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C’è stato un intervallo di vita ingenuo
in cui ho creduto che si potesse ancora sognare.
E li avevo incolonnati tutti i desideri,
ricolmando quell’immenso spazio vuoto della mente,
e le avevo progettate tutte le speranze,
collocandole nel cuore consenziente.
C’era, in quel lasso epocale,
il tuo silenzio, a volte così martellante,
che contrastava il mio far rumore,
spesso per te così silente.
C’era un filo sottilissimo che ci legava,
un percorso del destino che ci univa,
una storia tutta da scrivere che ci catturava.
C’erano la mia tenacia e la mia costanza,
a farmi da guida in quel tempo di speranza,
e la scoperta di un noi sentimentale,
di quel particolare banale della nostra vita interiore.
Tutto procedeva oltre ogni piano,
vissuto e ricercato da lontano,
al di fuori di ogni proponimento,
ma a siglare nel tempo un cambiamento.
E non c’era niente di architettato,
non si trattava di un gioco,
per me non lo era mai stato,
e neppure mai di una cosa dappoco.
Ma in quel dire e fare da lontano,
non hai avuto la capacità di curarmi in modo sano,
hai annientato i desideri e le speranze molte volte,
abbattuto aspettative che credevo ormai sepolte,
sciupato spesso il tempo e le risposte,
il più delle volte assenti o solo a me nascoste.
Ma ogni volta, con costanza,
isolato il dolore in una stanza,
inglobato in un coacervo d’emozioni,
scansato o solo relegato alle opinioni,
sei riuscito a resuscitarmi,
con poco o niente a rallegrarmi,
iniettandomi linfa vitale
e plasmando per me un mondo ideale.
Solo una cosa non riesci più a fare:
colmare quel vuoto interiore
con gli slanci delicati e improvvisi di un tempo,
quello bruciato da me nel rimpianto,
ma che riaffiora nelle note di quel brano musicale
o solo in questa rima che ti voglio dedicare. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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