle Vostre mani affido.
Vedrete il nascere di guerre e mostri,
ma nella Vostra Sapienza confido
perché non sian vani gli sforzi nostri!
Sappiate che I'son Theos, il Signore:
la vita v'ho donato per Amore."
Gli occhi allor torsero gli Enti benigni
e al mezzo videro del Vuoto Nero,
sì luccicante come oro in più scrigni
e lucifera come in buio un cero,
sospesa come in aria i bianchi cigni,
una vision oltre il Grido più mero
scoccato come freccia dalle gote
di Colui che, Solo, tutto puote.
D'ampi pensieri come verdi lande
su cui giallo risplende il vital grano,
sì che l'animo mesto gioia spande,
le Ampie Menti dei Pàides furon vano:
di Chtòn la Gloria sognarono Grande,
ma la sordida d'un Demone Mano
che ridestava timore e terrore
della Bontà Lor non certo minore.
Allora quel pensiero sì offuscato,
qual la pupilla da sonno sì grave,
seme di brama iniquamente nato
da quelle ch'anime furon prave,
rese in brandelli, come volle il Fato,
il fluire di Lor Spirti qual nave
che la sua prora dolente percuote
sospinta da flutti inver'grigie piote.
Caddero i Pàides in sonno profondo
come se vinti da una gran fatica
al volere di Chi non fu secondo
ché volle l'anima sferzar nemica:
"Guai a Te, Faylos, o Essere Immondo,
che Io stesso creai membra amica,
sappi che I'son Theos, Tuo sol Signore:
posso smorzar della Fiamma l'ardore!
Guai a Te, Faylos, Pàis ribelle,
il potere T'ho dato d'osservare
quali cose in fieri or monde e belle
popolano Chtòn e il Suo azzurro Mare.
Ricorda, chi contra me vien imbelle,
Ei mostra che è frutto del Mio Pensare
di cui, Faylos, non tangi che'l fondo
se non con Buio di ragion profondo.
Guai a Te, Faylos, Figlio Mio ingrato.
I'son Principio d'ogne cosa e Fine
sì che nello spirar d'ultimo fiato,
che segna tra Vita e Morte il confine,
Tu stesso invochera'mi addolorato,
ritrattando le Tue azioni meschine:
allor pronunzierà la Tua Memoria
ch'Esse son tributarie alla Gloria.
Guai a Te, Mio Faylos, il Malvagio:
sappi che ciò che Tu fai è cosa ardita,
recar al Nuovo Mondo tal disagio
quand'Esso ancor non conosce la Vita.
Chi è fuori della Grazia non sente agio
ché ritta via non calca, ma smarrita.
Ricorda che I'son Theos, il Signore:
la vita T'ho donato per Amore."
Indi Faylos chinò il proprio volto
non sopportando l'infinita vista,
ché turbamento l'affocava molto.
Ma la vergogna ch'Ei provò fu trista
poscia che il Pàis fu da ira travolto,
nel cuore ascosa e a malanimo mista.
L'Amor che tutto vede e tutto puote
tosto comprese l'astio ch'Ei percuote.
Indi Faylos, preso da timore,
tosto le Stanze di Theos fuggì
e, a voto disiando il tanto Ardore
d'Imperitura Fiamma, Ei sen gì:
dimenticò quel che fu valore
e per sé soggiogare Chtòn ardì.
Allor poggiò su d'Essa la propria Orma
ch'ebbe terribile ed oscura forma.
Sì come il Sole, che da Oriente sorge
seco portando luce e nuovo giorno,
ai campi chiama il colon che lo scorge,
e nel periglio il suonare del corno
il milite che tosto aiuto porge,
allor Theos s'alzò di rai adorno
e della Notte si dissolse il peso,
come se niuno più ne fosse offeso.
"La Fiamma Imperitura dunque invio
nel cor del Mondo ed Essere infin avrà.
Ognun di Voi segua il proprio desio;
e Chi discender sovra Chtòn vorrà,
questo vincolo pongo" disse il Dio:
"la Vostra Forza nel Mondo sarà
sì che Voi siate Suo Soffio di Vita
quando verrà dalla Notte assalita".
Al centro delle scintillanti stelle
e nell'abisso della Chiara Volta,
da intelligenti e incorrotte favelle
la Terra fu immantinente ricolta.
Indi le tristi giunsero novelle
circa Faylos e la Mente Stolta:
nel Mondo conficcò i Suoi neri artigli
che ovunque accesero fuochi vermigli. |
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«nella classica struttura dei poemi epico- cavallereschi del Quattrocento ("L'Orlando Innamorato" di Boiardo, "L'Orlando Furioso" di Ariosto, "La Gerusalemme Liberata" di Tasso) ho voluto, spinto dalla lettura delle mitiche battaglie de "Il Silmarillion" e de "I Figli di Hurin" di Tolkien, dar vita a un mio proprio cosmo fantasy...» |
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Festa delle Donne 2009 Autori Vari
Poesie per la Festa delle Donne.
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Pagine: 50 - Anno: 2009
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