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Un levriero afgano dal regale portamento
a passeggio per il corso, ben pettinato,
si lusingava nel riflesso di vetrine
di quanto bello fosse, esser guardato.
Più avanti, all’angolo d’un vicolo dubbioso,
il rabattar tra spazzatura d’un bastardo,
attirò lo sguardo dell’impettito afgano,
il modo zoticone, di leccar l’unto del lardo.
Con fare altezzoso fedele al suo lignaggio,
s’avvicinò per osservare quel brutto ceffo,
ravvisò dei tratti alquanto famigliari
pensando che ciò fosse uno sberleffo.
-Sei tu Alfonso o la mia vista inganna? -
Il bell’afgano al cane lercio e trasandato.
-Heilà! Cesare caro, qual buon vento?
Ti vedo in forma come mai mi sembri stato. -
-Il mio padrone è un grande imprenditore,
abito con lui in villa sopra la collina,
vado a passeggio, mi profuma e liscia il pelo,
mangio tre volte il dì, compreso la mattina. -
-Beh! Io non mi lamento, salto qualche pasto,
dormo all’addiaccio sotto qualche ponte,
gironzolo per vicoli a rovistar tra spazzatura,
ma sono libero d’avvè anche le zampe unte. -
Il levriero sentì uno strattone al collo,
il padrone suo lo richiamò all’attenzione
che nel passeggio, deve mantener contegno,
per quel ch’in società è la sua posizione.
Alcuni mesi appresso, per caso vien dovuto,
che i due conoscenti in situazione inversa,
s’incontrino in quel ch’è divenuto carcere,
per tutti quelli che di libertà, s’avvuto persa.
Il meticcio, a guinzaglio e tutto imbellettito,
fianco d’una signora anziana che l’ha adottato,
osserva chi nel canile comunale è stato preso,
o se qualche amico suo, se n’è già andato.
-Ma che ci fai qui? - Chiese Alfonso a Cesare.
-Non me ne parlare! E’ un caso di sventura,
il mio padrone, m’ha lasciato sul selciato,
dicendo che più tardi sarebbe ripassato. -
-Tutti così, l’ommo altolocato! - Disse il bastardo.
-Tu eri l’oggetto ch’al blasone suo dava vigore,
si vede che s’era stufato di lisciarti il pelo,
o d’esser al tuo servizio, lui ch’è un signore. - |
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