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| Noi che inver'moviamo lo santo Tempio
ché a la Buona Novella offrimmo mente,
di Dio Sommo tementi e dell'agir empio,
la fronte chiniam in questo dì.
E più non s'ode squilla da lontano,
né inni o arie: di vesti spoglio l'altare,
nel dì dell'ultimo agitar di mano,
quando allor, trafitto, il Giusto perì.
Ier son sonate le campane a festa,
ché lo frutto della vite e del grano
prima dell'odierna giornata mesta,
furon rese via di felicità.
E già più non serba l'Eterno Pane
la sollevata pietra nel Suo Tempio,
nel tetro giorno e rosso ch'ebbe immane
Gesù Cristo sofferto atrocità.
Fra il tuo crine scorra il soffiar del Vento,
o Marta di Betania, che'l capo
aspersi allor del Cristo con unguento,
i suoi cupi sibillando dì.
Qual pena ti molcea, o Giuda, il core?
Qual pena da li anziani ti condusse?
Qual pena inchiodar ti fece l'Amore?
Qual pena infin nel tuo animo ardì?
Seco conducesti al de'ulivi loco
una rea turba d'empi soldati
ferenti legni, grigi ferri e foco,
come contra la più bramosa fier!
Fosti allor col tuo agir traditore,
ché sul Suo volto posasti le labbra,
o, unico, ponesti mente all'Amore,
sì adempiendo lo Superno Voler?
Quale oscurità del core, o Cristo,
di massima pena ti fece reo?
Ché, straziate l'adorne vesti, il tristo
sacerdote alla Croce t'inchiodò.
O Latini, che di rosso il Suo volto,
il Sol sfregiando con i fendenti rai,
rigaste, allor intelletto vi fu tolto,
ché un di voi ad Ei inerte sputò.
Novello Antigone che la sua sorte
nelle mani ponesti de'corrotti
decretando del Superno la morte
serbando nell'acqua il tuo candor
quando, non dal riverbero accecati
del Sempiterno, ma del vil metallo,
conformi al detto d'anziani malati,
Caino gridaron inver'l'Amor.
Sì, vestito d'un manto imporporato
e ferente lo Suo Santo Flagello,
rese il poggio di Sangue macchiato
tre volte cadendo, tre volte in pié.
Vergine Madre, figlia del tuo figlio
qual immenso strazio il cor ti trafisse
ch'Ei nei tuoi lumi ricercò consiglio
e un guardo d'amor intriso ti diè.
E voi, pie donne, percuotenti il petto,
ché lagrime versavate pel Giusto?
Non vedevate de'figli il difetto?
Non piangevate amaro il lor destin?
Il tuo spirito fra l'eterne rote
dimori, tal Simone di Cirene,
che inver'le muliebri preghiere vote
reggesti il Suo Santo Flagello infin.
Lacerate le mani e i pié squarciati
da fatali chiodi color del ferro
e i regal stracci purpurei strappati,
rese quindi Cristo il Golgota altar.
In su la vetta del poggio deserto
quand'il Sol avea massimo splendore,
il Ciel di tutta la Terra coverto
si fé per Colui ch'insegnò ad amar.
Benevolo Agnello alla Croce appeso,
qual forza nel regalar un sorriso,
quando dall'empio venivi offeso,
e nel salvar chi presso ti morì.
Al giovane apostolo diè Sua Madre
che ebbe d'amor un eterno sussulto.
Indi, rivoltosi al Superno Padre,
tacito, il Foco del Mondo svanì.
O Padre, Amore dei tuoi figli mesti,
Unico Eterno Bene e nostro fine;
o Madre, che il Figlio morir vedesti,
sanza moto alcun del trafitto cor,
che i dolor del nostro viver atroce
che, tristi, i boni conduce alla morte
congiunti alla Sua estrema flebil voce
ci sian segno del Sempiterno Amor.
O Cristo, già vedi quante persone
appese stanno come Te alla Croce
e di tanto male chiedon cagione
tra case sbriciolate e infranti cor:
che le lor anime oggi sian con Te
al cospetto del Nostro Padre Eterno
che poi le abbracci tutte attorno a Sé:
mai più s'oda un triste pianto, mio Signor. |
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Pagine: 50 - Anno: 2009
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