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Hanno vissuto in epoche oscure,
l’era sterminatrice dei poeti,
tempi di draghi e tagliagole,
mondi di ghiacci disumani
che strozzarono loro il respiro.
Non potevano essere poveri aedi:
il fiato era inservibile e scricchiolava,
nuvola d’aria e vento rappresi,
impotente a scalfire il muro
di quella violenza siderale.
Bisognava farsi mostri per resistere,
e non opporre solo ossa sfiancate,
membra disarticolate di fantocci.
Ma se si possiedono deboli corpi,
povere parole soffocate,
l’impresa diviene improponibile,
sovrumana tra gli aguzzini.
Che il fiato non possa venir sottratto
può essere consolazione temporanea,
ma è cosa che non dura nell’eone inaudito
di barbare glaciazioni pleistoceniche.
Gli sgozzalupi
Ci sono versi scritti col sangue,
come da sgozzalupi slavi,
e teneri versicoli leggeri come piume.
Là c’è la smorfia del digrigno,
l’urlo di muso deformato
che vuole agguantare le sue prede
sotto una luna deflagrata.
Qui invece ci siamo noi,
trepidi epigoni di parole usurate,
di mondi sfiancati dall’insensato.
Loro hanno visto l’inferno della realtà
e vogliono abbracciarlo col fuoco
delle loro carni e ossa spezzate,
delle loro utopie di libertà
dal narcisismo che ha seccato l’aria,
dalle ferite infette d’un’apocalisse.
Vogliono guarirne andando a fondo,
osservando la caduta degli ideali
con i loro occhi sbarrati dall’orrore,
guardando i crolli intorno e le macerie,
tolti tutti i veli della verità.
Se i soli neri oscurano le escatologie,
loro evocano la fine delle eclissi,
delle notti irreparabili del mondo
dei barbari che se ne appropriarono,
esoterici e mistici assassini,
bramosi di rovesciarlo in nuovo inizio.
I cantalupi non lo sapevano,
avendo in mente altre mitologie,
ma anche loro salmodiarono l’abisso
in cui sprofondano tutti gli dei.
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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