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Aprile, verde e giovani sono
le erbe, esplosi sono i fiori,
c'è il sole e c'è luce ed è buio.
Lontano ha tremato la terra
di incolpevoli vite in sonno
ha fatto razzia la morte
uno spettro antico ritorna
una tristezza dentro mi accascia.
Destino cieco, hai aspettato
la notte fonda per abbattere
tetti ricoveri e cose
moltiplicare sepolture
rivoli di lacrime e dolori!
Dove sono i nidi delle rondini
sorti sotto le cimase, le logge
e i balconi in fiore, le campane a doppio
l'altare votivo e l'ostensorio?
E Tu in cielo, eterno assente,
che hai da dire alla matrigna terra
che ci fa tremare il cuore
e tenace ritma altre scosse
che spalanca ancora vuoti
all'animo nostro già in lutto?
Più memoria e amore e potere
abbiamo noi fatti di creta!
Io ricordo la natia terra sconvolta
al venir delle brume novembrine:
quel festivo giorno di lutto
non è ancora oggi passato!
Pur fragili, finiti, senza aureola,
noi di Gaia non perpetriamo
la tua divina indifferenza:
anche il fatale accartocciarsi
di una sola foglia ci commuove
l'immobilità ci è estranea
un avvampo ci prende
se salva possiamo fare una vita
non ancora giunta alla fine!
Da piccolo misi gli occhiali
e li cambiai più volte
poi usai il cannocchiale
poi ricorsi al telescopio per vederti
quando sulla razza umana
piovevano lutti pene e dolori
ma mai in nessun luogo tu eri!
Le lenti non servivano
nulla si rivela se non esiste
solo l'oppio può darci una visione
fortuna e disgrazie, poi imparai
come la vita, sono solo
l'inesplicabile prole del caso. | |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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