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La cicala canta
prigioniera della rugiada,
una storia fatta di sangue
all’usignolo avvolto d’autunno.
”La notte tessuta con seta di luna,
profumata d’estate
colorava,
di bianche trasparenze,
le pannocchie del grano imbrunite dal sole”.
”Lasciami vivere, bambino,
questo giorno d’innocenza”.
”Lucerne d’intermittenza accendevano le ombre
mentre giù,
nel guazzo dello stagno
una rana
aspettava immobile i riflessi dell’argento”.
”E’ l’ultimo giorno d’innocenza, questo,
poi sarà notte
lotterò per la vita”.
”Mia madre mi ha lasciato in eredità il mondo,
fili d’erba,
ocra,
dorato talento.
Ricordo l’estate e i canti d’armonia,
colori accesi,
il calore della terra”.
”Pregerei Iddio ma qui non c’entra,
è un altro che giudica,
sancisce,
condanna
chi cerca soltanto d’essere se stesso”.
Mia madre disse:
”E’ tuo l’orizzonte,
gli alberi che vedi,
i cespugli,
i riflessi dell’argento
ma meglio che scegli
una casa e pochi amici,
poche cose è meglio conosciute e amate
che traiettorie infinite
sconosciute ed insicure.
Scelsi un filo di grano
per il mio canto
ma venne un cavaliere,
e,
armato,
dirocco il campo”.
”Ho chinato la testa costretto dalla fame
e sto qui che lecco le ferite,
che aspetto che succeda,
qualcosa succeda
capace di scuotere,
cambiare,
il freddo,
questo giorno di vento”.
”Ricordo l’estate,
i canti d’armonia,
colori accesi, il calore della terra.
Mia madre è morta tra i covoni del fieno”.
Morì,
prigioniera della rugiada l’ultima cicala
mentre l’usignolo avvolto d’autunno
volava incontro all’inverno. | |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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