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Da giorni non mi sento molto bene,
in verità non so che mi succede;
non che mi importi, prendo come viene
la vita; tanto a tutto Dio provvede.
Io sono stato sempre un ottimista
al punto che il colore preferito
è il nero. So che il mio punto di vista,
lettore, può lasciarti sbigottito.
Eppure si ci arriva col riflettere;
riflette appunto il bianco ogni colore,
il nero li fa suoi: vuoi dunque mettere
la calda oscurità e il freddo biancore?
Stamane, come sempre, lì a sbarbarmi
costretto ahimè a guardarmi nello specchio;
da lì comincio già a preoccuparmi
e non perché ogni giorno mi fa vecchio,
ma vedo la mia immagine riflessa
un po’ indistinta, forse un po’ sfocata,
come se innanzi agli occhi fosse messa
una cortina o lastra smerigliata.
In quel momento non ci faccio caso:
sarà il vapore, il vetro che s’appanna,
e un po’ mi rassicuro; non persuaso
per tacitare il dubbio che mi danna,
lo tergo eppure, orrore! Sempre uguale.
Mi vesto ed esco, scuro ed arrabbiato,
il muso lungo; e in cuore quel pugnale.
Incontro gente; sempre desolato
osservo che mi passano daccanto
senza notarmi, quasi ad ignorare
la mia presenza: qual pauroso incanto,
inizio lentamente a realizzare:
sto scomparendo! E senza che lo voglia,
invece di tremare di terrore,
quasi bramo il varcare questa soglia
e suscita più pace che stupore
pensare quanto fosse evanescente
e priva d’interesse e di sostanza
la mia presenza al mondo fra la gente.
In fondo di soffrire ne ho abbastanza;
eppure non capisco che succede;
oppure forse, sì. Ricordo ancora,
il cuore di chi ama nulla vede
se non il viso in cui lui spera e adora;
quando ero insieme a te il mondo intero
facevasi sbiadito e immateriale:
e niente più contava od era vero,
persi i confini tra il sogno e il reale.
La ruota gira e il vento cambia rotta;
ed è il mio turno ora di sparire.
Inutile lagnarsi oppur la lotta:
in fondo ciò che inizia va a finire.
Eppure qualche cosa mi consola.
Ti ho sempre rispettato in ogni modo;
per me sei stata l’unica, la sola;
nella tempesta quel sicuro approdo;
e fino in fondo volli compiacerti.
Tu mi dicesti: "più non mi cercare,
dimentica che esisto"; abbandonarti?
No! L’ amor mio per te sovrasta il mare!
Ma vedi, il tuo comando per me è sacro,
e dunque non mi resta che obbedire;
ma se non è passione, è simulacro,
e lieve mi sarà questo sbiadire.
S’annulla sempre più la mia coscienza,
non riesco più a tenere nulla in mano;
mi guardano attraverso, in trasparenza;
nel nulla mi dissolvo piano piano.
E dove andrò, lo ignoro. E francamente
dovendo star da solo non importa.
Mio Bucaneve, più non conta niente:
saperti ormai serena mi conforta. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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