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Giovane Minervo, saggio!
Splendore, Astro fulgente, maestro
Dei nostri lieti banchetti!
Tu che tieni le arti dei lazzi e del riso,
Innalza a Bacco un lieto canto ammaliatore!
Inebriaci coi tuoi versi poetanti,
fà nostri i tuoi pensieri profondi,
Com'è profondo l'amor tuo pel nostro vino!
Fa ch'i nostri sensi pervada l'euforia:
Com'è bella e com'è vera, beata compagnia!
Fugga via il tormento vano,
Ogni timor caccia lontano!
Fuor dall'uscio resti rea Discordia,
Che importa se bussa, irato, Rancore,
Attenda domani anche l'Invidia:
Oggi si danzi, si inneggi alla bellezza di ogni cosa!
Tutti figli siam di Amore, è cosa buona e veritiera:
Ma sia cotal passione assai smodata e voluttuosa,
Non vi sia moderazione, tra i bei figli dell'Amore!
Carri d'oro per le strade, luci e bestie salterine,
Corni e flauti e mandolini, ciascun veli il nudo volto,
Tutti uguali siamo in fondo, tutti amanti del buon vino,
E seguaci dello sfarzo, tutti figli siam di Amore!
Tutti danzano contenti, pel tuo canto, giovinetto,
Nel seguir la tua favella, anche noi faremo un coro,
E saremo come te, ti faremo nostro Re!
Or che il rito è cominciato, ed il cerchio si è riunito,
Mascherati come bestie, ci terrem tutti la mano:
E chi al centro siederà, quel capretto sgozzerà!
Poi berremo del suo sangue, mangeremo del suo cuore,
E sarem tutti felici, tutti figli dell'Amore!
Giovane Minervo, saggio!
Che hai tu ora, Gran Maestro?
Chè ti siedi pensieroso?
Chè riguardi dentro il vuoto?
Mal si addice alla baldoria!
Che? Sei triste e ti allontani,
Per ristartene in disparte?
Non volerlo, giovinetto,
Torna indietro qui tra noi
Finché Luna è ancora alta!
Salta ora dentro il cerchio:
Qui è l'amore che cantasti!
Finiremo il nostro rito,
Amerem senza pietà!
Che hai tu fatto, che?
Hai scoperto la ragione?
Non sai tu cos'è successo?
A tutti è noto, ai tempi antichi:
Col suo parlar fè Socrate
Fuggir felicità dai Greci;
E quelli vaganti far giri tra le genti,
Chiedendo per come e per cosa
A taluno, a tal altro.
Ahi disgrazia il dolce velo delle Grazie!
Non sai tu che a chi squarcia
E' dato di veder realtà
Così com'ella apparve al genitor di Adamo?
Pria cantasti, ora ti acquieti, ché sei triste, Divin Minervo,
Saggio, Gran Maestro! Non importa s'ora piangi,
A danzar seguiteremo, mascherati come bestie,
Per le mani ci terremo, stringeremo te nel cerchio!
Non c'importa s'ora gemi, o giulivo giovinetto,
Finirem la Grande Opra ch'a iniziare c'incitasti:
Finalmente col tuo sangue macchierem pallida Luna!
E il tuo volto infin divoreremo, tu che a nova vita ci destasti!
Ah! I carri d'oro grondano sangue! Grondano sangue!
Oro scarlatto! Oro scarlatto!
E sarem tutti felici, Gloriosi Figli dell'Amore! | |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.
«Dionisiaco annullamento di sè. Esoterismo rituale ed alchemico del carnevale pagano.
I sentimenti stemperati della festa dell'abbondanza si riversano in un'orgia blasfema e cruenta, come sempre avviene in virtù della natura stessa dell'uomo.
Nei Saturnalia i Romani sacrificavano un uomo per allontanare tutti i mali e proteggere il raccolto. Ed era la festa.» |
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