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”Nulla tu sei e nulla hai da dimandare,
anche dei tuoi respiri io sono il padrone.
I tuoi lamenti cessa, ché son meri capricci,
i tuoi bisogni, assurde pretese, non mostrare.
Son io che comando e tutto a me tu devi,
contrariami non puoi e men che mai pensare.
China il capo e controbatter non osare,
ai miei voleri a soccomber sei destinata.
Nel terrore io ti farò crescere della mia potenza,
che solo questo meriti, capricciosa e cattiva.
Ti terrò chiusa in magion come in clausura,
nel mondo non andrai, ché te lo nego.
Nel mondo che sol di lestofanti è pieno,
che per corromper ancora la tua essenza è fatto.
Non avrai compagni con cui divider il gioco,
resterai esclusa sol perché così io voglio.
Nulla tu meriti, che sei di natura malvagia,
bambina pretenziosa e capricciosa.
Allunga la tua veste ed a occhi bassi per la via procedi,
e non osar rispondere ad ogni mascolino sguardo.
La tua femminea essenza ha da esser soffocata,
mai di alcun belletto io ti concedo di adornarti
Taci! Troppo da questo padre avuto hai,
che in corpo ancor per la sua genitrice rabbia porta.
Quindi zitta ti dico, del tuo pensier non so che fare,
che solo il mio è unica legge da seguire.
Anzi, poiché fredda e distante sei,
poiché ardisci contestare il mio volere,
con tutto il cuore ti auguro progenie,
che dolore e pena sol ti porti in dono.”
Ah, padre mio, come vorrei che tu oggi
potessi veder tutto il cammin che ho fatto.
Anche tu te ne andasti molto presto, ed in
balia della vita e di tante lotte mi lasciasti.
Vorrei che questa figlia, che umiliare tanto ti piaceva,
ti potesse mostrar le montagne che ha scalato,
i sentieri tortuosi che ha percorso, senza
a nessuna porta mai voler bussare.
Del resto fosti tu ad insegnarmi, che misera
creatura quale ero, nulla dimandar potevo,
ed il potente orgoglio, nel qual per sopravvivere
mi rinchiusi, mai mi consentì di chinare il capo.
Con le unghie e con i denti ogni cosa ho conquistato,
sempre su me forza facendo, senza risparmiarmi mai.
Ma su di tutte una sol cosa io vorrei vedessi,
la mia progenie che malvagia mi augurasti.
La mia progenie si, quell’ adorato unico figlio,
cui intesi profonder tutto quello che a me fu sempre negato,
cui senza remore donai dal suo vagito primo
ogni tenerezza, dei suoi bisogni ponendomi in ascolto,
con la precisa intenzion di spezzare quella maledetta,
atavica catena, che sempre figli infelici avea prodotto.
Padre mio, questa figlia indegna, che gelida
e scostante tu stimavi, oggi madre ideale
è appellata, ed adorata da quello stesso figlio,
che maligno a lei augurasti quale anatema.
Padre mio, è sol l’amore che sappiamo dare, che
feconda i giardini e che alla fine i suoi frutti dona. | |
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